Quest’anno sono stata miracolata: non ho subito la maledizione di Sanremo; parodiando la maledizione di Montezuma. Per anni all’avvento del festival cadevo malata e non mi restava altro che stare distesa sul divano a guardare una conduzione ogni anno più becera. Finalmente lo scorso anno Carlo Conti non mi ha fatto venire i brividi per il fastidio culturale che provavo. Si è comportato dignitosamente, come dovrebbe fare ogni professionista preposto a tale incarico. Quindi quest’anno è stato riconfermato e premiato con un cachet di 650 mila euro. Su WhatsApp è subito partito il mantra: “Non guardate Sanremo” per protestare sull’enormità della cifra elargita dalla tv di Stato, a fronte di un debito Rai di 400 milioni, o forse più. Tuttavia non ho resistito alla curiosità di vedere se Conti, affiancato da Maria De Filippi, fosse davvero un essere superiore e quei soldi pubblici li meritasse. Pertanto a ragion veduta posso affermare che a Carlo e Maria, nonostante siano stati visti da metà del Paese, non si può affidare il governo dell’Italia, come auspicato dal comico Maurizio Crozza. Sono noiosi, ecco il punto. Mi sono divertita molto di più quando al governo c’era Matteo Renzi, brillante, sagace, sempre con la battuta pronta. Difatti Silvio Berlusconi, che è un esperto di media, dopo l’esito del referendum aveva dichiarato che era pronto ad assumerlo a Mediaset come presentatore.
Eppure nonostante il successo del cameriere più pagato del mondo, già prima della fine del festival si pensa a un altro personaggio a cui far servire il rancio sanremese del 2018. E si ritorna sempre sui soliti noti, che già hanno accumulato ricchezze pubbliche sprezzanti del ridicolo. Speriamo che resti Conti, con quel suo look da responsabile di sala d’albergo, nonostante i suoi abiti siano firmati Salvatore Ferragamo.
Carlo si chiamava anche il maitre dell’albergo di mio zio, molto più bello, elegante e charmant di Conti. Aspettava sempre pazientemente che decidessi quale consommè ordinare e nel frattempo occhieggiava la mia abbronzatissima mamma. Alla fine delle vacanze, lo sguardo rapito, si dichiarò: “Mi porti con lei, sarò il suo totem”. Voleva dire: factotum, tuttofare. In famiglia ne ridemmo per anni, ma oggi mi domando se Conti sia più totem, per il suo compenso divino, o factotum, in qualità di direttore artistico del festival. E c’è poco da ridere.

La prima sera Conti sfoggiava uno smoking di velluto marrone cangiante in bordeaux, appena più scuro del suo colorito caraibico. “Mai l’uomo in marrone”, scrisse mezzo secolo fa ne “Il libro degli snob” il duca di Bedford e tuttora non posso dargli torto. Ma sono rimasta basita dalla sottilissima cravatta nera indossata da Conti, che gli conferiva un look da becchino. Ecco che entra l’attore Raul Bova con la medesima cravatta e la medesima camicia con un colletto dalla foggia cheap, e allora capisco che la Rai da qualche parte doveva pur risparmiare. Raul si dimostra subito un bravo valletto; l’amico direttore artistico gli ha trovato la giusta collocazione? Poi scende la scalinata la bella compagna spagnola dell’attore che aveva fatto la valletta l’anno passato. Quest’anno niente vallette: per rispetto o soddisfazione del pubblico femminile? Rocio Morales è un esempio di morale: professa tutto il suo amore per Raul, il padre di sua figlia, e tutta la sua stima per Carlo, il loro datore di lavoro. Che tenerezza! C’è da piangere. Soprattutto per la retorica dei buoni sentimenti messa in scena da quella maitresse di finzioni che è Maria De Filippi, per l’occasione infilata in un vestito abat jour che le dona come una lampada spenta. In compenso la seconda serata si presenta direttamente in camicia da notte: abito di maglina con bordura ricamata. Sempre senza trucco e con occhialetti tondi da scolaretta. Certo il look di basso profilo è studiato per essere in linea con la sua personalità manageriale e il suo stile di vita sportivo. Solo che è studiato un po’ troppo o troppo poco con il risultato che la povera Maria farebbe più figura nuda che vestita. Ma la regina è davvero nuda quando presenta gli eroi del terremoto, sottolineando che rischiano la vita senza badare ai soldi… Ergo chi non rischia, bada ai soldi; Maria docet.
Carlo Conti però non è un bravo cerimoniere: affibbia senza garbo alle partecipanti di sesso femminile dei bouquet con la solita frase d’ordinanza: “I fiori di Sanremo per te”.
La terza sera è dedicata alle cover, i rifacimenti di vecchie canzoni, o meglio al copiare e coprire la mancanza di fantasia… Tuttavia vince “Amara terra mia”, che fu di Modugno, per l’interpretazione toccante ed originale dell’albanese Ermal Meta. Ma ad essere amari sono gli uomini, non la terra – penso oggi 10 febbraio, giorno del ricordo per non dimenticare gli infoibati italiani dai comunisti jugoslavi. Uomini che non appartenevano alla nostra terra e che ora la abitano e non vogliono ricordare la loro vergogna. Come abbattere il muro nei cuori? Non son solo canzonette… cari italiani, anche se sullo schermo cercano di farvelo credere.