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Maria Dragoni, il soprano più moderno per quel suo ritorno all’antico

Intervista a Roma alla grande cantante d'opera in occasione dell'uscita del libro "La sirena di Procida": "Non ho mai voluto assoggettarmi allo star system"

Lisa BernardinibyLisa Bernardini
Maria Dragoni, il soprano più moderno per quel suo ritorno all’antico

Maria Dragoni

Time: 8 mins read

All’anagrafe il suo nome completo è Maria Bianca Anna Dragoni. Per tutti, è semplicemente Maria Dragoni: voce soprano tra le più belle sulla scena mondiale. Una vita professionale strepitosa; poi, negli anni, l’incubo della malattia, ma anche la gioia della rinascita. Adesso è il turno della sua biografia, appena uscita per Pegasus Edition e raccontata da Alice Mechelli. Il titolo? La sirena di Procida, ed è proprio grazie alla prima presentazione pubblica di questo volume, a Roma, che siamo riusciti ad incontrarla.

La copertina del libro

Nata a Procida nel 1958, Maria Dragoni ha portato in alto il nome della lirica italiana in tutto il globo attraverso una carriera internazionale lunga e di grande successo. Incline alla pittura ed al canto sin da piccola, si diploma al Liceo Artistico di Frosinone e nel 1972, a soli 14 anni, inizia ad esibirsi in un complesso e con il repertorio dei Platters. Subito dopo, inizia lo studio del canto lirico. E’ all’età di 16 anni che si iscrive al Conservatorio Licinio Refice di Frosinone, allieva della spagnola Maria Alos (moglie del pianista Arnaldo Graziosi). In seguito, compie studi di ulteriore perfezionamento, e nel 1977, a 19 anni, dopo aver vinto un concorso, entra nel coro RAI di Roma.

“Sapendo quanto ero brava, mi proposero di fare subito un concerto, in diretta radio, di Lieder di Johannes Brahms. Io accettai, perché  ero già piena di entusiasmo. Poi furono gli stessi colleghi a chiedermi: Ma tu che ci fai nel coro??!!,  e a spingermi ad intraprendere una carriera da solista”.

La nostra chiacchierata comincia così, con naturalezza ed empatia, evidenziando uno dei tanti lati di luce di questo immenso talento musicale, orgoglio del made in Italy nel mondo: la modestia professionale unita ad una singolare generosità umana nel condividere angoli di vita privata.

Maria Dragoni all’età di 13 anni

“Io ero pigra, e mi sembrava già  tanto esserci entrata nel coro, quindi ero molto riluttante. Poi mi diedero il bando del primo concorso della RAI, e quando vidi che da esso i dipendenti RAI erano esclusi, mi sentii quasi sollevata. Poi vinsi un concorso al coro del San Carlo di Napoli, e quando uscì in RAI il bando del secondo concorso Maria Callas, decisi stavolta di partecipare, ma quasi per sfizio”.

Nel 1981 Maria Dragoni canta Casta Diva al concorso Vincenzo Bellini di Caltanissetta, ed è il primo soprano a ricevere il premio speciale Maria Callas. Poi, l’undici Novembre 1983, vince, in Eurovisione dall’Auditorium RAI del Foro Italico, il concorso Maria Callas-RAI, dove presenta arie dal Pirata e dalla Norma. E’ questo il vero inizio della sua carriera da soprano.

“Dici bene: fu questo l’inizio. A soli 25 anni mi videro in tanti in televisione, e subito fui contattata da vari agenti e teatri. Permettimi di anticipare questo: la mia famiglia – madre procidana e padre viterbese – è stata eterogenea e, in qualche modo, molto formativa. Mi ha dato versatilità. Non sono una di quei napoletani che, quando vanno all’estero, vogliono per forza trovare i cibi napoletani, altrimenti non mangiano. Mi sento fortunata ad essere vissuta in un ambiente nel quale sono confluite differenti culture. Uno dei segreti della mia carriera è stato sicuramente questo, sin dagli esordi: ho una duttilità  a 360 gradi, che mi permette di andare, con sicurezza, da una algida Turandot ad una calda, passionale Santuzza, perché ho in me sia il lato nordico che il lato passionale del Mediterraneo”.

