Ani DiFranco è tornata in Italia per un concerto alla Casa del Jazz, all’interno del Roma Summer Fest. In cartellone il nuovo album, Unprecedented Sh!t, realizzato in collaborazione con il produttore BJ Burton (noto per aver collaborato con Bon Iver), ma anche un repertorio che attraversa oltre trent’anni di carriera. La tappa romana è stata presentata come un concerto “contro Trump” e contro il riemergere di forme di autoritarismo che, nelle parole dell’artista, minacciano la tenuta democratica degli Stati Uniti. “Al momento, qui in America, stiamo andando in direzioni mai viste prima”, ha detto DiFranco. “La nostra democrazia sembra realmente in pericolo. Il titolo dell’album è nato da questo. Rappresenta lo stato delle cose, da molti punti di vista”.
Nata a Buffalo, oggi DiFranco vive in Louisiana. “Lì tutto è più estremo. Il razzismo, la povertà, la gentilezza. Ti obbliga ad ascoltare di più”. E l’ascolto sembra la chiave non detta del concerto romano. Unprecedented Shit è un album pieno di dettagli piccoli, ma spigolosi. E sul palco conserva la stessa forma.
Alcuni brani arrivano in modo più diretto. New Bible, ad esempio, con le sue frasi brevi e interrotte. Prima di Baby Roe ha detto che “è stato bello vedere la gente scendere in strada”. Ha aggiunto che “dobbiamo esserci l’uno per l’altra” e che “più ci rafforziamo, più potente diventa il nostro movimento”. Non ha fatto nomi, non ha ripetuto sigle. Ma il riferimento alla sentenza della Corte Suprema è stato chiaro. Ha parlato di giustizia riproduttiva come di qualcosa che riguarda tutti, non solo le donne. E ha detto che oggi questo terreno è fragile.

Nonostante i suoi dischi siano stati spesso etichettati come “politici”, DiFranco continua a rifiutare la definizione di “protest singer”. Anche se Fuel è finita nella classifica delle 100 migliori canzoni di protesta secondo Rolling Stone, e anche se ha suonato con Pete Seeger, registrando con lui Whose Side Are You On?. “Non voglio essere ridotta a un’etichetta”, ha spiegato. Eppure, tutto nella sua scrittura – dalla grammatica al fraseggio – continua a essere un gesto politico.
Durante il concerto romano ha suonato anche Our Lady of the Underground, da Hadestown, il musical in cui ha recitato per sei mesi a Broadway nel ruolo di Persephone. Il brano parla di confini, di contrattazioni, di chi sta sopra e di chi sta sotto. Nel 2021 aveva pubblicato Revolutionary Love, ispirato a un libro dell’attivista sikh americana Valerie Kaur, che proponeva l’amore non come sentimento, ma come pratica sociale. Un gesto quotidiano da rivolgere anche ai nemici, come strumento di resistenza.
In un’epoca in cui i concerti sembrano doverci liberare dal peso del presente, DiFranco propone l’opposto: portarci dentro il presente, starci, non evitarlo. Il suo attivismo non è una performance. È un modo di stare nel mondo.