Vi ricordate cosa accadde a Ferguson, nello stato del Missouri, dopo la morte di Michael Brown, il teenager di colore che venne ucciso il 9 agosto di cinque anni fa da Darren Wilson, un poliziotto bianco? Nella città scoppiò una serie di proteste che divennero sempre più violente soprattutto dopo la decisione della giuria a novembre dello stesso anno di non incriminare Wilson.
A seguito dell’omicidio di Brown, l’ex procuratore generale Eric Holder, che ai tempi era a capo del dipartimento di giustizia americano, ordinò due indagini separate. La prima si concentrò sull’agente Wilson e la seconda sulla condotta del dipartimento di polizia di Ferguson.
Gli esiti delle indagini non sostennero la colpevolezza penale di Wilson, ma ciò che emerse dal rapporto finale su Ferguson fu la prova di un abuso di potere sistematico da parte delle forze della polizia. Si tratta di comportamenti che costituiscono una violazione della costituzione americana e delle leggi federali.
A detta del procuratore generale Holder, “l’indagine ha mostrato una comunità profondamente polarizzata; una comunità dove la mancanza di fiducia e l’ostilità spesso caratterizzano i rapporti tra cittadini e polizia. Una comunità dove le autorità locali hanno una visione della legge non come uno strumento che protegge i cittadini ma come uno strumento che genera profitti.”

È questa la tematica del documentario Crime+Punishment: cosa succede quando le cifre sono al di sopra della pubblica sicurezza. Ma al centro del film c’è New York, non Ferguson, Missouri. Il documentario mette a fuoco il dipartimento di polizia della Grande Mela, la stessa città che ogni anno attrae milioni di turisti e che in qualche modo rappresenta un bastione liberal dell’America di oggi. Il documentario è un brillante esempio di giornalismo di indagine da parte del direttore e regista Stephen Maing. La sua dedizione a quest’importante storia gli ha richiesto ben quattro anni di lavoro per completare il film.
Il documentario, il cui titolo è ispirato al romanzo del diciannovesimo secolo di Fyodor Dostoyevsky, racconta di dodici coraggiosi poliziotti, prevalentemente latinoamericani e afroamericani, che si rifiutano di arrestare sotto falsa accusa i propri concittadini per raggiungere le quote richieste dai loro superiori e ottenere una valutazione positiva delle proprie prestazioni lavorative.
I poliziotti “whistle blowers” sono dunque presi di mira, isolati e umiliati dai propri compagni di lavoro. Come poliziotti appartenenti a minoranze etniche, i dodici si sentono moralmente impegnati nella lotta contro la corruzione all’interno del loro stesso dipartimento. Con l’aiuto di un investigatore privato fanno causa al dipartimento di polizia della città di New York, mettendo a rischio se stessi ed il proprio lavoro.
Attenzione però, questo documentario non è tratto da un romanzo. Rappresenta ciò che sta succedendo realmente nel dipartimento di polizia nella città di New York. Racconta la storia di un comportamento che è stato esportato a Ferguson e in molte altre città americane e che in parte spiega come mai gli Stati Uniti hanno il tasso di incarcerazione più alto del mondo. È una pratica che si approfitta dei cittadini più vulnerabili e li sbatte in prigione.
Nel documentario incontriamo Pedro, un giovane arrestato sotto false accuse, che finisce per un anno intero nella prigione di Rikers Island dove aspetta di essere processato, visto che la sua famiglia non si può permette di pagare la cauzione. Purtroppo, il suo caso non rappresenta un’eccezione rispetto al sistema delle quote che di fatto incentiva gli arresti. Con il passare del tempo, la famiglia di Pedro riesce a raccogliere i $100,000 che servono per la pagare la cauzione e consentirgli di lasciare la prigione in attesa del processo. Il giorno del processo il giudice decide che il caso va annullato in quanto non esistono le prove per incriminarlo. Il minorenne non riceve alcun risarcimento per avere passato un anno in carcere e per avere interrotto la sua vita.

Dal punto di vista estetico, ho trovato affascinanti le immagini girate con i droni su New York all’alba e sulle stazioni della polizia nelle varie stagioni. Il regista Maing ci ha azzeccato perché queste immagini offrono una sensazione di pace mischiata alla premonizione che ci sia qualche cosa di profondamente sbagliato all’interno degli edifici visti dall’alto. Sono immagini in diretto contrasto a quelle riprese dalle telecamere nascoste. Immagini viste da vicino, sfocate e tremolanti.
Un altro aspetto positivo di Crime+Punishment è il fatto che il documentario offre allo spettatore una visione delle tante pratiche inefficaci e corrotte che contribuiscono a creare un sistema giudiziario nefasto. Mi riferisco ai patteggiamenti tra procura e avvocati difensori, al sistema delle cauzioni e ai molti incentivi che mettono il profitto prima della pubblica sicurezza. Siamo anche testimoni della politicizzazione della narrativa sulla giustizia penale. Una narrativa che criminalizza le comunità afroamericane in quanto parte inerente di quartieri infestati dai criminali e che giustifica le politiche forti della polizia contro la malavita. È una narrativa che si basa sulla paura.

Non vi racconto cosa succede nell’azione collettiva portata avanti dai 12 poliziotti ribelli perché dovete scoprirlo voi. Il documentario apre al pubblico il 24 agosto all’IFC Center di New York è sarà anche disponibile via streaming su Hulu. Di fatto però il dipartimento di polizia della città di New York non mette in atto nessuna riforma di sistema che cambia il modo in cui si comportano i poliziotti. Questo tipo di corruzione non è facile da sradicare. Significa ammettere di avere sbagliato e avere il coraggio di processare i responsabili politici e manageriali.
I dodici coraggiosi poliziotti non si danno per vinti, quindi non lo puoi fare neanche tu. Per questo motivo è necessario andare a vedere Crime+Punishment. Solo mantenendo alta l’attenzione su questo tema, un cittadino comune può fare pressione sul sindaco Bill de Blasio, sugli ufficiali di polizia e sui legislatori. Trovare scuse per incarcerare la gente e trarne profitto è un crimine. L’incarcerazione distrugge vite e ha un impatto enorme sulle famiglie e le comunità.