1985: nel ruolo del Flaminio di Giovanbattista Pergolesi

Cosa ha significato vincere un concorso intitolato a colei che, probabilmente, viene considerata la migliore soprano di sempre?

“Senza il probabilmente: Maria Callas è la pietra miliare della lirica, soprattutto perché ha ripescato, con intuito geniale, la vocalità ottocentesca, che non si usava più per l’avvento del Verismo. Io avevo studiato quella particolare vocalità grazie all’intuito di mia madre, che voleva imparassi a fare i ‘’sovracuti’. Questo mi ha permesso di avere una vocalità  molto simile a quella della Callas. Quando vinsi il concorso, il presidente dello stesso mi disse che ero la ‘Callas rediviva’, proprio perché rimase sorpreso che avessi una vocalità  come la sua, ma senza imitarla. Io ero emozionatissima, perché mi sentii investita di una responsabilità pesante: essere l’erede ufficiale della più grande di sempre. Una emozione, quasi un peso, che ho affrontato però con coraggio”.

Quante soprano italiane hanno vinto il Concorso Maria Callas-RAI?

“La prima – nella prima edizione quando c’erano 5 primi premi –  fu la Cecilia Gasdia. La seconda fui io, ma nella mia edizione c’era un solo primo premio. Poi, da allora, nessuna altra italiana lo ha vinto”.

Quale debutto ricorda con particolare emozione, tra i tanti che ha fatto in carriera?

“Fui veramente sorpresa dall’enorme successo che ebbi, un anno dopo il debutto, con la Sonnambula, quando il pubblico iniziò ad applaudire senza voler più  smettere, quasi impedendomi di riprendere il canto. La cosa mi sorprese perché cantavo un ruolo da soprano leggero con una voce da soprano drammatico, esperimento che non ho più voluto ripetere, ma devo dire sinceramente che io ho amato tutti i ruoli che ho fatto”.

Quante volte è stata sul palco della Scala, il più arduo e severo al mondo con i cantanti? 

“Per un decennio circa, dal 1986 al 1994. La prima volta a 26 anni, con una cantata di Respighi. Poi, grazie al Maestro Riccardo Muti, che mi faceva provare tutti i ruoli, ho fatto le Nozze di Figaro di Mozart, con la regia di Giorgio Strehler. Come opere effettive, ho fatto La Vestale di Gaspare Spontini. E’ un’opera che somiglia alla Norma e che la Callas fece in omaggio ad una delle sue muse inspiratrici, una soprano napoletana, la Rosa Ponselle, considerata da molti la Caruso ‘in gonnella’. Feci quest’opera con grande successo. Poi il requiem di  Giuseppe Verdi, con Muti,  e il Nabucco sempre di Verdi, dove ho cantato da mezzo-soprano e non da soprano, facendo il ruolo di Fenena”.

1988: Turandot a Nancy

Il compositore d’opera che lei considera il più geniale?

“Ammetto di avere un amore particolare per Vincenzo Bellini, da sempre. Una volta mi chiesero perché  non mi avessero mai conferito il Premio Bellini ed io risposi: Me lo ha dato Dio! Intendo che ho avuto il talento per esprimere al massimo il messaggio musicale di Bellini, e sono i critici stessi a considerarmi il più  grande soprano belliniano di sempre. Sonnambula, Norma, Il Pirata…non ho bisogno di targhe per onorare il grande Maestro”.

Nel 2009 lei ha festeggiato i 25 di carriera con tanti concerti, anche all’estero. Quale è il suo  bilancio di questa carriera straordinaria?

1993: Norma di Vincenzo Bellini al Teatro San Carlo di Napoli

“Il bilancio è  ciò di cui sono ancora convinta e che insegno sempre ai miei studenti: non badate allo star system; quello che rimane nel tempo è ciò che avete costruito con pazienza, devozione… e con storia. Diceva Verdi: E’ moderno tornare all’antico. Io sono soddisfatta e convinta di tutto quello che ho fatto;  non ho mai voluto assoggettarmi allo star system. Se lo si fa, si rischia  di essere manipolati e di finire a fare cose che non si desiderano”.

