La vita come un’opera tra poesia, amore e libertà, è il ritratto della poeta Patrizia Cavalli nel film “Le mie poesie non cambieranno il mondo”, scritto e diretto da due letterati e scrittori, Annalena Benini e Francesco Piccolo, con musiche di Diana Tejera, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Se le poesie di Cavalli non hanno cambiato il mondo, hanno certo contribuito a migliorare il vivere di tanti di noi.
Il film, prodotto da Fandango, è stato presentato nelle Notti Veneziane, sezione realizzata dalle Giornate degli Autori, in accordo con Isola Edipo, ed è costruito sul prezioso narrarsi della più grande poeta italiana contemporanea nei mesi precedenti la sua scomparsa e su una scelta essenziale di materiale di repertorio.
All’inizio è la sua voce in scena, bella, nei suoi anni più maturi. “Se ora tu bussassi alla mia porta/e ti togliessi gli occhiali/e io togliessi i miei che sono uguali (…). Un pezzo di teatro di successo”, recita una delle sue poesie più famose.
Il film procede seguendo il dialogo impostato con Benini e Piccolo, per lo più avvenuto nella dimora della Cavalli nei pressi di Campo de’ Fiori. È stato quello il luogo della sua vita e del suo scrivere, dei suoi amori e delle sue gelosie, del suo quotidiano amare e detestare Roma, casa sempre aperta ai numerosi amici. Tra la luce delle grandi finestre, scaffali di libri, foto di Elsa Morante, tazze di porcellana, macchinetta del caffè, gli autori restano per lo più dietro le quinte, quasi timorosi di interrompere il flusso geniale del racconto del poeta, a volte sorprendente, spesso autoironico, come la sua poesia. “Ha raccontato la vita e il mondo con la sua voce, noi l’abbiamo soltanto accompagnata” dicono.
Si avverte che Patrizia Cavalli racconta in un clima di amicizia, di rispetto e confidenza, sempre cercando e trovando la descrizione più vicina alla verità del suo vissuto e del suo sentire, con scarti bruschi per evitare il cliché, come quando viene affiancata alla compagna Diane Kelder per un’intervista a due. “Qualunque definizione a me non piace”.
Il racconto attraversa per squarci l’opera e la vita, andandone a scoprire aspetti anche inediti e folgoranti, e lasciandone intravedere la coerenza, attraverso quel vivere quotidiano diventato per Cavalli l’oggetto poetico per eccellenza, perfino nelle mani che cercano le tasche del cappotto e che inducono ad abbassare lo sguardo sui sanpietrini fetidi della Capitale.

Centrale, il tema dell’amore. “L‘amore ha prodotto la maggior parte delle mie poesie. Un amore quasi sempre infelice” afferma il poeta. Amori attraversati da risentimento, gelosia, smarrimento. Stati di insoddisfazione e di affetti diseguali che prendono forma nei suoi versi attraverso i gesti quotidiani, in cui è facile riconoscersi.
Opera e biografia si rincorrono. La voce inconfondibile di Cavalli ci tiene avvinti e ci porta spesso al riso, talvolta alla commozione, ci lascia a bocca aperta quando descrive la manifestazione fisica della poesia: un’aura, un’onda che parte dal cuore va alla schiena scavalca la testa e si sporge in avanti. “La poesia sorge”.
Splendidi i racconti dell’avvicinamento da Todi, piccola provincia “non la sopportavo” dice, alla Roma nella sua stagione migliore. Agli inizi c’è una bimbetta selvaggia, “delinquente”, personaggio da quel Tex Willer che costituiva la sua unica lettura e la morra il suo gioco preferito. Poi Cavalli scopre Amleto, si appassiona dell’opera di Elsa Morante (“avrei voluto esser guardata come lei guardava i suoi personaggi”) e ha un amico assai originale e introdotto che la avvicina agli ambienti dell’intellighenzia romana, lei studentessa di filosofia.
