Probabilmente era inevitabile che il ritorno di Angelina Jolie dietro la macchina da presa avrebbe provocato scetticismo. Con Unbroken, l’attrice americana ce la mette davvero tutta per raccontare la storia dell’eroe olimpionico e di guerra, Louis Zamperini. Sopravvissuto in una zattera per 47 giorni dopo un incidente aereo quasi fatale durante la Seconda Guerra Mondiale, "Louie" viene catturato dalla marina giapponese e spedito in una serie di campi per prigionieri di guerra.
Ma è come produttore esecutivo di Difret, il debutto cinematografico di Zeresenay Mehari, che Angelina Jolie dimostra più empatia verso vicende scomode e poco conosciute. Non a caso l’attrice, nominata nel 2001 Ambasciatrice dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, in occasione del Global Summit contro la violenza sessuale per porre fine a ogni sopruso in tutte le zone del mondo dove ci sono conflitti, ha detto che quando ha visto il film per la prima volta ha pianto per i primi 20 minuti.
Il titolo, che nella lingua ufficiale etiope, l’aramaico, ha il doppio significato di “coraggio” e “vittima di violenza”, ricostruisce una storia vera che risale al 1996: quella di Hirut Assefa, una studentessa di 14 anni che dopo aver ucciso il suo rapitore nonché aspirante marito viene arrestata per omicidio. Il terzo film in 35mm uscito dall'Etiopia, candidato all’Oscar come miglior film straniero e vincitore del Premio del Pubblico al Sundance Film Festival di Robert Redford, criminalizza una tradizione arcaica che in Etiopia ancora sopravvive nelle comunità più piccole e lontane dalla Capitale di Addis Abeba.
Il destino di Hirut sembra già segnato se non fosse per l’intervento di Meaza Ashenafi (Meron Getnet), una giovane donna avvocato, che tramite l’attività dell’associazione ANDENET (Andinet Women Lawyers Association), offre assistenza legale gratuita a coloro che non possono permettersela. In un sistema patriarcale dove la donna è vittima di una convenzione sociale dalla quale hanno origine più del 70% dei matrimoni etiopi, Meaza, insignita del Premio Nobel Africano nel 2003, dovrà dimostrare che Hirut ha agito per legittima difesa e creare un precedente giudiziario per porre fine a pratiche come la “telefa”, il rapimento a scopo matrimonio.
Difret è il classico film di denuncia, esplicito e didascalico se si vuole, ma il regista con passione e sincerità racconta la lotta per i diritti delle donne “dal basso”, dal punto di vista di chi ogni giorno si trova catapultato in una realtà come quella africana dove nelle zone rurali le leggi ufficiali sono rese spesso inefficaci dalle decisioni dei consigli tradizionali.
“In particolare mi ha ispirato il pensiero che la telefa non fosse considerata né come una violazione né tantomeno come una violenza – ha precisato Mehari in occasione della presentazione della pellicola in Vaticano, lo scorso dicembre – il tema delle spose bambine e le discriminazioni sessuali contro le donne in Etiopia e in altre zone dell’Africa sono problemi che travalicano i confini del continente e dovrebbero interessare tutti”.