I Ponti di Sarajevo è un film collettivo ad episodi, ciascuno diretto da cineasti europei, e costruito intorno a Sarajevo, “città-simbolo”, come l’ha definita Papa Francesco all’indomani del viaggio nella capitale bosniaca: “Per secoli è stata luogo di convivenza tra popoli e religioni, tanto da essere chiamata Gerusalemme d'Occidente. Nel recente passato è diventata simbolo delle distruzioni della guerra, delle violente contraddizioni delle potenze europee e del risveglio dei nazionalismi aggressivi”.
Presentato a Cannes 2014 e appena uscito nella sale italiane, il progetto è unito da un coerente filo rosso tematico: la relazione tra la città e le guerre del XX secolo e, per esteso, il rapporto tra l'Europa e i temi che la città incarna, quali lo scontro culturale, la guerra, l'esilio, la solidarietà, il dolore privato e la speranza. Naturalmente, si parte dall’assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando del 28 giugno del 1914, per arrivare al più lungo assedio della storia del Novecento, dal 1992 al 1995, ben 1.325 giorni più di quello portato a San Leningrado. Per arrivare alla situazione attuale, ancora segnata da profonde divisioni etniche e politiche.

Maio Ivkovicna e Fatima Neimarlija in una scena de Il Ponte, di Vincenzo Marra
Il titolo fa riferimento ai ponti di Sarajevo, dove le scene di alcuni dei più tragici episodi di assedio hanno avuto luogo in bella vista. Il Ponte Latino, davanti al fatale incrocio dove l’irredentista serbo Gavrilo Princip esplose i colpi di pistola che diventarono il pretesto per dare avvio alla Grande Guerra. Ma anche il Ponte di Mostar (il Vecchio Ponte, in lingua bosniaca), che venne distrutto dalle truppe croate durante la guerra spaccando per sempre la Jugoslavia. E da allora niente fu come prima, quando Tito aveva tentato di nascondere le differenze tra i popoli nella sua Jugoslavia sotto lo slogan “Unità e fratellanza”. Ma c’è anche il Ponte sulla Drina, protagonista del grande romanzo dello scrittore serbo Ivo Andric che lo usa come metafora del "vivere insieme”, oltre le divisioni di etnia e di religione. Un simbolo poetico, il ponte sul fiume Drina, che per ironia della sorte viene distrutto miseramente allo scoppio della guerra del 1914.
Ma Sarajevo è anche una realtà di oggi, la realtà urbana che prende forma nella stessa architettura di questa città di frontiera, nella sua combinazione creativa di influenze ottomane e strutture mitteleuropee. Una città che vive nell'immaginario collettivo, anche in coloro che non hanno mai messo piede nella capitale della Bosnia. Basti pensare al mito dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, una delle figure più famose, ammirate, ma anche controverse del XIX secolo. Vissuta tra il 1837 e il 1898 ed uccisa in un attentato, la principessa Sissi è divenuta protagonista di letterature, cinema e leggende molto diffuse e popolari.
“Perché Sarajevo è il luogo dove secondo molti è iniziato il Novecento e il teatro dell'ultima guerra del secolo scorso diviene spunto e ispirazione libera della creatività dei registi che si inoltrano in temi e suggestioni che travalicano il ruolo della città bosniaca", ha scritto nelle note di regia, Jean-Michel Frodon, curatore artistico del film ed ex direttore dei Cahiers du Cinéma.

I tredici registi de I Ponti di Sarajevo a Cannes
Così 13 registi di origine, lingua e generazioni diverse ed ognuno con una propria visione e uno stile personale, hanno realizzato 13 cortometraggi di 9 minuti, collegati tra loro dalle animazioni di Franc╠ºois Schuiten e Luis da Matta Almeida. Si inizia con una voce forte, quella del bulgaro Kamen Kalev che in My Dear Night, tragedia quasi shakespeariana, ricorda le ultime ore di Francesco Ferdinando. Si passa all'episodio più sperimentale Our Shadows Will, dove il serbo Vladimir Perisic, che con Ordinary People si è fatto notare come una delle voci più promettenti del cinema balcanico, propone una riflessione “criprosocialista” per spiegare il gesto di Gavrilo Princip. La bosniaca Aida Begi─ç racconta la vita durante l’assedio, mentre in L’avamposto, Leonardo Di Costanzo rivela la storia di un gruppo di soldati italiani mandati a morire sotto il fuoco austriaco per riconquistare un avamposto: la convinzione di andare incontro a morte certa seminerà il panico tra i giovani militari; furono infatti migliaia i soldati italiani condannati a morte o alla prigione per insubordinazione e diserzione. Vincenzo Marra, racconta ne Il Ponte, la diaspora bosniaca: “Centinaia di migliaia continuano a vivere lontani dal loro paese d'origine, con le ferite vive, ancora aperte, nonostante i tanti anni passati dagli eventi”, dichiara il regista di Tornando a Casa e L’Ora di Punta. Si arriva dunque alla Sarajevo di oggi nel corto di Ursula Meier, dove i fantasmi del passato e le speranze del futuro si confrontano nel momento in cui un ragazzino che gioca in un campo di calcio lancia il pallone oltre la rete fino al confinante cimitero. E infine il maestro della Nouvelle Vague, Jean-Luc Godard, che ne Il Ponte dei Sospiri il seguito ideale di Je vous salue, Sarajevo ed Ecce Homo, attraverso immagini di repertorio di grande forza e appartenenti ad epoche diverse, offre uno sguardo crudo e senza filtri sulla violenza della guerra e la ferocia della pulizia etnica.
Insomma, I Ponti di Sarajevo è un film che dimostra come la città bosniaca continui ad essere una sorta di paradigma. “Una specie di specchio d'Europa – come la definisce Jean-Michel Frodon nelle sue note di regia – dove si riflettono tutte le cose migliori e peggiori del Vecchio Continente”.
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https://youtube.com/watch?v=qsK94bzxlgY