Musica, politica e donne: le passioni della “Scuola Genovese”
La musica in Italia ha trovato varie capitali e linee di pensiero. Tra le più famose e , allo stesso tempo, hanno avuto più successo, oltre a quella genovese, si ricordano Bologna con interpreti del spessore di Dalla, Morandi e Carboni e Milano con artisti intramontabili come Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. La cultura genovese nasce da una ricerca di libertà intellettuale legata a pensieri politici condivisi discussi prima e accettati dopo. I quattro interpreti principali sono stati Fabrizio De Andrè, Gino Paoli, Luigi Tenco e Bruno Lauzi. Escluso Lauzi che si definì da subito un ‘Liberale’, gli altri tre componenti della ‘Scuola Genovese’ erano vicini ad una lettura politica di estrema sinistra. Il volgersi di discussioni legate a politica e democrazia hanno portato ad un pensiero comune ovvero uno spirito anarchico ed individualista.
L’inizio musicale di tutti questi artisti nasce in parte da molto lontano, Stati Uniti d’America, mentre in parte dalla vicina Francia. Queste influenze arrivano da 33 e 45 giri acquistati nei piccoli centri musicali dell’epoca per quanto riguarda la musica d’oltreoceano mentre, dalla Francia, arriva un’influenza poetica con un linguaggio provenzale e rime continue. Uno degli esempi più chiari è il cambiamento e la traduzione di opere di Brassen da parte di De Andrè. Nel gruppo fu, però, Tenco a distaccarsi per primo con l’approdo prima al cinema e poi al Festival di Sanremo. Motivo di litigio nel gruppo, oltre alla partecipazione dello stesso al Festival della canzone italiana, fu una presunta relazione tra Tenco e la giovane Stefania Sandrelli, ai tempi amante di Paoli.
Emarginazione e successo degli autori genovesi
Sono due i fili che legano i protagonisti della ‘Scuola Genovese’: l’attenzione agli ultimi ed emarginati e il successo dei loro brani. “La mia più grande ambizione è quella di fare in modo che la gente possa capire chi sono io attraverso le mie canzoni, cosa che non è ancora successa.” In questo pensiero di Luigi Tenco ai microfoni di Sandro Ciotti nel ’62, si evince la voglia di questi autori di trovare un nuovo modo di esprimere le proprie idee ed emozioni ricollegandosi ai toni dell’esistenzialismo francese. Il finale della carriera del cantautore nativo della provincia di Alessandria è noto. Dopo l’assunzione di farmaci e di alcool in grandi quantità, uniti al dodicesimo posto al Festival del ’67 che non gli permise di accedere alla finale, l’artista si suicidò con un colpo di pistola nella sua stanza di Hotel. Tenco si era presentato al Festival con la canzone ‘Ciao amore ciao’. Il corpo fu rinvenuto presumibilmente dall’amico del tempo Dalla e da Dalida. Fabrizio de Andrè dedicò la canzone ‘Preghiera in Gennaio’ in cui con queste parole gli dedicherà un posto in paradiso:
“Signori benpensanti, spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi, Dio, fra le sue braccia, soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte,
che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte”
Bruno Lauzi, come detto precedentemente, era l’unico che aveva un pensiero politico diverso dal gruppo ma i suoi testi si rifanno comunque ai canoni realisti del tempo. La sua canzone ‘Io canterò politico’ fu una vera e propria critica nei confronti dell’ambiente musicale e a tutti quegli autori che trattando di emarginazione sociale e povertà stavano, come cita lui nel brano: “Seduti sopra pacchi di autentici milioni”. Questa frase trova un esente ossia Francesco Guccini: “Dovranno ritornare al ruolo di pulcini lasciando intatto il candido e poetico Guccini”. La sua carriera nel tempo si affermerà come scrittore di testi per lo più di voci femminili collaborando con Mia Martini e Ornella Vanoni.
Gino Paoli, anche se inizialmente lo criticò molto, partecipò per la prima volta nel ’64 al Festival di Sanremo con il brano ‘Ieri ho incontrato mia madre’ avendo un grande successo arrivando fino alla serata finale. L’anno precedente, 1963, fu il primo, prima anche di Tenco, a tentare il suicidio con un colpo di pistola al torace circa all’altezza del cuore. Al riguardo successivamente dirà: “Ogni suicidio è diverso e privato. È l’unico modo per scegliere: perché le cose cruciali della vita, l’amore e la morte, non si scelgono; tu non scegli di nascere, né di amare, né di morire. Il suicidio è l’unico, arrogante modo dato all’uomo per decidere di sé. Ma io sono la dimostrazione che neppure così si riesce a decidere davvero. Il proiettile bucò il cuore e si conficcò nel pericardio, dov’è tuttora incapsulato. Ero a casa da solo. Anna, allora mia moglie, era partita; ma aveva lasciato le chiavi a un amico, che poco dopo entrò a vedere come stavo”.
Fabrizio De Andrè: l’espressione della realtà in dialetto genovese
De Andrè portò lo spirito individualista e la lirica francese anche nei suoi testi in dialetto genovese. Il punto unico dei testi è quello di raccontare storie e fatti realmente avvenuti con note a volte ironiche e altre drammatiche. Il suo racconto passa in principio nel racconto della sua città. Creuza De Ma è il brano più conosciuto del racconto genovese di Faber, è presente nell’omonimo album scritto insieme al collega Mauro Pagani. Il racconto del porto antico e dei particolari quartieri genovesi si fermano tutti nella canzone ‘A dumenega’ in cui viene narrato il comportamento dei cittadini durante il giorno di riposo delle prostitute che, passeggiando sul Molo, alimentano la furia del Direttore dello stesso. Un racconto reale cantato in chiave ironica che è stato protagonista anche di diversi live da parte dell’autore. Un’altra opera che racconta un pezzo di storia di Genova è sicuramente ‘A Cimma’. La canzone è l’intera narrazione della ricetta tipica del capoluogo ligure. Il tutto è cantato con cadenza provenzale. Il testo è stato scritto in collaborazione con Ivano Fossati che, per un periodo importante di De Andrè, gli è stato a fianco per la stesura di molti testi. La canzone si conclude con un pensiero alla cuoca: “Poi vegnan a pigiàtela i câmé. Te lascian tûttu ou fûmmu dou toêu mesté” in cui ricorda che anche se è stato svolto da lei tutto il lavoro alla fine non rimane solo che fumo del passaggio del piatto dalla cucina ai commensali.