Sono ormai due mesi e mezzo che Broadway sembra una vecchia città abbandonata: teatri vuoti con porte serrate, insegne spente che lasciano in evidenza la struttura metallica di quelle lettere piene di lampadine che di solito brillano di mille luci per attirare l’attenzione, per reclamizzare nomi e titoli di spettacoli che nella scorsa stagione hanno portato 1.8 miliardi di dollari di incassi con quasi 15 milioni di spettatori (dati del New York Times, Michael Paulon May 29 2019). Ma una pandemia non risparmia niente e nessuno e dal 12 Marzo 2020 tutto è chiuse e spento per salvaguardare la sicurezza di tutti. Pochi giorni fa la presidente della Broadway League Charlotte St. Martin ha annunciato la proroga al rimborso dei biglietti già acquistati fino al 7 settembre, Labour Day (il nostro Primo Maggio) ma ancora non ci si pronuncia sulla quando si potrà di nuovo calcare un palcoscenico.
Ciò con cui forse è più difficile fare i conti è il fatto che mentre da una parte non si fa che sottolineare quanto sia importante la cultura per elevare l’essere umano e renderlo più cosciente, consapevole, ricco e quindi anche più giusto, saggio e lungimirante, dall’altra tutte le attività che ruotano intorno all’arte e alla cultura sono le prime ad essere state interrotte e saranno sicuramente le ultime a riprendere, proprio perché necessitano di vicinanza e contatto umano. Un bel paradosso direi!
Il problema non si pone tanto nel breve periodo; il mondo dello spettacolo infatti, in termini di fruizione per il pubblico, ha saputo riorganizzarsi velocemente: molte compagnie hanno messo a disposizione i loro archivi e su You Tube è possibile trovare spettacoli teatrali, balletti, concerti; le tv a pagamento, già da diverso tempo, rappresentano un’alternativa alle sale cinematografiche. Oggi il web e le case private dei personaggi pubblici sostituiscono le sale teatrali o gli studi televisivi dei late show o i locali degli stand up comedy, addirittura i grandi palchi dei concerti si sono trasformati nei salotti dei performer che continuano ad esibirsi dalle loro case. Ma cosa succederà nel lungo periodo? Perché diciamolo chiaramente: le pandemie si risolvono in lunghi periodi (l’influenza suina e la spagnola durarono due anni, l’ asiatica quattro), e noi siamo appena al terzo mese di lockdown!
L’uomo per natura non si trova a suo agio nel dubbio e nell’incertezza, ha bisogno di rassicurazioni e risposte chiare e possibilmente positive, tutto quello che è impossibile garantire durante una pandemia, soprattutto se affrontata in un modo diverso da ogni paese del mondo. È impossibile determinare cosa succederà al mondo dello spettacolo, almeno nell’immediato, perché se è vero che tutte le passate produzioni possono essere rese disponibili su tutti i nuovi mezzi di comunicazione, cosa succederà a tutte le categorie dello show business nel lungo periodo? Come e quando si potrà tornare a girare un film o a rappresentare uno spettacolo ? Come si faranno le prove se starsi vicino è pericoloso? Come si mette insieme un’orchestra? Come si solleva una ballerina? Come si allestisce un set? Come si bacia Romeo? I cosiddetti addetti ai lavori, lasciati sospesi a non fare il loro mestiere e consapevoli che saranno gli ultimi a tornare al lavoro come affrontano l’ignoto?

In Italia il problema è gigantesco: i lavoratori dello spettacolo non hanno dei sindacati come qui in America, non hanno nessun tipo di copertura, non hanno rimborsi, cassa integrazione, bonus per partita iva… in Italia sono dei disperati senza nulla. Solo recentemente un decreto governativo ha stanziato un contributo di €600 (quello destinato a chi ha partita iva) anche per i lavoratori dello spettacolo.
E a New York quali sono la situazione e le prospettive dei lavoratori dello spettacolo?
