Il documentario Vakhim di Francesca Pirani, presentato alle Notti Veneziane nell’ambito della 81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, affronta il tema dell’adozione internazionale attraverso la storia di Vakhim, il bambino cambogiano adottato dalla regista stessa e da suo marito nel 2008.
Francesca Pirani, con delicatezza e sensibilità, porta sullo schermo non solo la storia di suo figlio, ma anche quella delle madri coinvolte: la madre biologica costretta dalle circostanze a dare il figlio in adozione e la madre adottiva, disposta a riconoscere e preservare il legame del bambino con la sua origine. In questa duplice narrazione emerge il vero protagonista del film: il coraggio delle madri, che, nonostante tutto, si trovano a condividere il cuore e la memoria di un bambino, spezzando il dolore del distacco con la forza dell’amore.
Come afferma la stessa regista, “Il viaggio di ritorno nella zona d’origine, il rapporto con i bambini e i contadini che interpretano i ricordi di Vakhim e di sua sorella Maklin, le loro emozioni nel ritrovarsi in quel mondo, l’incontro con la madre naturale, sono caratterizzati da un linguaggio visivo che alterna al realismo del tempo presente quello più libero della memoria”. Ed è proprio questa alternanza a rendere Vakhim un documentario singolare e poetico. La scelta di mescolare realtà e ricordo, utilizzando attori non professionisti per ricreare scene simboliche, apre la narrazione a un mondo che va oltre il documentarismo classico, esplorando le sfumature della memoria e del trauma attraverso un’estetica evocativa e onirica.
Le riprese in Cambogia, realizzate ex novo nel 2023, rappresentano il culmine emotivo del film. Dopo quindici anni, Vakhim e la sorella Maklin, ormai adulti, tornano nel loro paese natale per incontrare la madre biologica, Yon Neang, di cui avevano perso le tracce. Questo ritorno è un viaggio nelle loro radici, ma anche una ricerca di senso e riconciliazione. Francesca Pirani non ha mai avuto timori nel riportare suo figlio in Cambogia: “Molti mi chiedono se fossi preoccupata o gelosa. Questo è completamente irreale. Il rapporto con Vakhim era forte prima e lo è anche adesso. Non c’è mai stato spazio per la gelosia, perché l’amore tra noi è sempre stato saldo”. E così, l’incontro con Yon Neang, devastante nella sua intensità, segna non solo un punto di svolta nella vita dei protagonisti, ma anche una riflessione universale sulla maternità.
A proposito dello scandalo delle adozioni internazionali, la regista precisa che l’obiettivo non era trasformare il film in un’inchiesta giornalistica: “Ho preferito raccontare questa realtà filtrata dal mio sguardo, senza forzare una denuncia. Questo avrebbe alterato lo stile del film, che vuole essere soprattutto un’opera personale e poetica”.
Le scene ricostruite con bambini cambogiani sono vere e proprie reinterpretazioni poetiche dei ricordi d’infanzia di Vakhim. Questi momenti, che Francesca Pirani chiama “reenactment”, sono inseriti nel film non solo per arricchire la narrazione, ma per aprire uno spazio di riflessione più universale sul potere della memoria. “Ho voluto che questi ricordi dialogassero con la realtà,” spiega la regista, “perché nella mente di Vakhim, soprattutto nei primi anni in Italia, c’erano continui confronti con il mondo che aveva lasciato.”