Asif Kapadia, regista britannico di origine indiana, presenta fuori concorso alla 81ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia il film 2073, un’epopea ambientata nella futura New San Francisco, una città segnata da crisi multiple che riflettono le più grandi paure e sfide del nostro tempo.
L’ispirazione per 2073 deriva in parte dal cortometraggio sperimentale La jetée del 1962 di Chris Marker, considerato un capolavoro del cinema post-apocalittico. Questo film di culto, che utilizza una serie di immagini statiche per narrare una storia complessa di viaggi nel tempo e memoria, ha influenzato profondamente Kapadia nella costruzione della sua visione del futuro.
Il regista, il cui percorso cinematografico è stato segnato da successi come The Warrior (2001), vincitore del premio BAFTA, Far North (presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2007), e i celebri documentari Senna, Amy (vincitore dell’Oscar) e Diego Maradona, questa volta si è voluto cimentare con due generi apparentemente inconciliabili: la finzione distopica e il documentario basato su fatti reali. “Il mio background è nel dramma”, ha dichiarato Kapadia, “e ho sempre pensato ai documentari cercando di renderli il più cinematografici possibile. Per questo film, ho voluto consapevolmente fare un film di fantascienza, un genere che mi permettesse di esplorare le enormi emergenze che stiamo vivendo in un contesto futuristico nella speranza che si possano trovare soluzione prima che sia troppo tardi”.
Le scene alternano momenti di caos sociale e paesaggi desolati, evidenziando le crisi umanitarie e climatiche che minacciano la sopravvivenza dell’umanità. Le immagini potenti, accompagnate da una colonna sonora incalzante, dipingono un quadro di disperazione e urgenza, rendendo chiaro che le scelte di oggi potrebbero avere conseguenze catastrofiche domani. La voce narrante guida lo spettatore attraverso questo mondo distopico. “Voglio che il pubblico si senta a disagio”, ha affermato il regista.

lI film riesce a essere al contempo provocatorio e istruttiva, conservando l’integrità giornalistica e il rigore investigativo tipici dei documentari precedenti del regista. Per riuscirci, il regista ha utilizzato una struttura narrativa non lineare che intreccia passato, presente e futuro. “L’idea è che i frammenti di immagini autentiche che si vedono nel film sono come se qualcuno avesse lanciato sulla terra una capsula del tempo. C’è un messaggio che dice: queste cose stanno arrivando, aiutatemi”.
L’idea di 2073 è nata in un periodo di profonda incertezza politica, a partire dalla Brexit. Kapadia si è interrogato su come le persone potessero scegliere di compromettere la propria libertà, forse ingannate da una visione distorta dell’immigrazione, percepita come una minaccia piuttosto che una risorsa. Negli Stati Uniti, il regista ha osservato con preoccupazione l’ascesa di Donald Trump, riconoscendo inquietanti parallelismi tra la sua retorica e quella dei sostenitori della Brexit. Le esperienze in India, sotto il governo divisivo di Narendra Modi, e in Brasile, con l’ascesa di Bolsonaro, hanno rafforzato il suo timore per un mondo in cui fenomeni simili si ripetevano in diverse nazioni, come Italia, Francia e Germania, alimentando una tendenza preoccupante verso il ritorno dell’autoritarismo.
“Oggi viviamo in un mondo dominato dalla paura, dove ogni parola politica può condannarti all’ostracismo”, ha concluso Kapadia. “Il mio intento era evocare un senso tangibile di ciò che ci sta accadendo, tutti insieme, ovunque, in questo preciso momento”.