L’auteur francese Luc Besson torna trionfante a Venezia con il suo primo film dopo Annie del 2019 e il primo dopo le accuse – da cui e’ stato completamente scagionato di recente – di violenza sessuale da parte di un’attrice che aveva lavorato con lui nel 2017. Il film, Dogman, e’ stato accolto con sei minuti di applausi – gli stessi riservati a Ferrari di Michael Mann – e un’accoglienza calorosa anche in sala stampa, non sempre altrettanto generosa del pubblico. Un film duro, difficile da sostenere, ma da cui e’ impossibile distogliere gli occhi soprattutto per l’interpretazione – si parla già di attenzione agli Oscar – del suo protagonista, Caleb Landry Jones (vincitore a Cannes per Nitram) nei panni di un giovane devastato da un’infanzia crudele per mano di un padre e un fratello estremamente violenti. Il giovane, costretto su sedia a rotelle, trova nell’amicizia delle sue decine di cani e nel travestirsi da donna facendo delle performances apprezzatissime in un club per transgenders, un minimo sollievo dall’infelicita’ della sua vita.
Besson ha scritto e diretto il film, in cui recitano, fra gli altri, anche Jojo T. Gibbs, Christopher Denham e Marisa Berenson. “Scrivo ogni mattina dalle 5 in poi da quando avevo 16 anni – ha detto Besson alla conferenza stampa di Venezia subito dopo le prime proiezioni del film – è il modo per me per sfuggire a questo mondo. Quando ho letto l’articolo su una famiglia francese che aveva chiuso il figlio di cinque anni in una gabbia mi sono chiesto: che tipo di vita avrebbe potuto avere quel ragazzo dopo una cosa del genere. Quando tagli le tue radici in quel modo e i tuoi genitori ti buttano in una gabbia, cosa diventi? Un terrorista o Madre Teresa? Ho cercato di immaginare la sua vita, tutto qui.” Quell’esplorazione, continua, lo ha guidato nella stesura del copione. “C’e’ una battuta nel film in cui Jojo, nei panni di una psicanalista, dice: Le radici sono alla base di un uomo, il che e’ vero. Ma le radici sono invisibili, e’ l’obiezione. E l’analogia e’ molto forte perché vediamo un essere umano e non vediamo le radici. Non conosciamo il suo passato. Cosa succede quando tagli le radici? E qui subentra la religione, la fede, qualunque essa sia. Come fai a mantenere la fede quando sei in una situazione del genere? Questo ragazzino guarda il cielo e chiede: cosa ho fatto di sbagliato? come posso cambiare le cose? E l’unica risposta che si da e’ rischiare la vita cercando di camminare verso Dio alla fine.”
La scelta dell’attore protagonista è stata la prima preoccupazione di Besson: “Se c’e’ una cosa di cui sono molto fiero e’ la mia libertà – ha detto il regista – Quando mi sveglio al mattino e comincio a scrivere nessuno mi può fermare dallo scrivere quello che voglio. Quando finisco un copione, se mi piace, lo metto da parte e dopo un paio di settimane lo riprendo in mano e penso che lo posso migliorare. Ma a quel punto la prima paura e’: chi lo può interpretare? Con questo film avevo paura di non poter mai trovare un attore abbastanza folle da farlo. Avevo visto un piccolo film di Caleb, o almeno cosi’ pensavo, ma in realtà ne avevo visti almeno dieci, perché e’ un tale camaleonte, irriconoscibile da un film all’altro. Ve lo ricordate nei panni del fratello minore di Tom Cruise in American Made? E’ divertentissimo in quel film. Ci siamo incontrati e abbiamo parlato di tutto tranne che del film. Se devi passare un anno con qualcuno, e’ importante sapere che non sia un grandissimo stronzo. Non vai su una barca intorno al mondo con una brutta persona. Cosi’ abbiamo chiacchierato un po’ e poi gli ho detto: ti piacciono gli animali? Perche’ prepararsi per questo film sarebbe stato impossibile senza di lui e la sua convivenza con tutti quei cani! E cosi’ abbiamo fatto. Un anno di preparativi, con cento cani, che ti rotolano addosso ogni giorno al parco. Ne abbiamo dovute imparare di cose su di loro!”
Se il protagonista trova conforto dalla sua sofferenza nei cani che lo seguono adoranti ovunque e capiscono ogni suo gesto e parola, lavorare con decine di cani, precisa Besson, non e’ stato facile. “Nel film ci sono anche tre star canine americane che avevano addirittura il proprio camerino. E con i cani ci vogliono mesi per capire chi fa gruppo con chi, a volte dovevamo cambiare cani se dopo un paio di settimane capivamo che non se la intendevano con alcuni. Ci sono voluti tre mesi per trovare un buon gruppo solidale di 65, 70 cani che stavano bene insieme. E’ un processo di comprensione dei caratteri di ognuno. Come al solito c’è sempre la star cui non piacciono gli altri cani e fa la snob. Come la star francese, il Doberman che sta sempre davanti alla porta con le zampe incrociate, non voleva parlare con nessuno! Quello che non mi aspettavo era la quantità di allenatori che hanno: avevamo almeno 25 allenatori, ognuno gestiva due cani. E quei cani reagiscono solo alla voce del loro maestro. Quindi quando dici “azione” ci sono 25 persone che urlano allo stesso tempo un comando diverso! Si nascondevano ovunque, dietro ogni armadio, ogni sedia, ogni tavolo.. in ogni angolo c’era un allenatore nascosto: sul tetto, su una scala.. ti ci devi abituare.. ma ne e’ valsa la pena, a mio avviso!”