È una passione, una magnifica ossessione o un fatto terapeutico?
“Tutte e tre le cose insieme. Se dovessi riassumerne il senso, direi: è un piacere assoluto.”
Paolo Brillo, classe 1961, moglie e tre figli adulti, vive a Bolzano dove fa il commercialista. Ma ha una doppia vita, anzi tripla. Più o meno da quarant’anni, regolarmente, quando esce dallo studio sveste grisaglia, camicia bianca e cravatta per travestirsi. In realtà indossa un’uniforme d’ordinanza: chiodo in pelle nera e t-shirt nera, jeans sdruciti, Converse. Se aggiungete il cranio rasato (“non per scelta, è una pelata naturale”) e il cognome da pop art, il gioco è fatto. Il gioco di un fanatico del rock e della fotografia, che al Mercanteinfiera di Parma – dal 30 settembre all’8 ottobre – propone in tandem con la galleria milanese Antonio Colombo Arte una mostra che è lo specchio delle sue imprese. Il titolo è Stolen moments. Bob Dylan and other music icons: ovvero 40 scatti tra biancoenero e colore che sono storia della musica”.
Perché li chiama Momenti rubati?
“Sono un ladro d’immagini. Vado ai concerti senza pass né accrediti, totalmente a mie spese, e ogni volta gioco a nascondino con i servizi d’ordine. Le star della musica sono estremamente gelose della loro immagine, ai giornalisti vengono fornite riprese video e foto preconfezionate. Io sono un uomo libero e mi piace la caccia al tesoro: nell’attimo giusto faccio clic. Con tanti saluti alla security.”
Come fa?
“Ho un piano d’azione collaudato. Studio il luogo del concerto, la disposizione del palco e del pubblico, i punti deboli dell’organizzazione. Prima di entrare smonto la macchina fotografica e mi sistemo i pezzi addosso, se serve anche nei boxer. Quindi aspetto il momento buono: prima usavo la Nikon, adesso ho una Canon. Rimetto assieme gli ingranaggi a velocità supersonica e punto l’obiettivo.”

Qual è questo momento buono?
“Di solito quando il concerto si avvia al finale e cala un po’ la tensione. E’ allora che riesco a catturare l’adrenalina, il sudore, la fatica dell’interprete.”
A quanti eventi ha assistito?
“Quasi mille, in una carriera di guardone rock che dura da quarant’anni.”
Tutto per conto suo?
“Sono un navigatore solitario.”
Quanto le è costato finanziariamente?
“Non voglio pensarci. Diciamo che faccio il commercialista per pagarmi le spese delle trasferte. Aerei, albergo e biglietto d’ingresso: il conto è salato.”
La prima volta?
“Neil Young all’Arena di Verona. Era il 1982.”
Poi è arrivato Dylan, il suo mito.
“Avevo 23 anni e sono rimasto folgorato dal genio. Il grande amore che mi ha cambiato la vita. L’ho seguito in Italia, Europa, America. Settanta concerti, l’ultimo in luglio a Milano, e c’è sempre qualcosa di nuovo.”
Che cosa l’affascina?
“Tutto. La musica, le liriche. La sua faccia. Il modo ieratico di stare sul palco. Il carisma che nessun altro possiede. Per me è un fratello più grande che traccia la via.”

L’ha conosciuto?
“Mai. E del resto che senso avrebbe incontralo per venti secondi in un camerino?”
Le altre rockstar?
“Le ho viste tutte, tranne Bowie che pure ho adorato. Joan Baez, Crosby & Nash, Keith Richards, Leonard Cohen, Patti Smith, Nick Cave, Clapton, Springsteen, Iggy Pop, Paul McCartney, i Rolling Stones, gli U2, Lou Reed… Continuo?”
A casa che dicono?
“Mia moglie Cinzia ha subìto la mia scelta con eleganza, a volte accompagnandomi ai concerti.”
E i figli?
“Arianna, Stefano e Alex hanno rispettivamente 36, 31 e 29 anni. Non hanno mai comprato un disco o un cd. Non è solo il feticismo del vinile o la copertina di un album: la loro musica non è la mia. Ignorano le icone della vecchia generazione. A me invece incuriosiscono i loro preferiti, sono andato a sentire Lady Gaga e mi è piaciuta.”
Dylan cantava: Time passes slowly. C’è ancora tanto tempo?
“Purtroppo no, il tempo passa veloce. Lui ha 82 anni: facile che a fine 2024 cali il sipario sui concerti.”
Come sarà?
“Sentirò malinconia. Nostalgia. Ho la piena consapevolezza che certe emozioni non torneranno più.”