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March 29, 2019
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Le serie Tv imperdibili per capire l’America di oggi: intervista a Anna Camaiti Hostert

Ha insegnato filosofia e Visual studies nelle Università di Roma, Chicago e Los Angeles, e tra i suoi ultimi libri c'è “Trump non è una fiction”

Riccardo GiumellibyRiccardo Giumelli
Le serie Tv imperdibili per capire l’America di oggi: intervista a Anna Camaiti Hostert

Donald Trump (tiburi / Pixabay)

Time: 5 mins read

Ci sono gli articoli del New York Times, del Washington Post, del Wall Street Journal, de La Voce di New York e di tanti altri giornali. Ci sono i grandi film americani, di Hollywood soprattutto. Poi arrivano i newsfeed dai social, i tweet di Trump e di altri a raccontarci l’America di oggi, come la vediamo, la percepiamo. Forse, però, abbiamo dimenticato qualcosa. L’America la conosciamo sempre più attraverso le serie tv. Provate a chiedere ad un giovanissimo cosa sappia dell’America (e l’ho fatto). Si noterà presto che il suo immaginario è pregno delle tantissime serie tv viste. Parlare di America, conoscerla, significa capirla, simbolicamente parlando, anche attraverso la sua produzione seriale. Per cercare di capire un po’ di più abbiamo incontrato una grande esperta del tema: Anna Camaiti Hostert, doppia cittadinanza, vive un po’ in Italia – a Roma – e un po’ negli States – Chicago da più di trent’anni. Ha insegnato filosofia e Visual studies nelle Università di Roma, Chicago e Los Angeles. Ha scritto molti libri e uno dei suoi ultimi è “Trump non è una fiction”, la nuova America raccontata attraverso le serie televisive. Ne parliamo nella sua bella terrazza romana e questo è il risultato della nostra “chiacchierata”.

Innanzitutto come nasce il libro, che non può passare inosservato anche per il suo titolo, quantomeno, curioso?
“Nasce, prima di tutto perché sono un’appassionata di serie tv e poi perché vivo da trent’anni negli Stati Uniti e ho capito alcune, poche, cose. Una di queste è che dal 2001 le serie tv americane hanno riprodotto alcuni elementi del costume e della società americana che nessun altro media ha fatto. Ad esempio, il grande trauma del post 11/9 fa sentire gli americani, per la prima volta, vulnerabili. Lo si vede nei Soprano, seppur sia iniziata nel’99, e in The Wire, dove gli eroi negativi appaiono quasi simpatici. Uno tra questi è lo spacciatore Idris Elba che, catturato, si scopre  leggesse Adam Smith: “La ricchezza delle nazioni””.

Prima del 2001 quindi i ruoli del buono e del cattivo erano più chiari?
“Sì, prima l’eroe era solamente il buono. Dopo gli americani scoprono di non essere amati. Di essere dei villain che portano le guerre, non rispettosi delle altre culture. Così, molti degli elementi latenti della società americana, soprattutto con la grave crisi economica del 2008, esplodono: razzismo, omofobia, misoginia. Tutti elementi che nelle serie sono rappresentati e che hanno determinato l’elezione di Trump. Ma se uno va a vedere serie come Justified, Rectify, Breaking Bad, Mad Men, avrebbe potuto comprendere che tale elezione non è affatto una sorpresa.

Dobbiamo partire dall’idea che dal cinema d’autore siamo passati alle serie d’autore. L’interesse suscitato dalle serie, rispetto ai film, deriva anche dal fatto che i personaggi vengono descritti a tutto tondo e questo andare nel profondo permette di raccontare con più attenzione la cultura popolare americana e forse di anticiparla”.

Hai diviso il testo in temi che vengono affrontati trasversalmente nelle serie tv. Quale di questi ritieni che sia più americano?
“Uno è sicuramente il tema della addictions. L’altro è il razzismo. Per esempio nelle addictions non penso solo alle droghe, ma alle dipendenze dal cibo, lavoro, corpo,  sesso. Gli americani hanno bisogno di una dipendenza in grado di rassicurarli. Nel loro modo di vivere è presente un’ansia esistenziale che deve essere calmata. È un paese fatto di grandi contraddizioni che coesistono, normalmente in via pacifica, ma che sono sempre pronte a esplodere. Così, nelle serie scopri personaggi altamente performanti nella loro attività diurna ma che di notte si riempiono di tranquillanti.

