Ultimamente mi è capitato di vedere in televisione Professor T. una curiosa ma interessante serie televisiva belga.
Gli episodi sono trasmessi negli Stati Uniti nell’originale lingua fiamminga quindi immaginate la mia sorpresa quando, nel mezzo di una scena particolarmente drammatica, la colonna sonora ci ha deliziato con un’ammaliante versione della canzone Giuramento di Roberto Murolo.
La straordinaria voce e stile di Murolo, capace di suscitare allo stesso tempo emozioni che vanno dalla nostalgia al desiderio; dall’intimità al rimpianto, ha scatenato in me una valanga di emozioni e mi ha fatto pensare alla canzone napoletana come un incommensurabile dono che l’Italia ha fatto al mondo.
Quando pensiamo al Made in Italy quello che ci viene in mente sono cose come la moda e il design, caratteristiche distintive di quella creatività, classe e qualità che hanno reso l’Italia l’invidia del mondo.
Ma personalmente credo che ci siano “prodotti” intangibili in grado di esprimere la cultura italiana in termini più efficaci delle borse di Prada o delle scarpe di Gucci.
E si, sono perfettamente consapevole del fatto che la pizza napoletana è stata già dichiarata dall’UNESCO un “Intangibile Tesoro Culturale”. Quasi tutti coloro a cui piace la pizza sono consapevoli di questo fatto, ma non tutti conoscono le glorie della canzone napoletana classica che si può considerare, senza esagerazione, un’icona della cultura italiana nel mondo.
Da sempre, Napoli e la musica sono praticamente sinonimi.
Gia nel XVIII secolo, Napoli era soprannominata il conservatorio d’Europa, luogo d’origine e di residenza di molti compositori tra cui Scarlatti, Pergolesi, Cimarosa, Rossini, Bellini e Donizetti.
La canzone napoletana, una delle principali espressioni della cultura musicale della città, ha una storia lunga e ricca alle sue spalle. Formalizzatasi intorno al 1830 nel solco del festival di Piedigrotta, celebrazione religiosa in onore della Madonna omonima, questa tradizione musicale si organizzò in competizione canora di cui il primo vincitore fu un brano attribuito a Gaetano Donizetti, Te voglie ben assaie, ben noto ancora oggi.
La manifestazione continuò fino agli anni 50 quando fu rimpiazzata, nel 1952, dal Festival della Canzone Napoletana.
Naturalmente il genere musicale ha continuato ad evolversi sia dal punto di vista creativo che interpretativo (vedi Renzo Arbore per esempio) ma è il suo canone classico che è diventato parte integrante della storia culturale e musicale.
Ciò che forse ha una rilevanza ancora maggiore, soprattutto per quelli di noi che appartengono alla diaspora italiana, è il fatto che la canzone napoletana ha dato vita ad un sub-genere divenuto poi psicologicamente ed emotivamente emblematico nel XX secolo: il movimento migratorio. E’ vero che, in qualche modo, ha anche creato un’immagine stereotipica, non sempre positiva, della diaspora italiana. Ma, in un certo senso, anche questo rappresenta una testimonianza della sua portata e della sua forza.
Tra il 1876 e il 1913, 11.1 milioni di italiani si lasciarono alle spalle la loro patria di origine e, secondo stime attendibili, di questi, almeno 4 milioni provenivano da Napoli e dintorni.
Questi esuli agirono come api che impollinano un giardino non solo contribuendo alla diffusione in tutto il mondo delle canzoni classiche, ma anche dando vita ad un sub-genere della “canzone napolitana” dedicata a soggetti vicini al mondo dell’emigrazione come la nostalgia per il proprio paese di origine – Napoli in particolare – la vita, la famiglia e spesso l’amante che ci si è lasciati alle spalle. Questi i temi prevalenti della canzone napoletana articolati in una varietà di toni e stili, dal comico al nostalgico fino al tragico.
Un altro soggetto che figura in maniera prominente nel sub-genere legato all’immigrazione è quello del dolore e della delusione incontrati nei nuovi paesi ospiti: le strade americane non erano lastricate d’oro e per molti la vita negli Stati Uniti si è rivelata difficilissima proprio come nei paesi di origine. Questa gente dovette affrontare l’umiliazione e il disprezzo dovuti alla loro condizione di immigranti ai margini della società e sentire la mancanza del sole e del mare di Napoli soffrendo la nostalgia per la vita lasciatasi alle spalle.