La critica l’ha sempre osannata: la sua voce è stata definita potente, ma morbida; duttile, agile e di straordinaria ampiezza ed estensione: dal re grave del contralto profondo al fa sovracuto tenuto. Cosa invece, secondo lei, i critici non hanno ancora conosciuto delle sue potenzialità?

“Della mia voce è stata sicuramente sottolineata la preparazione tecnica, che mi ha permesso di impormi  come soprano drammatico di agilità. Sono stata molto fortunata, perché probabilmente del mio talento hanno riconosciuto più del dovuto. Una volta, ad inizio carriera, un regista esordì addirittura con Finalmente il genio riconosciuto! Non sempre è così; non capita a tutti gli artisti di essere visti nelle loro potenzialità piene.  Mi ricordo che una volta Andrea Bocelli mi disse che, quando domandava alle mie colleghe chi considerassero la migliore tra loro, quasi sempre rispondevano Maria Dragoni. E’ strano, ma ovviamente molto gratificante, essere tanto amata anche dalle colleghe”.

Maria Dragoni nel 1976 a Procida

La sirena di Procida, la sua biografia appena uscita, cosa rappresenta nella sua vita di artista? Possiamo considerarla una biografia ufficiale?

“Abbastanza; è  una grande sintesi, pur in un libro breve, della mia esistenza e della mia carriera. Racconta vicissitudini e successi, ma soprattutto la volontà  e l’ottimismo che ho messo in tutta la mia vicenda umana e professionale. Nella vita la capacità di trasformare anche il dolore in Arte mi ha aiutato tantissimo. L’Arte sublima la realtà”.

Ha detto tutta la verità  in questo libro, o ancora le manca da dire qualcosa di importante?

“No, no…ritengo di aver detto proprio tutto, anche se sono solo 110 pagine: concise, perché se dovessi raccontare per esteso davvero la mia vita ci vorrebbero 12 volumi come per la Treccani. Sono tanto soddisfatta, e ringrazio l’editore Roberto Sarra, una persona di grande spiritualità ed umanità. L’ho conosciuto in un momento difficile della mia vita, quando mi hanno dato il premio Donna dell’Anno a Milano: avevo appena perso tutti i capelli a causa delle cure per la malattia, e quindi era un momento davvero triste per me”.

Ha girato tutto il mondo per lavoro. Quali posti ricorda di più?

“Ho girato molto in Francia, per 20 anni; mi piace molto lo stile dei Francesi. Mi piace moltissimo pure New York”.

Lisa Bernardini con Maria Dragoni alla fine dell’intervista

Che ricordo ha dell’America, e quanto conosce New York in particolare?

“Ci sono stata la prima volta con Riccardo Muti. Devo dire che mi chiamarono al Metropolitan quasi subito, agli inizi della carriera, ma io, nella mia ingenuità, risposi che credevo dovessi farmi le ossa prima alla Scala e solo in seguito pensare al Metropolitan. Ripensandoci, mi sono resa conto che la Scala è il palcoscenico più  importante al mondo, e quindi il percorso più giusto da fare sarebbe stato forse prima il Metropolitan, e solo successivamente la Scala. Alla fine, a New York ci sono andata con Muti nel 1992 e ci sono tornata per fare il Corsaro nel 2004. Tra l’altro, nella Grande Mela ho conosciuto Pavarotti, che mi diede il suo numero di telefono, e con il quale sono sempre rimasta in contatto. Mi sono trovata bene a New York: sembrava che tutte le persone fossero dotate sempre di un travolgente entusiasmo, nel quale mi sono facilmente riconosciuta. Se dovessi ricominciare da capo la mia carriera, mi piacerebbe farlo proprio a New York”.

Procida rimarrà sempre che cosa per lei?

“L’isola incantevole che è: magica, misteriosa, serena e splendida”.

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Lisa Bernardini

Lisa Bernardini

Toscana di nascita ma romana d’adozione; nasce nel 1970. Giornalista pubblicista iscritta all’Ordine dei Giornalisti del Lazio, Presidente dell’Associazione Culturale “Occhio dell’Arte APS”, art director ed art photographer. Si occupa di Organizzazione Eventi, Informazione, Pubbliche Relazioni e Comunicazione. Segue professionalmente per lo più personaggi legati alla cultura, all'arte e alla musica. Da molti anni ha contatti e legami con la comunità italo-americana.

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