È anche la conseguenza di un senso diffuso del prendersi la responsabilità di ciò che si fa. Sei solo, non c’è qualcuno ad aiutarti. Quindi, in alcuni casi ce la fai alla grande e in altri no e vieni schiacciato. In Italia non è proprio così.

Ricordiamoci poi che l’America nasce sulla segregazione e il razzismo, paradossalmente, si sviluppa parallelamente con i percorsi di autonomia dei neri. Ma non sono posizioni ideologiche. Lo racconta la serie Justified scritta da Elmore Leonard, dove l’attore principale Marshall, poliziotto, e il coprotagonista fuorilegge mostrano una solidarietà che va oltre le ideologie, razziste o meno, di ruolo  o meno, perché “we dug coal together””.

Anna Camaiti Hostert.

Quali sono le differenze con la fiction italiana?
“L’essere fedeli alla realtà senza edulcorazione, come in The Wire o Breaking Bad, dove i protagonisti lasciano degli spiragli, mostrando le imperfezioni umane. Nelle serie italiane o abbiamo la mielosità di Don Matteo o abbiamo Gomorra dove non salvi neanche un personaggio. Gli americani si “scorticano” vivi, rendendo le serie appetibili e credibili”.

Quali sono le relazioni tra Serie Tv e zone geografiche americane?
“Molte sono girate nel sud. Per sud s’intende, negli USA, gli ex Stati confederati. Non la California e la Florida che comunque si trovano geograficamente a sud. C’è per esempio questo Southern Gothic, che è un modo di vivere e di vedere la società fortemente caratterizzata dalle divisioni di classe. True detective, Rectify raccontano una passionalità dei personaggi, mentre quelli degli altri stati si controllano di più. Nella California le serie sono molto innovative, come Trasparent, dove un signore decide di diventare donna. A NYC, invece, si ripercorre l’evoluzione del costume americano come in Mad men. Il luogo è un personaggio della serie”.

Quali sono le serie che consiglieresti per capire come è diventata l’America del XXI Secolo?
“Sicuramente Mad Men, Breaking Bad, Justifed, The Wire. In ogni caso bisogna dire che oggi anche il modo di vedere le serie è cambiato. Con Netflix e Amazon Prime puoi fare binge watching e vedere una puntata dietro l’altra. Una delle ultime più premiate è La meravigliosa Signora Maisel, una signora che diventa comica. È divertente, una commedia che però nasconde una profonda repressione. Una repressione presente anche The Man in the High Castle, che propone cosa sarebbe successo se la seconda guerra mondiale fosse stata vinta dalla Germania e dai suoi alleati. L’America è divisa in tre: tedesca, giapponese e una zona neutrale. Rappresenta però lo spirito del momento, cioè la repressione che si trasforma in resistenza sotterranea e che può esplodere in qualsiasi momento e sotto varie forme”.

A questo punto abbiamo molti consigli e ci aspettano diverse ore per guardare le serie tv e capire ancor più l’America. Buona visione.

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Riccardo Giumelli

Riccardo Giumelli

Un aforisma che più di altri mi rappresenta è quanto scrisse Machiavelli, citando Boccaccio: “che gli è meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi”. Come loro sono toscano, animo inquieto in cerca di porti per approdare e ripartire. Dopo gli studi in Scienze politiche, ho iniziato ad amare i libri, fare ricerca e scrivere, al punto da rimanere nell’Università, prima Firenze poi Trento. A Dijon e poi a Parigi, ho lavorato alla Camera di Commercio italiana e all’OCSE. Tornato in Italia, sono approdato a Verona, dove faccio ricerca e insegno. Intanto un matrimonio e due splendide gemelline. Mi occupo di sociologia, cultura e comunicazione. Tra tanti nuovi inizi e altrettanti epiloghi, una costante: ho sempre tifato Inter. Infatti soffro di stomaco.

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