In Perfetti sconosciuti, Paolo Genovese, grande ammiratore di Mario Monicelli, di Ettore Scola e di Dino Risi, ha voluto indagare quanto a fondo conosciamo le persone che ci stanno accanto. Magari potremmo scoprire molte cose mettendo il naso negli smartphone, oggetto a che nascondiamo con ‘gelosia’ da occhi indiscreti. Il film è stato premiato nel 2016 al Tribeca Film Festival con il premio per la migliore sceneggiatura.
In The Place presentato come evento speciale alla Festa del Cinema di Roma, il regista romano ha invece raccontato cosa siamo disposti a fare per ottenere quello che vogliano. Seduto allo stesso tavolo tutti i giorni in un angolo di un ristorante e con un agenda in mano, un misterioso Valerio Mastrandrea riceve visite da nove personaggi che hanno poco tempo a disposizione per esprimere un desiderio. Alcuni di questi sono semplici da esaudire. Per le richieste più difficili, c’è invece un prezzo da pagare, ossia un compito da portare a termine che costringerà i richiedenti a scegliere se fare o meno ciò che l’uomo chiede loro di fare.
A lui si rivolgono un padre con il figlioletto malato di cancro, una donna che vuole riconquistare l’amore del marito, un poliziotto che vuol ritrovare il figlio, una ragazza desidera essere bella, una suora che vuole continuare a credere in dio, un meccanico che sogna una notte con la modella di un poster, un’anziana signora che ha bisogno della guarigione del marito, malato di Alzheimer, il cieco che vorrebbe tornare a vedere e un giovane sbandato che vorrebbe non vedere più il padre che gli ha rovinato la vita.
Chi si trovano davanti è un mostro? No, perchè lui i mostri li nutre dando loro quello che desiderano. Il film, che ha ricevuto otto candidature ai David di Donatello 2018, svela così le debolezze umane, mette a nudo le meschinità che abbiamo in ognuno di noi.

Per The Place, Genovese si è ispirato fedelmente ad una serie web americana, “The Booth at the End” di Christopher Kubasik. Come nella fiction, anche nel film non vediamo i personaggi svolgere i loro compiti, ma li scopriamo quando tornano per raccontare la loro storia. Parte dello scambio consiste nel fatto che devono descrivere ciò che hanno fatto, cosa che naturalmente fanno. E se qualcuno solleva obiezioni morali, Mastrandrea replica che si può sempre rifiutare l’offerta.

“Il meccanismo è quindi lo stesso di ‘Perfetti sconosciuti’: mettere in scena la scarsa moralità degli italiani”, ribadisce Paolo Genovese in un incontro a Cortinametraggio, il festival diretto da Maddalena Mayner che da 13 anni rappresenta il meglio della cinematografia «breve». Il regista, che è tra i giurati del nuovo Premio Medusa miglior sceneggiatura per un’opera prima di lungometraggio, racconta che il suo romanzo “Il primo giorno della mia vita’ potrebbe diventare un film da girare a New York.
Anche qui Genovese prova a scavare dentro per trovare quell’anima nera e confrontarci. “Ma questa volta non ci sarà il cinismo dei film precedenti”, spiega il regista. In un momento in cui tutto sembra andare a rotoli tra molestie sessuali, guerre, terrorismo e scandali politici, Genovese vuole fare un film sulla bellezza della vita. Il romanzo racconta la storia di quattro persone che hanno toccato il fondo. I personaggi sono tutti dei vinti, degli sconfitti dalla vita ma hanno una caratteristica in comune, la forza per risalire e voler ricominciare.
Una trama che sembra insomma poter funzionare solo a Manhattan, un posto dove convivono diverse culture, una città magica, travolgente, bellissima, per dirla con Pasolini. “Una di quelle città fortunate che hanno la grazia. Come certi poeti che ogni qualvolta scrivono un verso fanno una bella poesia. Mi dispiace non essere venuto qui molto prima, venti o trent’anni fa, per restarci”.