Con Elsa Morante, colei che decreterà “sei un poeta!”, l’avvicinamento è come una prova di forza. Uno sfidarsi che richiede tenuta e che porta Patrizia a sfuggire per cercare dentro di sé quella “verità” che non aveva ancora trovata e che sentiva vibrare nelle opere del suo mentore. Finché nel 1974 esce la prima raccolta di poesie di Patrizia ed è dedicata ad Elsa Morante, si chiama “Le mie poesie non cambieranno il mondo” e diventa un caso letterario per la sua portata di novità. “Qualcuno mi ha detto/che certo le mie poesie/non cambieranno il mondo. /Io rispondo che certo sì/le mie poesie/non cambieranno il mondo”.
Sprofondata nei divani, o vagante in casa, nonostante la malattia, la poetessa non perde la sua vitale coerenza e il suo non-conformismo. Descrive le sue debolezze, come la rovinosa passione per il poker, le sue fragilità degli ultimi mesi. Si ritrovano in ogni caso nel suo dire la stessa fermezza della giovane poeta dal lungo caschetto biondo e il viso antico, che rifiuta di avere altri poeti come modelli, la stessa “fiducia nelle parole” che “hanno il potere di istituire il reale”.
Un capitolo importante riguarda la musica e l’autentica gioia nel cantare. “La musica mi fa bene – afferma Cavalli – e mi fa molto bene cantare, mi rianimo, qualcosa di vitale”. E qui entra in campo un’altra figura chiave, Diana Tejera, amica filiale, con cui Patrizia Cavalli ha realizzato e inciso per le edizioni Voland un libro e cd con una raccolta di sue poesie musicate dalla giovane cantautrice “Al Cuore fa bene far le scale”. Divertente e commovente la performance che il film ripropone di una breve esibizione giocosa del duo a Roma, in cui Cavalli suona un piccolo xilofono e un kazoo. “Una bella ragazza bruna”, “Al Cuore” anche in duo con Mika, “Mi brucio al fuoco degli altri” ma anche “Alone I cannot be” di Emily Dickinson sono le poesie cantate che Cavalli interpreta, divertita o appassionata, ed è qualcosa di più e di diverso dalla declamazione, di cui il poeta ci fa dono, quasi fosse un canto religioso.
Lungo tutto il film ascoltiamo le poesie recitate dalla stessa autrice, sono tratte dalle sue raccolte più famose, tra cui quella che dà il titolo al film, Le mie poesie non cambieranno il mondo, Il cielo, Sempre aperto teatro, Pigre divinità e pigra sorte, L‘io singolare proprio mio, tutte per Einaudi.
C’è un cameo di Roma, infine, una ultima sequenza che vede il poeta camminare con Benini nei pressi di casa, e affacciarsi verso le piazze vicine. Una presenza essenziale, Roma, nella vita e nell’opera di Cavalli, che sarebbe stato splendido avere avuto il tempo di rappresentare di più. Una Roma teatro di tutto, come in “Con passi giapponesi”, così strabordante di “puzze e orrori”, ma così amata nei suoi senza fissa dimora e nella gente dei mercati, da riportare la poeta al proporci una nuova e più vera idea di Patria: quella che si trova nelle pietre delle antiche piazze e nelle persone che le abitano.
Patrizia Cavalli è morta il 21 giugno 2022, durante la post-produzione di questo film, prezioso perché custodisce la sua ultima e autentica testimonianza, accompagnata dai due autori con delicatezza e affetto. “Abbiamo seguito Patrizia Cavalli con fiducia e lei si è fidata di noi e ci ha offerto il suo sguardo sulle cose – dicono Benini e Piccolo -. Abbiamo mostrato il passaggio del tempo: dalla forza alla fragilità, e poi di nuovo gli scatti vitalissimi, il piacere di stare sul palcoscenico”. “L’abbiamo seguita nella sua generosità di offrire la verità su ogni cosa – continuano -: la verità̀ di un pensiero non conforme e la verità del desiderio di performance, di divertimento, che vince su tutto ed è un atto poetico”.