“Chi conosce cosa succederà? – ci aveva detto Liliana Cavani in aprile di passaggio a New York – È bello pensare che siamo vivi, diamo per scontato che tutto sia sempre uguale e invece è interessante porsi il problema: può finire e in quel caso che succede?” (https://lavocedinewyork.com/arts/2023/04/01/liliana-cavani-a-new-york-parla-della-fraternita-di-francesco-e-della-disumanita-della-guerra/)
Tutto è iniziato dai libri di Carlo Rovelli, noto fisico e divulgatore scientifico: la regista li ha letti e ha sviluppato una curiosità inappagabile per il tema del tempo, la sua scansione, il suo trascorrere e soprattutto la possibilità che non sia infinito come ci fa piacere pensare. Così con la collaborazione del fisico e dello sceneggiatore Carlo Rovella dopo vent’anni è tornata al cinema (il suo ultimo lavoro e’ stato Il gioco di Ripley da Patricia Highsmith) con L’ordine del tempo presentato dal Festival di Venezia fuori concorso. Intitolato come il saggio di Rovelli pubblicato da Adelphi, il film sviluppa i concetti teorici fisici in una storia corale dove le riflessioni sulla caducità dell’esistenza si intrecciano alle azioni e alla vita dei personaggi. Siamo a Sabaudia, sullo sfondo il meraviglioso Circeo, nella casa di Elsa (Claudia Gerini) e Pietro (Alessandro Gassman). Lei festeggia il suo cinquantesimo compleanno e ha invitato gli amici di una vita, ma i brindisi e la leggerezza della festa sono presto sconvolti dalla notizia che un asteroide, Anaconda, sta per schiantarsi sul pianeta terra. tutto potrebbe finire da un momento all’altro e allora come si è vissuto? cosa si vorrebbe fare prima e cosa se non finisse tutto? e cosa si deve confessare prima di non poterlo fare più?
Liliana Cavani inizia con il greco a lei così familiare e caro per i suoi studi classici e ci illustra, attraverso la lezione che Elsa dà alla figlia Anna, i diversi termini usati per definire il tempo, chronos o il tempo cronologico, aiòn, il tempo trascendentale, kairòs, il tempo indeterminato, eniautos, l’anno solare. Solo dopo, quando ha iniziato a delineare i suoi personaggi (il cast è eccezionale da Ksenia Rappoport a Valentina Cervi, Francesca Inaudi, Richard Sammel, Fabrizio Rongione, Angeliqa Devi, Ángela Molina) introduce l’amico fisico (Edoardo Leo), e affida a lui il compito di svelare che tutto potrebbe finire in un istante.

E’ un po’ il problema sollevato da Don’t look up, il film con Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence del 2021, ma quando ne ho accennato alla Cavani a New York sembrava non lo conoscesse e non le interessasse. Il suo interesse infatti è assolutamente psicologico e la sua riflessione si sofferma sull’importanza dell’amore. Ma alla conferenza stampa a Venezia le è stato chiesto anche del suo passato di quale film fosse stato importante e non e lei ha detto: “Venezia ha avuto un ruolo speciale nella mia carriera, la prima volta è stato nel 1961: vinsi un premio con un documentario sul processo di Vichy, ma ero in vacanza e non venni a ritirarlo. Per quel documentario ho dovuto studiare molto perché conoscevo tutto sulla guerra del Peloponneso e non della seconda guerra mondiale. E fu per me una rivelazione che ci fossero ancora dei nazisti in giro, del resto ce ne sono ancora… così come c’è gente che nega la Storia, nega l’esistenza dei lager, ecco i negazionisti li legherei a una poltrona davanti ai filmati che ho visto io, quel materiale lo dovrebbero vedere tutti, lo dovrebbero far vedere nelle scuole.
E qual è stato il momento più bello della sua carriera? le viene chiesto ci pensa un po’ poi: “be’ oggi è molto bello qui e poi mi sono trovata molto bene con questo gruppo di attori molto bravi con cui ho trovato grande sintonia come se li avessi conosciuti prima questo ha permesso una atmosfera di leggerezza, mai noia.”
La noia Liliana Cavani non l’ha mai provata in una carriera giustamente coronata stasera dal Leone d’oro consegnatole dopo la laudatio di Charlotte Rampling, protagonista dell’indimenticabile Portiere di notte.