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March 6, 2011
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Immigrati vittime dei media

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 9 mins read

 

Nella foto sopra: recente manifestazione di immigrati a Torino. In basso: il Prof. Guido Bonsaver

 

Al Calandra Italian American Institute della City University di New York, il 25 e 26 febbraio si è tenuta una importante conferenza di studiosi internazionali dal titolo “Migrating In & Out of Italy”, appuntamento a sua volta tappa del grande progetto di ricerca organizzato dal Centro di Studi italiani dell’Università di Oxford intitolato “Denstination Italy: Representing Migration in Contemporary Media and Narrative”.

Tantissimi gli studiosi intervenuti con relazioni che verranno poi riunite in un volume. Noi abbiamo posto delle domande ad uno dei principali organizzatori, il Prof. Guido Bonsaver della Oxford University, nel tentativo di scoprire se la ricerca accademica possa essere ancora utile anche a chi dovrà affrontare i gravi problemi d’attualità riguardo l’immigrazione.

 

Prof. Bonsaver, come è andata la conferenza? Quali sono stati gli studi che protrebbero avere più impatto sul tema dell’immigrazione? Qualche dato o analisi l’ha impressionata particolarmente?


"Personalmente sono molto soddisfatto del livello degli interventi e soprattutto delle competenze dimostrate da ogni singolo conferenziere. Mi sembrerebbe tuttavia inappropriato menzionare singoli interventi in quanto il convegno newyorkese non si proponeva come punto di arrivo bensì come tappa verso una definizione di temi e singoli interventi che verrà a concretizzarsi con il convegno di Oxford a fine 2011 e con la pubblicazione che ne seguirà. Anche in questo convegno mi sembra comunque sia emersa un’interessante tendenza da parte delle discipline umanistiche a concentrarsi su analisi specifiche e qualitative mentre gli studi di mass media tendono a privilegiare l’analisi quantitativa. Mi auguro che convegni multidisciplinari come questo siano anche d’aiuto alla promozione di un dialogo e uno scambio di approcci metodologici tra diverse aree di studio”.

“Think tank” e centri universitari negli Usa, come in Gran Bretagna e in altri paesi occidentali, possono essere risorse importanti per chi ha responsabilità di governo. Infatti spesso i maggiori consiglieri risultano essere il prodotto di questi centri di ricerca. Voi del centro di studi italiani di Oxford, che vi state occupando dei problemi sull’immigrazione in Italia, vi aspettate per caso che da Roma qualcuno si faccia sentire?

“Questo progetto di ricerca è finanziato dalla Leverhulme Foundation, un’istituzione britannica che ci permette di lavorare in completa autonomia. Se il nostro lavoro potrà essere utile per una definizione della situazione in Italia e per inquadrare possibili iniziative anche di tipo governativo, certo vorrà dire che abbiamo lavorato bene. Già in passato abbiamo collaborato con l’Ambasciata italiana a Londra e ci teniamo regolarmente in contatto. Mi sembrerebbe prematuro, tuttavia, già adesso aspettarsi sostegni concreti per un progetto ancora in fieri”.

Ma da questa conferenza è uscito già qualche consiglio o informazione utile per i governanti italiani ed europei che si ritrovano ad affrontare la crisi delle rivoluzioni in Nord Africa? Secondo certe stime del governo italiano, le crisi in Tunisia e Libia potrebbero portare in pochi giorni centinaia di migliaia di immigrati nelle coste del Sud d’Italia… Lei che ne pensa?

“Il convegno era dedicato alla rappresentazione della migrazione nei media e nella narrativa, e non alle problematiche sociali e politiche di questo fenomeno. Non avevamo certo la pretesa di poter proporre soluzioni a una situazione così critica e che richiede competenze diverse dalle nostre.

Bisogna vedere anche quale sarà l’attenzione che sarà prestata da parte dei politici italiani. Perché sul problema dell’immigrazione come sappiamo, in Italia ci sono schieramenti molto divisi e con posizioni molto differenti. Avere un dialogo in questo momento appare molto difficile perché, almeno per quanto riguarda la mia esperienza, al momento in cui si entra in contatto con le istituzioni politiche in Italia, ci si aspetta una posizione politica diciamo quasi a monte. Si chiede: tu che da che parte stai?”

Cioè non si guarda mai all’accademico come qualcuno indipendente dagli schieramenti e che possa aiutare a prescindere dalla parte politica che sta al governo?

“Infatti per questo noi abbiamo pensato che questo progetto basato al di fuori dell’Italia possa esssere d’aiuto perché potrebbe progettare un punto di vista completamente distaccato da quelle che possono essere le logiche delle appartenenze della politica italiana.”

