Mentre Paolo Sorrentino, dopo aver stretto tra le mani l’Oscar, ringraziava Maradona come fonte di ispirazione e di spettacolo, rivendicando quindi la propria napoletanità, un pezzo di Pompei veniva giù. Sono consapevole che molti abbiano accostato i due fatti, anche il nuovo Ministro della Cultura Dario Franceschini lo ha sottolineato, come a dire siamo quello e quell’altro ma la strada da seguire è quella de La grande bellezza, cioè quella vincente. A proposito del film, no…niente più commenti diretti, se non fare un’osservazione su tutti gli articoli, post su Facebook, Twitter, che, in quantità innumerevole, sono stati pubblicati in Italia. Non solo una contrapposizione tra entusiasti e critici del film, che ha avuto toni aggressivi, volgari, come in rete purtroppo accade; ma addirittura tutta una serie di discussioni e scontri sui ringraziamenti di Sorrentino a Maradona. Certo, c’è chi gioca nel ruolo del provocatore, chi in quello dell’intellettuale snob, del critico che si vuole distinguere a tutti i i costi, dell’entusiasta radicale, dell’ ”importante abbia vinto per l’Italia”, ecc…Insomma, un’ umana varietà dalla quale è emerso un conflitto furioso, facilmente sovrapponibile a quella tra guelfi e ghibellini, che racconta un modo di essere tipico della nostra identità e che in qualche modo sembra riuscire a rovinare la festa. Un “chiacchiericcio vuoto” per dirla alla Jep Gambardella, seppur lecito e pieno di desiderio di partecipazione, ma purtroppo anche intriso di masochismo, pressappochismo e un pizzico di vanità.
Dico questo perché in Italia tutto si muove sulla lama di un rasoio molto fine, da un lato l’Inferno e dall’altro il Paradiso, ma quel Purgatorio nel quale sembriamo sempre situarci e adattarci dimostra tutta la sua ambiguità. Ogni faccia ha il suo lato nascosto, come l’Arlecchino diabolico che serve due padroni, o come Pulcinella dalla figura ambigua, all’incrocio tra uomo e donna, tra sciocco e furbo, tra demone e santo, tra città e campagna, tra saggio e ingenuo, una dialettica che definisce un percorso pagano-cristiano della cultura popolare napoletana, e quindi italiana.
E’, pertanto, l’ambiguità che emerge anche da un fatto come quello descritto. Tutto sembra situarsi nel “tra”, ogni posizione seppur chiara vive per l’esistenza del nemico, e l’insieme diventa un tutto sfumato. C’è sempre un’interpretazione che può mutare le cose in corso. Sono consapevole, si dirà “è la democrazia”, “è la libertà di espressione”, ma c’è un limite al caos e alla paranoia, come quelli che crescono a dismisura dopo la vittoria ad Hollywood. D’altra parte Ennio Flaiano, quasi a consolarci, scriveva: “Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L'età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni.”
Un’altro esempio sulla nostra ambiguità italica, sulle nostre doppie facce deriva dal fatto che siamo il paese con un patrimonio culturale e artistico unico al mondo, con il più alto numero di siti patrimonio dell’umanità dell’Unesco (cinquantuno, compreso il Vaticano), ma che vede scendere copiosamente, nel 2013, i flussi turistici rispetto ad una media europea che sale. Pompei, lo sbriciolamento della meravigliosa Rocca di Cagliostro o le condizioni disastrose in cui si trova la Reggia di Caserta, tra gli altri, stanno lì come a ricordarci tanta altezza e forza, ma al tempo stesso, a mostrarci altrettanta inadeguatezza nel sostenere tale capacità.
Di chi è la colpa? E’ il sospetto che tutto ciò che sia altro possa essere dannoso, per non dire nemico. E’ la difficoltà, purtroppo, di molti a stare insieme. Finché si poteva fare da soli si poteva anche eccellere, ma i venti della globalizzazione e della competizione mondiale costringono, volenti o nolenti, a unioni e strutture imprenditoriali, amministrative, politiche, di servizi più fluide, in grado di lavorare meglio insieme. Invece, basta ascoltare una riunione di un consorzio qualsiasi ed è come andare ad una di condomino: tutti contro tutti, ognuno su posizioni diverse, al massimo si formano combriccole e gruppi pronti a mollarsi se gli interessi non coincidono più. Così, rimaniamo allibiti se i dati del turismo scendono. Prevale la cultura del sospetto perché tutto è ambiguo, la fiducia, normalmente personale, può essere data ma ha una data di scadenza, scarsa o inesistente quella verso le astratte e impersonali istituzioni.
Come rose circondate da spine sempre più lunghe e pungenti ogni vittoria, ogni successo, ogni meraviglia sembra circondarsi del suo contrario: invidia, sospetto, noncuranza, negligenza, rassegnazione, cattiva abitudine. Ma, forse, proprio per questo devono essere ancora più apprezzati, riconosciuti, valorizzati, salvaguardati come gioielli preziosissimi, perché diventano tali malgrado tutto.