Francis Kaufmann ha parlato per la prima volta. Lo ha fatto in videocollegamento dal carcere di Larissa, davanti ai magistrati della Procura di Roma: pochi minuti, nessuna risposta alle domande, solo una frase netta – “Non ho commesso quei reati” – e la richiesta di rimandare tutto a dopo un confronto con il suo avvocato e con il consolato americano. Il collegamento si è interrotto lì, tra silenzi e accuse ancora tutte da discutere. Era stato richiesto attraverso un Ordine di indagine europea. Domani, in Grecia, si terrà l’udienza che potrebbe aprire la strada alla sua estradizione in Italia.
Per quindici giorni avevano bivaccato tra gli alberi di Villa Pamphili, dormendo in tenda e spostandosi a piedi fino al mercato di San Silverio per lavarsi e mangiare qualcosa. Poi, tra il 3 e il 4 giugno, qualcosa si è spezzato. Dopo una lite in centro, Anastasia scompare. La bambina muore poco dopo. I corpi vengono ritrovati il 7 giugno nel parco. Kaufmann resta in città ancora qualche giorno, poi l’11 prende un volo per la Grecia. Dove viene arrestato pochi giorni dopo.
Mentre si professa innocente, la sorella lo descrive come un uomo violento e manipolatore, con un passato di abusi, dipendenze e bugie. Racconta che avrebbe già tentato di uccidere un fratello, che non è mai stato davvero un regista, e che mentiva sulla sua vita con Anastasia e la bambina.
Mentre si proclama estraneo ai fatti, la ricostruzione degli inquirenti e le parole della sorella compongono un profilo opposto: un passato di violenza, una fuga, troppi silenzi. Ora la decisione passa ai giudici greci.