Michele Guardì, di tanti musical che hanno visto la luce in Italia, fatti da italiani, pochi possono vantare la grandiosità del suo, in perfetto stile Broadway, ha già pensato all’America?
«Certo, specialmente per il piacere e la gioia di far vedere ai nostri connazionali, sulla scena, la nostra più bella storia della letteratura».
Se dovesse portarlo a Broadway, a chi penserebbe per interpretare i ruoli di Renzo e Lucia?
«Vorrei andarci con la stessa compagnia che sta raccogliendo un incredibile successo in Italia. Così facevano i grandissimi Garinei e Giovannini. Andavano a Broadway con la stessa compagnia italiana e avevano grande successo. Desidero emulare i maestri».
A sinistra Michele Guardì
A tutti gli italiani all’estero a cui è rivolto questo quotidiano, soprattutto ai siciliani, farebbe piacere sapere, come nasce Michele Guardì vero fenomeno dell’entertainment televisivo ed ora anche teatrale.
«Sono nato a Casteltermini, in provincia di Agrigento, un paese famoso per la festa di Santa Croce, una festa che celebra la più antica croce esistente al mondo dopo quella di Cristo. Tanti Castelterminesi, dall’America tornano per fede in paese la quarta domenica di maggio, data nella quale si festeggia il ritrovamento miracoloso di quella croce. In quel paese ho subito avuto la passione del teatro, da bambino. Recitavo nella chiesa di Sant’Antonino. Ho debuttato interpretando San Tarcisio. Avevo nove anni. Non mi sono più fermato».
Dodici anni dietro a questo grande progetto, quali sono stati gli aiuti nella sua realizzazione e quali gli ostacoli?
«Torniamo a parlare dei "Promessi sposi”. Beh, per ogni estate, dodici per l’esattezza, tornavo in vacanza nella mia casa di Agrigento. Mi incontravo con il maestro Pippo Flora e lavoravamo come se non fossimo in vacanza. Gli ostacoli: la mia terribile pignoleria. Gli aiuti? Sempre la pignoleria. Abbiamo fatto un lavoro che non disturba la vera idea di Manzoni e questo il pubblico lo coglie e lo apprezza. Pippo ha scritto delle musiche che sono amate dai giovani e anche dai non più giovani. Diciamo che è una bella combinazione di cose che portano il segno positivo».
Gli investimenti sono stati esclusivamente privati o ha avuto anche sostegni statali? Se sì, quali?
«Dopo aver contattato grandi produttori ho capito che per mettere in scena un’idea megalomane ci voleva un produttore megalomane. L’ho trovato e ho messo in scena, da regista, quello che sognavo. Il produttore? Beh… sono io!»
Perché, secondo lei, noi italiani non riusciamo a tenere a lungo un musical in scena come fanno gli americani, perché non riusciamo a creare un’industria dello spettacolo dal vivo neanche con quelli di grande successo, come il suo che potrebbe diventare un must e soddisfare per almeno un anno la platea?
«Un certo tipo di cultura va creato. C’erano riusciti i grandi Garinei e Giovannini. Poi c’è stato un rallentamento. Oggi siamo in ripresa. Sono ottimista...»
C’è la possibilità che i nostri connazionali all’estero, possano vedere i "Promessi Sposi” in onda su Rai International o su un canale internazionale?
«Penso di sì. Già in Italia nel settembre del 2010 è andata in onda la ripresa dell’edizione che ha spopolato allo stadio di San Siro di Milano. Ho curato io stesso la regia televisiva di quella serata. Ecco, un’idea: chiederò a RAI International di ritrasmettere quello spettacolo».
L’appassiona di più il teatro o la televisione? Quale la differenza?
«Nasco come appassionato di teatro. La televisione mi ha affascinato sempre per la forza che ha entrando, contempo- raneamente, in milioni di case. Il teatro è emozione. La televisione è vita… se è fatta bene».
Dopo i "Promessi sposi” altri progetti? Italia in crisi, quale potrebbe essere la medicina Guardì, siciliano doc?
«Diffido di quelli che la sanno lunga su ogni cosa. Io faccio teatro e televisione. Le crisi lasciamole risolvere a coloro che sono preposti a ciò. Ho un augurio da farmi e da fare: speriamo che facciano bene. Di mio, solitamente, sono ottimista. Lo sono anche in questo caso».