Ne ho parlato con due protagonisti: una “giovane” attrice ed un attore e regista affermato con i quali ho provato a tracciare un quadro del presente e del futuro dal quale emerge in realtà tutta l’incertezza determinata dalla contingenza.
Amy Frances Quint è un’attrice americana nata a Roma dove ha speso la sua infanzia e adolescenza e che poi si è trasferita a New York per intraprendere la sua carriera di attrice. Ha una sua compagnia teatrale, Quattro Gatti della quale è cofondatrice, ed appartiene anche alla compagnia Sheakespeariana Frog&Peach.

Amy, avevi progetti in corso al momento dello shut down?
Amy: “Beh con la Frog&Peach avevamo uno spettacolo che era in prova e dovevamo aprire il 24 Aprile con As You Like It di Shakespeare al Sheen Center. Quindi eravamo nel bel mezzo delle prove a Times Square quando hanno chiuso i teatri e si è presa la decisione immediatamente di sospendere. Fortunatamente il teatro ha potuto restituire i soldi dell’affitto interamente. Quindi certo è una delusione per la compagnia ma siamo in una posizione migliore di molte altre che magari gestiscono il proprio spazio. Sono queste le compagnie che stanno soffrendo molto perché non ci sono soldi per pagare l’affitto, gli stipendi, eccetera. É una situazione che davvero spezza i cuori”.
In Italia gli attori in questo momento non hanno nessun tipo di copertura. Qui a New York invece esistono le Union, forme di sindacato che inquadrano gli artisti come tutti gli altri lavoratori e oggi possono infatti chiedere la disoccupazione. Gli artisti qui sono più tutelati?
“Si e no. La disoccupazione funziona per chi lavora con più stabilità e per spettacoli ben pagati perché il sussidio viene dato sulla base del tuo reddito percepito nell’anno precedente e necessita di una certa continuità di guadagno. Ma se sei un giovane attore, fai lavori off off broadway o piccoli film indipendenti, lavori ad intermittenza o, come spesso avviene anche qui, “off the books” (in nero n.d.r.) allora non raggiungerai mai il minimo necessario per averne diritto. C’è di buono però che l’Actors Equity Association, che è la Union degli attori di teatro, ha creato il Curtain Up Fund, un fondo a sostegno degli artisti a rischio a causa del Covid-19″.
Hai progetti con le tue compagnie che riescano ad adattarsi alle necessarie misure di sicurezza?
“Beh sì, stiamo pensando a modi alternativi per cercare di mantenere un rapporto tra noi attori ed il pubblico. Con la mia compagnia Quattro Gatti facciamo di solito lavori originali non solo teatrali ma anche film e web series e lavoriamo quando abbiamo un’ispirazione, quindi il modo di produrre non è cambiato molto. Con la Frog&Peach invece usiamo Zoom e facciamo interviste per presentare gli attori, raccontare lo spettacolo in preparazione e poi magari recitiamo una scena o un monologo e pubblichiamo su Facebook per non perdere tutto il lavoro fatto ed il contatto con il pubblico. Ora c’è da esplorare nuove possibilità: il bello del teatro è proprio la connessione che è difficile trovare nel mondo virtuale; in quanto esseri umani abbiamo bisogno di socializzare e creare e stiamo cercando alternative sia per fare teatro che nella vita quotidiana”.
L’interruzione di tutte la attività artistiche ha chiaramente un forte impatto economico sulla società. Pensi che avrà anche un impatto culturale? Cambierà la dinamica teatrale ed il suo significato intrinseco basato sullo scambio tra artisti e pubblico?
“Il teatro è già cambiato rispetto al passato perché è fluido e si modifica continuamente ma non può prescindere dalla necessità del contatto umano quindi penso che tornerà anche più forte di prima perché la gente ci manca e speriamo che alla gente stia mancando terribilmente il teatro così da avere, quando si riaprirà, un boom esplosivo proprio per favorirne la ripresa”.
