Rifiuta la macchina blu, gira a piedi, in mezzo alla folla, nelle stradine assolate di Ostuni. Si mischia fra il pubblico di tutte le masterclasses, tutte le proiezioni, come se a scuola di cinema dovesse andare lui.
Jeremy Irons all’Allora Fest è una presenza gentile, riservata, senza pretese da star. Il premio Oscar per “Reversal of Fortune” arriva in compagnia della moglie, Sinead Cusack, e si cercano con lo sguardo fra la folla quando si allontanano, entrambi sempre sorridenti. E quando é il momento della sua masterclass davanti agli studenti della Rome Film Academy, la sala è stracolma. Si parla di recitazione e l’attore racconta che “The Mission” di Roland Joffe è uno dei suoi film preferiti perché è stato uno dei più difficili.
“Nel film ero un prete gesuita cattolico e io non sono né un prete né un gesuita né un cattolico. Mi sono documentato sui gesuiti ed ho molta ammirazione per loro che hanno dato inizio a modo loro alle prime società comuniste del mondo. Non gli è andata molto bene. Era una società creata sul modello di un’altra, come gli americani che hanno cercato di imporre le democrazie in medioriente. Cerchiamo sempre di dire agli altri come devono comportarsi e i gesuiti non erano diversi. Nonostante questo erano incredibili. Hanno portato la musica, straordinaria. E per renderla, chi ha composto la musica del film, Ennio Morricone, ha creato la colonna sonora più bella che abbia mai sentito.

La scelta dei personaggi
“Due cose di me spiegano come scelgo i ruoli. Prima di tutto: sono diventato attore perché volevo essere uno zingaro, volevo rimanere fuori dalla società e discuterne con un gruppo di amici intorno a un fuoco in un bosco. Molto romantico. Volevo rimanere ai margini di quel contesto in cui ero stato cresciuto e che non mi piaceva. La seconda mia caratteristica è che mi piace riparare le cose. Quando studiavo recitazione andavo alle aste e compravo mobili, sedie, qualsiasi cosa fosse in condizioni terribili per poterla riparare, riportarla alla vita. Quando sono diventato più vecchio e più ricco ho cominciato a fare questa stessa cosa con le case. Per esempio 15 anni fa ho comprato un castello abbandonato in Irlanda e l’ho restaurato e ora ci vivo.
Questo è il mio approccio alla recitazione. Intravedo l’embrione di un personaggio e se penso che posso dargli vita lo faccio. Altrimenti no. Ricordo una volta che la babysitter ha risposto al telefono e tutta eccitata è corsa da me per dirmi che mi voleva parlare Clint Eastwood. Mi proponeva di lavorare in un suo film. Gli ho chiesto di mandarmi la sceneggiatura ma quando l’ho letta l’ho richiamato per dirgli che la sceneggiatura era bella ma era più adatta a Richard Harris. È stato così che Richard ha fatto quel film, Unforgiven, e ha vinto anche un Oscar”.
Scrivere una sceneggiatura
“Ne ho scritta una. Ogni tanto, dopo aver letto tante sceneggiature che non valgono niente, la rileggo e penso è magnifica, ora la dirigo, ma poi non vado oltre, non ho il coraggio di lanciarmi nell’impresa di realizzarla. Sono un attore, ho un tempo di attenzione limitato. Mi preparo fino all’ultimo momento, recito poi è finito, è il mio metabolismo. Vedo le interpetazioni come pezzi di un patchwork. Fai i tuoi piccoli quadrati, il regista li mette insieme e ne fa un copriletto. Il mio lavoro è rendere viva ogni scena, interessante, degna di essere cucita nell’insieme. Dirigere un film è un lavoro di anni. E io ho attenzione e creatività troppo concentrate nel tempo”.
Lavorare in Italia o con registi italiani
“Una delle cose migliori del lavorare con i registi italiani è sicuramente il cibo. Con Bernardo Bertolucci, molto sensibile, gentile, anche molto egocentrico, amico tutta la vita, ho trascorso una bellissima estate in toscana. Aveva una tenda tanto grande da ospitare l’intero staff, c’erano tavoli con tovaglie di lino, pieni di bottiglie di vino e passavamo un’ora e mezza a pranzo molto piacevole mangiando piatti preparati dal suo chef prima di tornare al lavoro. Zeffirelli uguale. Non aveva una tenda, ma in Romania, dove abbiamo girato “Callas forever”, viveva in un bungalow, a pranzo andavamo da lui e il suo chef ci preparava pasta o altro. Poi di nuovo sul set.
L’altra cosa che distingue i registi italiani è la passione, una passione enorme che può portare in direzioni opposte. Con Tornatore per esempio abbiamo avuto delle battaglie tremende sulla sceneggiatura perché era tradotta dall’italiano e io gli dicevo guarda che non si dice così in inglese e lui mi rispondeva ma in italiano è perfetto! io insistevo e lui non mi dava retta e quando il film è uscito in inglese era terribile. Tornatore è una persona fantastica, ma sulla sceneggiatura abbiamo avuto problemi”.
Il momento più bello della vita
“Quando ho visto nascere i miei figli. Ora ho momenti di grande felicità con il mio cane e il mio cavallo, mia moglie si avvicina al mio cane e il mio cavallo…”.