“Non pensavo di essere in grado di poter scrivere in un buon italiano, visto che non è la mia lingua natale. Temevo il giudizio dei puristi della lingua. Quando mi sono approcciata al teatro, ho scoperto che era il mezzo espressivo più adatto per me per parlare ad un pubblico ampio su temi che mi bruciano dentro”.
Nalini Vidoolah Mootoosamy, professoressa di letteratura autrice di The Foreigner’s Smile, nel labirinto produzione artistica della migrazione, “un’etichetta dalla quale mi auguro di affrancarmi presto”, è riuscita a sperimentare con il teatro, la sua capacità creativa libera da vincoli e canoni nei quali gli scrittori dell’immigrazione vengono inevitabilmente ingabbiati.
“Le opere di noi autori stranieri, migranti e nuovi italiani sono ancora viste come parte di una nicchia. I temi che tratto mi distinguono dagli altri ma allo stesso tempo può essere limitante alla mia libertà di raccontare storie che non c’entrano con il fenomeno migratorio”.
A proposito del titolo, quello originale in italiano è “Il sorriso della scimmia”. “Ci sono parole che richiedono al traduttore un atteggiamento particolare perché si riferiscono ai concetti tabù”, precisa l’autrice. “Un titolo, comunque, volutamente provocatorio che intende mettere in discussione il sistema del politicamente corretto che finisce per fare da megafono ai pregiudizi. Servirebbe invece depotenziare certe espressioni, svuotarle di significato per modificare il modo di pensare”.

La lettura integrale di The Foreigner’s Smile è stata protagonista di un evento speciale venerdì 16 febbraio nell’ambito di “Discovering Contemporary Theater By Italians of African Descent”, all’interno della serie “Black Italia” promossa da Casa Italiana Zerilli-Marimò. L’evento dedicato al teatro italiano contemporaneo degli artisti di origine africana, è nata per iniziativa della compagnia teatrale italiana di New York, Kairos Italy Theater, con la diezione artistica di laura Caparrotti. Un cast composto da Purva Bedi, Camron Chapple, Giulia Cowie, DJ Davis e Nasser Metcalfe e diretto da Phillip Christian Smith, ha conquistato il pubblico per come ha afferrato i personaggi e la vicenda, grazie ad una continua, caleidoscopica varietà di toni e di gesti.
In sala si ride e segue la storia di una famiglia indo-mauriziana, padre, madre e il figlio Raoul alle prese con un evento che altera gli equilibri di famiglia, il riconoscimento della cittadinanza da parte del padre. Vidoolah Mootoosamy non ci gira attorno: “L’intento è sensibilizzare il più vasto pubblico possibile sul tema dell’immigrazione, grazie a umorismo e umanità”. L’acquisizione della cittadinanza, che rappresenta un momento importante nella vita di molti migranti, diventa uno dei luoghi di conflitto dell’identità. Si trasforma in terreno di scontro generazionale tra il figlio Raoul e i suoi genitori nel modo in cui ognuno negozia con la realtà culturale del territorio straniero.
Se i genitori di Raoul si sforzano di mantenere vivo il legame con i valori del loro paese d’origine, e vedono nell’acquisizione della cittadinanza un distacco dalla madrepatria, il figlio, nato e cresciuto come immigrato di seconda generazione, è combattuto tra il desiderio di aiutare il padre e la frustrazione di sentirsi ancora straniero.
“Ho lavorato molto sul linguaggio come strumento funzionale per esprimere un messaggio che attraverso l’ironia parlasse dei conflitti identitari di chi si trova in uno spazio grigio. La mia scrittura non intende essere un puro esercizio di stile ma qualcosa capace di riflettere una connotazione di genere letterario”.
La parola assume così un ruolo terapeutico per l’autrice, un mezzo per fare il punto della propria esistenza, per chiarire a sé stessa prima ancora che agli altri. L’italiano di Vidoolah Mootoosamy è il frutto di una contaminazione tra le diverse lingue che appartengono alla sua storia personale alle tradizioni del luogo in cui è cresciuta. “Parole cinesi, indiane, francesi fanno parte della mia eredità mentale. tutto questo entra e diventa come una sorta di tuo sangue”.
The Foreigner’s Smile è l’esempio di una nuova tendenza del teatro contemporaneo che vuole incoraggiare la società a concepire le migrazioni in modi che vanno oltre il rifiuto e la vittimizzazione. “Il teatro per me è diventata ormai un’urgenza per rimarcare cosa vuol dire il mancato riconoscimento dei diritti e invertire una tendenza in Italia che vuole trasformare i migranti in “nemico pubblico”.