Un viaggio epico, una odissea dei nostri giorni il cui contenuto troppo spesso sfugge. Matteo Garrone ha voluto spostare l’obiettivo per mostrarcelo, quel contenuto. Mostrarci il viaggio dei migranti dalla parte loro, delle speranze, sogni e delle sofferenze, atroci, che subiscono prima di arrivare alla terra promessa. Io Capitano fa questo, parte da una piccola casa a Dakar, in Senegal, dove vive una piccola e allegra famiglia, e segue uno dei figli, Seydou il maschio sedicenne, nel suo viaggio verso l’Italia.
“Volevo offrire un controcanto rispetto a quello che siamo abituati a vedere da decenni in televisione – spiega il regista – i barconi che arrivano pieni di esseri umani, alcuni vengono salvati, altri no. Con il tempo ci abituiamo a queste notizie e arriviamo a pensare a queste persone solo come numeri, perdiamo di vista che sono persone. Io ho voluto mettere la cinepresa sul lato opposto al nostro e mostrare quello che molti non conoscono: il deserto, i campi di detenzione, i trafficanti.”

Garrone ha pensato a lungo a questo film, da quando a Catania in un centro di accoglienza ha incontrato un ragazzo di 15 anni che ha guidato un barcone attraverso il mediterraneo senza averlo mai fatto prima, proprio come racconta il film. Alla prima al Festival il film ha ricevuto 12 minuti di applausi, un successo per una storia sui migranti da anni al centro del dibattito politico e per la quale non si è ancora trovata una soluzione.
“La soluzione è dare i visti alle persone permettere loro di viaggiare liberamente – dice in modo esplicito e diretto Mamadou Kouassi il consulente alla storia voluto da Garrone e dagli sceneggiatori Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri – io ho fatto questo viaggio con mio cugino, come nel film, noi conoscevamo i rischi, perché la televisione ci faceva vedere i morti nel deserto, ma siamo partiti lo stesso 15 anni fa. Io spero che questo film faccia capire la sofferenza che c’è dietro la migrazione, spero che permetta di ragionare sul porre fine al traffico di esseri umani. E’ inutile continuare a dare soldi alla Libia e alla Tunisia per fermare la migrazione, come dice il presidente Mattarella c’è la possibilità di creare un canale di ingresso sicuro per contrastare i trafficanti.”
Non così esplicito Garrone, anzi. “Io di mestiere faccio il regista e racconto delle storie, posso parlare delle storie che ho raccontato perché le ho vissute con i ragazzi che hanno lavorato con me, non è mia abitudine parlare di cose che non ho approfondito. Qui racconto un archetipo, il viaggio di chi sta in un paese povero per andare in uno ricco. E’ un problema complesso che non credo possiamo risolvere. Cosa succede poi, quando arrivano in Italia è un quesito che non mi sono posto, sarebbe un altro film, e forse per un altro regista.”

Realizzato con giovani attori senegalesi che non avevano mai messo piede in Italia, il film è stato girato in locations ricostruite e gli attori non avevano la sceneggiatura fino al momento di girare per mantenere la sorpresa e l’immediatezza della recitazione.
“Ho voluto raccontare l’emigrazione dei giovani – spiega Garrone – ci sono tanti tipi di migranti, per guerre, fame, emergenza climatica, io ho voluto puntare l’obiettivo su quella giovanile perché i giovani sono il 70 % della popolazione africana e spesso scappano non da povertà assoluta, da una povertà dignitosa, ma scappano perché inseguono un sogno. Vorrebbero essere come i loro coetanei che magari parlano la stessa lingua e possono viaggiare comodamente mentre loro non possono. E per inseguire questo sogno a volte partono sapendo che rischiano di morire. La sceneggiatura che ho fatto con Massimo si muove da un grande lavoro di documentazione, abbiamo parlato con molti ragazzi poi ne abbiamo scelti tre, quattro per i particolari.”
Ci sta la visita al cimitero per chiedere agli spiriti dei defunti consiglio sul da farsi, la visita al marabutto, ma anche la vita a Dakar fra famiglia, scuola, tradizioni.
“Il film si muove su un piano di realismo che rimanda un po’ al mio Gomorra e su un piano fantastico, i sogni che fa il protagonista, che mi ha molto ricordato Pinocchio. E in fondo i due protagonisti sono due ragazzi ingenui come Pinocchio e anche loro sono attratti dal paese dei balocchi, che nel loro immaginario è l’Europa.”
Io Capitano, girato tutto in francese e wolof sarà distribuito in lingua originale in Italia dal 7 settembre. “Uscirà in oltre 200 sale – ha detto Paolo Del Brocco di Rai Cinema – ed è la prima volta che in Italia usciamo in lingua originale: il film ci sembrava così potente che non potevamo doppiarlo.”