Austin Pendleton (Ma Papà Ti Manda Sola, My Cousin Vinny) è un attore, scrittore e regista formatosi all’HB Studio presso il quale oggi insegna. Più di cinquant’anni di carriera, raccontanti nel documentario Starring Austin Pendleton.

Signor Pendleton, cosa vuol dire essere un attore oggi a NYC? Quali sono le sue prospettive, considerato che sarà sicuramente una situazione a lungo termine?
A. Pendleton: “Vuol dire che forse, se sei fortunato, ti chiederanno di fare qualche lettura su Zoom. A volte è richiesta una prova o due ma il più delle volte sono letture a freddo. Può essere stimolante”.
Come è protetto e sostenuto un attore nel sistema Americano?
“L’Actor Equity sta elaborando complicate formule per erogare soldi agli attori che non riesco sempre a capire bene ma sono decisamente colpito dall’impegno”.
Sa immaginare un modo alternativo di fare arte rispettando la distanza sociale e che sia possibilmente redditizio in modo da non mettere tutta la macchina produttiva in pausa a tempo indeterminato?
“Per la recitazione “distanza sociale” pare voglia dire Zoom, è diventata una specie di forma d’arte. Ha i suoi limiti ma funziona meglio di quanto si potesse immaginare. Per ora non sembra poter essere remunerativo ma mantiene i meccanismi oliati”.
Lei è anche insegnante all’HB Studio e tutta la didattica ora è via internet. Come funziona una lezione on-line? Ha classi normali o individuali? È più difficile? Si perde molto dovendo evitare contatti?
“Le lezioni si stanno tenendo come se fossero di persona. Gli studenti provano e recitano attraverso Zoom. Se in tempi non sospetti qualcuno mi avesse detto che avrebbe funzionato avrei riso ma sembra davvero funzionare. Forse perché gli attori pensano alla scena come ad una situazione in cui i personaggi sono, sul piano emotivo, solo metaforicamente in due stanze diverse e si lavora per cercare di portare l’emotività dell’altro nella propria… qualcosa del genere, comunque impegnativo. Nelle scorse settimane è uscito fuori un sacco di buon lavoro”.
Progetti personali o artistici in questa pandemia?
“Ne ho tanti. Uno è quello di mettermi in pari con l’enorme quantità di email che ricevo e mantenermi in contatto con gli amici con una certa regolarità. Un altro è quello di scrivere e fare finalmente tutta la ricerca che i lavori che ho in mente necessitano. Ed il più importante di tutti: stare con mia moglie. Guardiamo MSNBC tutte le sere dalle nove a mezzanotte, tutta la scaletta: Rachel Maddow, Lawrence O’Donnell, Brian Williams. Da mezzanotte all’una guardiamo tutte le repliche di Golden Girls (tradotto in Italia con Cuori Senza Età n.d.r.). E l’altro importantissimo progetto è quello di stare in contatto quotidiano con mia figlia e suo marito. Sono entrambi dottori impegnati in ospedale con pazienti affetti dal COVID-19”.
Il lockdown ha ovviamente un impatto economico sulla società ed è quello più facilmente percepibile. Ha o avrà ripercussioni anche al livello culturale?
“La pandemia avrà sicuramente un enorme impatto culturale… non ho la più pallida idea di quale esso sarà”.
Pensa che cambieranno il senso ed il significato del teatro? Cambierà la sua dinamica? O tutto questo è solo temporaneo e tutto tornerà come prima?
“Non saprei proprio a cosa si tornerà quando tutto questo sarà finito. Ho la vaghissima sensazione che sarà qualcosa di più semplice e meno elaborato di quello che avevamo. Non so nemmeno cosa voglio dire esattamente!”.
Non ci è proprio dato avere un’idea chiara di quello che stiamo vivendo e tanto meno di quello che verrà… quello che è certo è che la capacità di reazione dell’essere umano è storicamente provata quindi c’è speranza che da questo caos emerga nuova creatività, nuovi stimoli, nuove possibilità. E magari ne deriverà un nuovo interesse, più forte di prima, che renderà l’arte e la cultura ancor più necessarie. Speriamo!