Come può il mondo accademico aiutare gli italiani a capire meglio certe tematiche al di là delle stumentalizzazioni politiche. Soprattutto ad un popolo che dovrebbe avere più memoria storica e ricordarsi di quando, come espresso dal famoso libro di Gian Antonio Stella, gli “albanesi eravamo noi”…

“Vorrei chiarire che da parte nostra non c’è una posizione simile a come spesso si parla quando si citano i cosidetti ‘cervelli in fuga;’ cioè l’italiano dall’estero che giudica l’Italia quasi da una posizione di superiorità presunta. Non è assolutamente quello che cerchiamo di fare, anzi noi vorremmo coordinare le competenze su questi argomenti, presenti all’estero ma anche in Italia.  Quindi il coordinamento è all’estero ma noi cerchiamo di entrare in dialogo con gli elementi migliori che su questi argomenti, con conoscenza di fatti e cognizioni teoriche molto raffinate stanno già facendo ricerca in questo momento in Italia”.

Ma la paura annunciata  che presto una marea di disperati dal Nord Africa si riverserà sull’Italia, è giustificata? E poi questa esclusiva preoccupazione su cosa possa accadere all’Italia dimenticando la tragedia di questi popoli, è normale? Lei che ne pensa?

“In effetti questo va a toccare forse il ramo più delicato del nostro progetto. Cioè quello che riguarda i media, e la rappresentazione di questa problematica dell’immigrazione da parte dei media italiani. Vista da fuori è innegabile la presenza di una deriva all’interno dei media italiani per cui si crea una sorte di visione provinciale per cui tutto viene ridotto in termini dei problemi nostri, e l’immigrazione viene vista solo come un fenomeno che ha  delle riflessioni nell’ambito della politica e per cui vien strumentalizzata proprio per questo. Quello che noi vorremmo dimostrare con dei dati è la mancata oggettività con la quale il fenomeno immigrazione viene rappresentato in Italia nei giornali così come in televisione. E anche qui non è un semplice discorso di destra o sinistra,  riviste progressiste o giornali o canali televisivi più o meno progressisti. Alcuni studiosi nel liguaggio della stessa stampa progressista rivelano gli stessi limiti e derive dei giornali di destra. Facendo analisi comparative, facendo capire come in altre nazioni europee di questi temi si parla in maniera diversa, usando proprio un vocabolario diverso, può aiutare a far capire a noi italiani quale deriva abbiamo preso e della necessità di allargare gli orizzonti”.

Imputato numero uno quindi i media?

“Io mi occupo particolarmente di cinema e un discorso simile lo potremmo fare anche per il cinema. Per quello che riguarda la mancanza di una voce autoctona, cioè la voce dell’emigrante all’interno del cinema italiano. Se andiamo a vedere quello che è stato portato sugli schermi italiani per quanto riguarda il tema immigrazione, ci accorgiamo che non solo la stragrande maggioranza dei registi sono italiani, ma se cominciamo a vedere chi ha scritto i vari soggetti, anche qui la presenza degli scenneggiatori e scrittori immigrati è irrisoria”.

C’è un grande regista in Italia di origini turche, Ozpetek…

“Già, ma ancora non ha mai affrontato direttamente l’argomento immigrazione. Vedremo quando lo farà, lo stiamo aspettando”.

 Sappiamo che il Presidente Giorgio Napolitano verrà presto a visitare il vostro centro universitario di Oxford dedicato agli studi italiani. Cosa ha fatto in passato e cosa si aspetta ancora che farà l’Italia per rafforzare centri prestigiosi di ricerca per gli italianisti all’estero?

“Credo che da parte del governo italiano così come delle sue singole istituzioni – dalla Presidenza della Repubblica, al governo, alle Ambasciate – ci sia sempre stata molta attenzione verso le attività sia delle comunità italiane all’estero sia per iniziative culturali come Italian Studies at Oxford. La visita del Presidente Napolitano, a fine giugno, è nata da un incontro a Londra a seguito della sua prima visita ufficiale in Gran Bretagna, nel maggio 2009. Per noi e per l’intera università di Oxford si tratta di un onore e di un privilegio che ci aiuterà a celebrare degnamente il 150esimo dell’Unificazione italiana. Il presidente ha molto interesse sull’argomento immigrazione, ricordiamo che lui è stato pure ministro dell’interno durante il periodo più cocente di queste problematiche. Speriamo di poter presentare in quel momento una piattaforma di quello che sono i possibili utilizzi di questo know how in termini pratici”.

Alla fine di questo ciclo di conferenze che state tenendo in vari paesi, pubblicherete un volume. Sarà materia per studiosi specialisti, o potrebbe essere anche utile e accessibile a tutti?

“Quello che vorremmo produrre è uno studio frutto di conoscenze specialistiche ma che allo stesso tempo proponga una visione panoramica che possa interessare anche a chi si avvicina a queste tematiche senza competenze specifiche”.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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