Tornano a galla vecchie commedie di successo. “Godspell” è ora al Circle in the Square (1633 Broadway & 8th Avenue). Fu ideato e diretto da J.M. Tebelak, con musica e liriche di Stephen Schwartz. Ebbe successo perché predica il messaggio del vero cristianesimo, il dovere di amare i deboli contro i soprusi dei ricchi. In questa nuova, eccellente, produzione abbiamo lo stesso messaggio fra balli e canti; ben diretta da Daniel Goldstein e abilmente coreografata da Christopher Gattelli. Costumi ricchi ed originali (Miranda Hoffman). Le liriche sono tutte ispirate dal messaggio di Jesus (il biondo, gentile Hunter Parish).
Ripetono la necessità di rispettare i Dieci Comandamenti e di amare tutti, anche quelli che sembrano differenti e seguono un altro dio. Un messaggio applaudito dalla maggioranza. Ma gli applausi son diventati più entusiastici a tante nuove battute, molto attuali. Lodano il presidente Obama, un americano al cento per cento, ottimo padre di famiglia, chiaramente religioso. Applica il principio cristiano di aiuto ai poveri, ai diseredati. Primo dovere di un vero cristiano. Fa piacere vedere in teatro una commedia musicale con tanti attori giovani e impegnati. Credono in quel messaggio, in quel potente musical. Suggerito. Bisogna applaudire, specialmente, H. Parish, W. Smith, U. Aduba e C. Henderson. Han poi ripreso, al teatro L. Pels (111 West 46th Street) il noto dramma “Look Back in Anger” di John Osborne. Nel 1956 creò uno scandalo cambiando le regole ed imponendo un nuovo tipo di teatro. La rabbia dei poveri e la loro sete di giustizia. Scena poverissima.
Una stanza in completo disordine. Come vivono i poveri (scena di Andrew Lieberman). Sono irati ed aggressivi i tre protagonisti. Jimmy (Matthew Rhys) ed Allison (Sarah Goldberg) sono sposati. Lei lo ama e sta per avere il suo bambino. Lui è nervosissimo e insulta. Anche perché sua moglie è molto affettuosa con Adam che vive con loro (Cliff Lewis). Arriva l’amica di Allison (Helena Charles). Le consiglia di andar via. Resta al suo posto, amante di Jimmy. Ma trionfa il vero amore alla fine. Torna la dolce Allison. Potente ancora oggi. Altamente drammatico. Al teatro ATA (314 West 54th Street) il commediografo-regista Jim Jennings continua a dimostrare il suo amore per Shakespeare. Dà almeno due opere all’anno. In questi giorni offre una solida versione di “Amleto”. Usa sempre attori eccezionali. Jane Culley, una formidabile Gertrude. Jessica Jennings, una poetica, commovente Ofelia (una delle più convincenti viste in tanti anni). Un elegante Alan Hasnas (Claudio) e un telentuoso, agile, energico Amleto (Thomas Leverton).
La compagnia Marvell Rep. di Lenny Leibowitz ed Amy Estes ha in programma quest’anno sei drammi che furono censurati in passato (TBG Th., 312 West 36th Street). Inizia bene con il capolavoro di Arthur Schnitzler, un medico che decise di diventare commediografo. Con ottimi risultati. La sua “Ronde” ha fato il giro del mondo. Ma il suo capolavoro resta “Professor Bernhardi”, che fu vietato nel 1912. Prima produzione in inglese a New York, nella solida traduzione di G.J. Weinberger. Viene rappresentato raramente perché ha molti attori. Anche nove medici in scena. L’autore conosce bene il suo mondo e ci avvince con un dramma che fu definito “Dreyfus in medicina”. Siamo nella Vienna del 1900. Bernhardi (il potente Sam Tsoutsiuvas) è il direttore di un’organizzazione medica, circondato da medici che lo stimano e temono. Una giovane ha abortito e sta morendo nella stanza accanto. Le han dato un’iniezione che la calma e le han detto che sta per arrivare il suo amante. La porterà via per un futuro pieno di amore. Arriva il prete Franz (Markus Potter). Vorrebbe darle l’estrema unzione. Bernhardi, medico serio e ben convinto, non vuole che la presenza del prete avveleni e distrugga gli ultimi momenti della morente. Non gli permette quella visita che è spesso negativa perché annuncia la morte certa.
Grosso scandalo. Il medico è ebreo e lo accusano di odio per la Chiesa cattolica. Processo. Viene condannato e messo in prigione, ma tutti sanno che era nel suo diritto di agire come ha fatto. In tesi, drammatici dialoghi vengono rivelati elementi politici e religiosi.
C’è antisemitismo. L’autore è obiettivo. La figura del prete diventa positiva quando viene a scusarsi. Ottima, affiatata compagnia, ben diretta da L. Leibowitz. Sedici attori ed un’attrice in molti differenti ruoli (Jill Usdan). Per una strana coincidenza, un’altra commedia ha solo uomini e un’attrice in molti ruoli. “Holy Child” di Joe Lauinger al teatro Roy Arias – produzione Fence (330 West 43rd Street). L’autore conosce bene il mondo italiano. Ottimo dialogo fra quattro fratelli che si amano ma hanno tanti conflitti. Bernie (Dono Cunningham) è un avvocato che ha sposato un’ebrea. Son sorpresi Vic (Paul Montagna), Thomas (John Blaylock) e Patsy (Jerry Ferris). Vic è un uomo di destra con pregiuidizi. Thomas è un prete insicuro, confuso, ubriacone. Patsy è uno sportivo, ora nei guai perché va con una quindicenne. Alla fine di un interessante primo atto, Vic muore. Nel secondo atto abbiamo purtroppo superstizione e fantasmi. Thomas vede Vic, risorto, che gli parla. Vede anche molte donne tutte interpretate da Anne Paul. Lo mandano in una casa “Holy”, per rieducarlo. Una suora severa lo punisce. Finisce con la corda al collo. Bravi attori, ben diretti dall’abile Sue Glausen. Molti applausi.