Dal 31 maggio al 15 giugno, Venezia e Marghera accolgono la 53ª edizione della Biennale Teatro. Il titolo scelto per questa edizione, Theatre is Body – Body is Poetry, orienta l’intera manifestazione verso una riflessione concreta e fisica sul ruolo dell’attore. Per la prima volta alla direzione, Willem Dafoe, — celebre per una carriera cinematografica con oltre cento film all’attivo — porta con sé un’eredità radicata nel teatro d’avanguardia. Negli anni Ottanta è stato tra i fondatori del Wooster Group, storico collettivo newyorkese con cui ha collaborato per oltre vent’anni.
Il programma si sviluppa lungo più direttrici temporali. Da un lato, crea un dialogo tra alcuni protagonisti del teatro radicale del secondo Novecento e artisti delle nuove generazioni; dall’altro, riporta al centro questioni fondamentali per chi fa teatro oggi: cosa significa essere in scena, cosa resta del corpo vivo in un’epoca mediata da schermi e dispositivi digitali?
Tra i titoli in programma figurano Symphony of Rats del Wooster Group, Le Nuvole di Amleto dell’Odin Teatret, The Inanna Project di Thomas Richards e I mangiatori di patate, nuova creazione site-specific di Romeo Castellucci.

Alcuni progetti nascono direttamente dal percorso personale di Dafoe. In No title, performance realizzata insieme a Simonetta Solder, l’attore rende omaggio a Richard Foreman, figura chiave dell’underground teatrale americano, da sempre centrale nella sua visione dell’attore come costruttore di linguaggi scenici e non solo interprete.
Nei giorni precedenti l’apertura ufficiale, Dafoe ha fatto visita alla Casa circondariale di Santa Maria Maggiore, dove ha assistito a uno spettacolo curato dal regista Michalis Traitsis e messo in scena dai detenuti. Da quell’incontro è nata l’idea di attivare un progetto stabile all’interno dell’istituto, con la creazione di uno spazio dedicato al teatro.
L’ispirazione per questa edizione, ha raccontato Dafoe, arriva anche dalla riscoperta quasi accidentale della Biennale Teatro del 1975. Scorrendo i nomi presenti in quella storica edizione, ha riconosciuto molti dei suoi maestri. L’intento sembra chiaro: creare un festival che non dia risposte, ma che metta in discussione le strutture, i codici e le gerarchie della scena. “Il bello del teatro è che accade nel momento stesso in cui lo si guarda. È fragile, imperfetto, irripetibile. E questo lo rende umano”.