La sua vita è stata il sogno americano di un giovane emigrato, partito nullatenente o quasi dalle montagne lucchesi e diventato al di là dell’oceano un magnate dell’entertainment.
Il più grande impresario di spettacoli al mondo. Non a caso lo chiamavano Mister Wonderland, ovvero il signore delle meraviglie, molto prima che Walt Disney nascesse. La definizione era ricalcata sul nome del maestoso teatro aperto nel 1893 a New Haven, la città che l’aveva accolto offrendogli una straordinaria opportunità.
Presa al volo da Silvestro Zeffirino Poli, registrato all’anagrafe di Bolognana – paesino nella Valle del Serchio – come venuto alla luce il 31 dicembre 1858: un italiano che dal niente ha fatto grandi gli Stati Uniti. Famiglia umile, papà, mamma e sei figli, imparò subito la legge della strada smerciando porta a porta focaccine fatte in casa. La porta girevole fu il trasloco a Coreglia, nelle immediate vicinanze, dove c’era l’antica tradizione dei figurinai: scultori di un’arte povera – realizzavano statuine perlopiù religiose di gesso – che piaceva alla gente comune. Zeffirino, sveglio e dalle mani capaci, imparò il mestiere e se lo tenne stretto nel viaggio avventuroso verso la Francia.
Aveva 13 anni e un obiettivo: vendere, vendere, vendere. Le statuine erano così ben fatte che Zeffirino fu assunto a realizzare volti famosi in cera per il Museo Grévin a Parigi. Pian piano mise da parte un gruzzoletto e se ne tornò in patria a costruire il suo più ambizioso progetto: andarsene in America.
Salì sulla nave a Genova e sbarcò a Ellis Island assieme a centinaia di braccianti che lasciavano l’Italia post unitaria per cercare fortuna all’estero. New York nel 1881 era una babele di lingue e dialetti, le statuine create di notte in un piccolo laboratorio – Zeffiro un talento ce l’aveva – attraevano gli emigranti venuti da ogni angolo del mondo. Soprattutto sbalordivano le teste di cera, barbe e capelli autentici, che replicavano le fattezze di celebri criminali e fenomeni da baraccone. Le cose vanno talmente bene che, anziché continuare a lavorare in conto terzi, il giovanotto dalle idee chiare si mette in proprio aprendo bizzarri musei itineranti a Toronto, Rochester e Staten Island.

Finché nel 1885 incontra Rosa la genovese, intraprendente come lui, che diventa sua moglie, gli dà due figli (sarebbero diventati cinque) e lo convince ad andar via dalla caotica metropoli per mettere su casa a New Haven dove esisteva già una colonia lucchese. Lì, nel Connecticut, apre il suo primo vero locale: è il 1893, lo spettacolo può finalmente cominciare nel Poli’s Wonderland Theatre. Pietra angolare di un impero che comprendeva grandi alberghi – il Savoy a Miami -, decine di cantieri e centinaia di uffici.
Ma soprattutto Silvestro (primo nome obbligato dal calendario per chi era nato il 31 dicembre) arrivò a possedere e gestire trenta strabilianti teatri-cinema nel nordest degli States. Waterbury, Bridgeport, Meriden e Hartford in Connecticut, Springfield e Worcester nel Massachusets, Jersey City, Wilkes-Barre e Scranton in Pennsylvania, quindi Washington: il crescente successo delle sue attività procedeva di pari passo con l’espansione industriale.
“Non vi scorderò, voi non dimenticatevi di me”, si era raccomandato partendo per l’ignoto. Un secolo e mezzo più tardi la promessa è mantenuta. Bolognana, luogo del cuore e delle radici, celebrerà il figlio illustre dedicandogli tre serate in piazza – il 5, 6 e 7 agosto – attorno allo schermo allestito sul sagrato della chiesa. Sarà un mini festival organizzato dalla Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana, tre proiezioni a 130 anni dall’inaugurazione del Wonderland Theatre: La febbre dell’oro (The Gold Rush, 1925) diretto, interpretato e prodotto da Charlie Chaplin; Come vinsi la guerra (The General, 1926) di Buster Keaton; Freaks (1932) per la regia di Tod Browning.
L’evento è in fondo un atto di riconoscenza. L’intera vita di Poli è intrecciata alla nascita del cinema e dell’industria del divertimento di massa, con uno sguardo speciale per gli italian-americans. L’uomo che veniva da una gavetta durissima non poteva ignorare chi nelle fabbriche si ammazzava di lavoro 12-14 ore al giorno. Finito il turno quella gente aveva bisogno di ridere, pensare ad altro, divertirsi. Aveva bisogno di incanto, sogno e stupore. E doveva spendere il minimo – 25 centesimi – per il biglietto d’ingresso nella terra incantata. Houdini il mago, Chaplin, la provocante Mae West, il mattatore Jimmy Durante, la vamp Theda Bara, George Burns il ragazzo irresistibile, perfino il mito della frontiera Buffalo Bill: tutti i divi, ma proprio tutti, sono saliti sul palcoscenico. Non bastasse, aveva formato una sua compagni di artisti.

Le locandine di Mister Wonderland erano un gran varietà inesauribile, semplice e diretto: il vaudeville, il cinema muto di Edison e dei fratelli Lumiere, le grandi pellicole sonore. E la magia dei teatri rappresentava una parte dello spettacolo: sale sfarzose, colonne di marmo, volte affrescate in stile pompeiano, vetrate liberty, palchi dorati, velluti, lampadari scintillanti. Lo splendore della Belle Époque, o meglio della Gilded Age, alla portata anche dei poveri fra integrazione e democrazia. Solo un paio di quei gioielli sono vivi, racconta il docufilm di Valerio Ciriaci, Luca Peretti e Isaac Liptzin: il Majestic a Bridgeport, colosso da 3200 posti in stato d’abbandono, e il Palace di Waterbury, 2200 posti, riportato all’antico splendore una ventina d’anni fa.
Entrambi disegnati nel ’22 dall’architetto Thomas Lamb, geniale scozzese trapiantato a Manhattan. Il secondo palco dal basso, al Palace, era quello di Zeffirino: la leggenda dice che lui sieda ancora lì, ogni sera, a godersi lo spettacolo. <Speriamo che piaccia al signor Poli>, commentano i gestori di oggi. Al culmine del successo, l’emigrante toscano – non rinunciò mai alla cittadinanza italiana – cedette l’impresa al tycoon William Fox. Salvo ricomprare le proprietà dopo il tracollo del ’29 per evitare il disfacimento della grande bellezza. Fu il suo ultimo romantico colpo di coda: la morte nel ’22 del primogenito Edward, erede designato, aveva cambiato disegni e prospettive. Così nel ’34 Poli vendette per la seconda volta: l’acquirente era la catena di Marcus Loew, tuttora dominante in Nord America.
Zeffiro si ritirò nella tranquillità della Villa Rosa intitolata alla moglie a Woodmont, sobborgo di Milford, dove festeggiò i cinquant’anni di matrimonio con una festa grandiosa aperta a chiunque desiderasse partecipare. Giornata benedetta dal biglietto di auguri del presidente Franklin Delano Roosevelt. Oltre alla residenza principale, la tenuta comprendeva dieci cottage in riva al mare fatti costruire per figli e nipoti. Morì a 78 anni il 31 maggio del ’37. Negli ultimi mesi aveva ripreso in mano lo scalpello per lavorare, in giardino, alle statuine di gesso da cui tutto aveva avuto inizio. L’ultima insegna dei suoi teatri si sarebbe spenta nel 1976, vero addio a Mister Wonderland.