Il tono spesso tragico di queste canzoni era simile a quello delle sceneggiate: messe in scena melodrammatiche in cui il dolore, l’agonia della partenza, l’inganno, il tradimento e l’amore non corrisposto sono motivo di lacrime e passioni.
“Lacreme napulitane” è uno di quei classici che include tutti questi temi. Composta in forma di lettera scritta dall’America da un figlio emigrato alla sua “cara mamma” rimasta a Napoli, la canzone è un lamento sulle difficoltà dell’essere lontani da casa, lontani dal suono della zampogna (la tradizionale cornamusa napoletana suonata nel periodo natalizio) e lontani dal “cielo di Napoli”.
Il testo esprime il profondo dolore del figlio che immagina i suoi cari riuniti intorno al tavolo imbandito a Natale mentre lui soffre lontano e umiliato in una terra straniera e ostile. Il ritornello inizia col verso “Ce ne costa lacrime questa America” e termina con “Come è amaro questo pane“.
Non è difficile immaginare un immigrato o un rifugiato di oggigiorno in una simile, straziante situazione. Le emozioni umane sono universali e quindi perpetue.
Nella canzone “Vurria”, il protagonista si addolora per la distanza da Napoli vissuta come un delirio o una febbre e desiderando più di ogni altra cosa di poter tornare anche solo per un’ora.
Il testo di “Santa Lucia Luntan” ci dice che girare il mondo alla ricerca di una vita migliore non vale la pena se il prezzo da pagare è la separazione dalla propria terra natia, soprattutto nelle ore buie della notte quando i ricordi del passato prendono il sopravvento.
“Se gira ‘o munno sano/se va a cerca furtuna/ma, quanno sponta ‘a luna/luntano ‘a Napule/nun se po’ sta!”
Anche la religione ha svolto un ruolo cruciale nel filone “migratorio” della canzone napoletana, spesso con una convergenza tra la figura della madre e quella della Madonna, soprattutto della Madonna Addolorata: la madre che piange la perdita del figlio in un periodo storico in cui l’emigrazione in luoghi lontani come l’America (o l’Australia o l’America Latina) rappresentava una separazione permanente. Una “morte metaforica”.
Qual è la ragione del successo globale della canzone napoletana? Potremmo dire che una delle ragioni è che rappresenta la quintessenza del carattere italiano: passionale, espressivo, “di cuore”, rispettoso dei valori familiari. Sono questi i tratti che, nel bene e nel male, hanno contribuito alla nascita dello stereotipo dell’italiano del Sud: caricaturale, emotivo e melodrammatico.

Quasi tutte le canzoni classiche di questo repertorio sono giunte nel Nuovo Mondo con gli emigranti. Forse solo “Core Ngrato“, che tratta del tradimento dell’amata rimasta in patria, è l’unica canzone napoletana scritta in America, nel 1911 da Cardillo e Cordiferro forse su commissione di Enrico Caruso che la rese celebre.
Ma forse il successo mondiale della canzone napoletana può essere spiegato dal fatto che questi brani trattano temi universali come la casa, la famiglia, la solitudine, la paura, ma anche le gioie dell’amore e della vita.
Riguardo al contributo della canzone napoletana alla cultura mondiale, la Biblioteca del Congresso Americano riconosce che: “La ricchezza del patrimonio musicale che gli immigrati italiani hanno portato con sé ha avuto un impatto notevole sulla cultura degli Stati Uniti; gli italo-americani e gli italiani che hanno trascorso un sostanziale periodo di tempo negli Stati Uniti hanno svolto un ruolo importante nello sviluppo della musica classica e popolare d’America.”

Persino ‘UNESCO ha riconosciuto la tradizione musicale napoletana come “un patrimonio da proteggere non solo per l’Italia ma per il mondo intero”.
In breve, la canzone napoletana, e specialmente il sub-genere emerso dalle successive ondate migratorie degli italiani in America e nel mondo, è un’espressione centrale della cultura italiana e una ricchezza globale da tutelare e da difendere ad ogni costo.
Inoltre, per coloro che sono emigrati all’estero, questa tradizione musicale rappresenta un pezzo di cuore; un’espressione di tutti gli alti e bassi della vita e di quel coraggio necessario ad inseguire un sogno, importante oggi come cento anni fa.
Traduzione di Marcello Cristo