Il 25 aprile 1974, la Rivoluzione dei Garofani pose fine a 48 anni di dittatura in Portogallo. La rivolta, iniziata come un sollevamento militare, trovò sostegno popolare contro il regime dell’Estado Novo, guidato da Salazar e Caetano, che aveva mantenuto il Paese isolato e impegnato in costose guerre coloniali. Un gesto simbolico caratterizzò la rivoluzione: una cameriera, Celeste Caeiro, offrì un garofano a un soldato, fiore che divenne il simbolo della rivoluzione pacifica che portò il Portogallo verso la democrazia. Le immagini di quella rivoluzione pacifica che ha segnato il passaggio dal fascismo alla democrazia nel paese rivivono nel bel documentario di Luciana Fina, Sempre presentato alle Giornate degli Autori alla Mostra del Cinema nella sezione “Notti Veneziane”.

“La Cineteca Portoghese mi ha invitata a lavorare sui loro archivi, ed è stata una vera miniera d’oro”, racconta Fina. Da questo invito nasce Sempre, un film che esplora non solo gli eventi storici, ma il loro impatto culturale e umano. L’archivio si trasforma così in uno strumento per rielaborare il passato, un punto di partenza per creare una narrazione complessa, che non si limita alla cronaca ma che cerca di costruire un dialogo profondo tra la storia e il presente. “Non volevo fare una semplice cronaca – continua Fina – volevo creare una riflessione sulla Rivoluzione dei Garofani, un dialogo che guardasse al suo impatto non solo per il Portogallo, ma anche per il mondo”.
Il risultato è un’opera che si nutre di materiali eterogenei, dal cinema d’archivio alla televisione, fino ai filmati amatoriali. E proprio questi ultimi, girati da persone comuni durante i giorni della rivoluzione, offrono uno sguardo intimo e diretto sulla storia, testimonianze di una partecipazione collettiva che è il cuore della rivoluzione stessa.

Se le immagini provengono dal passato, il suono è interamente contemporaneo. È qui che la cineasta gioca con il tempo, sovrapponendo suoni attuali a immagini storiche, creando un dialogo temporale che conferisce al film un senso di urgenza e attualità. Così, mentre scorrono immagini dell’emancipazione femminile degli anni ’70, sentiamo i rumori delle manifestazioni dell’8 marzo di quest’anno. Le immagini dei movimenti studenteschi degli anni ’60 si intrecciano con le voci dei giovani di oggi, che protestano contro la crisi climatica. Diversi riferimenti poi collegano la storia portoghese ai meccanismi della dittatura fascista in Italia e della ricerca del consenso (commovente la citazione di Franco Fortini). Un montaggio che intreccia passato e presente, mettendo in luce come molte battaglie rimangano ancora aperte.
L’opera di Fina è anche un omaggio implicito agli artisti e ai cineasti degli anni ’60 e ’70, che hanno contribuito a creare una nuova coscienza collettiva attraverso il loro lavoro. “Il cinema di allora era un cinema di empatia, di prossimità, non solo di osservazione passiva”, osserva Fina, sottolineando come oggi molti lavori cinematografici manchino di quell’urgenza partecipativa che rendeva il cinema un vero strumento di cambiamento.

La sua riflessione sul cinema contemporaneo si fa critica, puntando il dito contro una certa superficialità tematica e un approccio più frammentato ai problemi sociali. “Se i giovani degli anni ’60 e ’70 avevano una visione più sistemica delle loro lotte – dall’emancipazione femminile alla decolonizzazione – oggi i movimenti giovanili, pur carichi di energia, sembrano affrontare le questioni in modo più settoriale, spesso senza collegarle a una critica più ampia del sistema neoliberale”, dice la regista.
Insomma, Luciana Fina non ha dubbi: il cinema rimane uno strumento di resistenza, anche se in modi diversi rispetto al passato. Se un tempo il nemico era rappresentato da una dittatura visibile, con censura e repressione tangibili, oggi le forme di controllo sono più sottili e pervasive, ma non per questo meno potenti. Le dinamiche economiche e sociali contemporanee influenzano profondamente la libertà di espressione e il modo in cui l’informazione – e il cinema stesso – viene veicolata. “Il film non vuole essere solo un tributo alla Rivoluzione dei Garofani”, conclude Fina, “ma anche un invito a non perdere mai la memoria storica e a continuare a lottare per un cambiamento reale e profondo”.