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December 29, 2019
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Viaggio nel tempo della musica: Maurizio Bianchi pioniere del genere “industrial”

Intervista a un protagonista di un genere musicale che emergeva in Europa in un periodo particolare della sua storia

Paolino CanzoneribyPaolino Canzoneri
Viaggio nel tempo della musica: Maurizio Bianchi pioniere del genere “industrial”

Maurizio Bianchi negli anni Settanta e in una immagine più recente

Time: 5 mins read

Da sempre ogni genere musicale si è sviluppato ed approfondito fino a dare vita a molteplici diramazioni che nel corso del tempo sono divenute vere e proprie risorse grazie ad un apporto artistico più elevato e di spessore.

La musica è una traccia indelebile di sensazioni, sentimenti e racconti che pulsano e vibrano all’unisono stimolati e ispirati dalla società e dalle fasi della propria esistenza che, tappa dopo tappa, percorrono un cammino che influenza il modo di percepire e comprendere la realtà del proprio “io”.

Ogni genere musicale scrive la storia delle società come colonna sonora di un presente oramai trascorso ma che conserva un sapore particolare e unico per chi si è trovato a vivere e crescere proprio in quel periodo di tempo con quella musica che a risentirla dopo decenni causa una sorta di incantesimo dove si resta silenziosi e catturati da mille sensazioni e ricordi. Il genere stesso incarna stati emotivi precisi.

Facile quindi comprendere come, per fare un esempio, la musica “industrial” sia apparsa in Europa come avanguardia del 900 in un momento storico in cui trasgressione e provocazione erano linee di condotta artistica fomentata da una voglia di “smembrare” e cambiare il rock e la musica elettronica.

La società con i suoi cambiamenti più o meno aspri nei confronti del futuro della gioventù ha sempre rappresentato impulso e stimolo nella ricerca di sperimentazioni musicali sempre più estese in terreni vasti e innovativi.

Abbiamo quindi scelto di parlare con un pioniere milanese della musica industrial che ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi l’apporto italiano ad un genere che dalla Germania e dall’Inghilterra si è espanso a macchia d’olio in tutta Europa fino a varcare confini territoriali oltre i mari in tutto il mondo.

Maurizio Bianchi è uno degli artisti del genere industrial più conosciuti e seguiti. Nonostante il genere stesso venga considerato di “nicchia” per ragioni legate ad una non facile assimilazione “popolare” per via di certi estremismi sonori e rumorosi e quindi poco “orecchiabili”; ogni suo lavoro discografico viene sempre recensito da tutti i giornali di musica italiani ed europei.

Il suo approccio iniziale negli anni 60 lo vedeva alle prese con complesse registrazioni sperimentali riprodotte su musicassette oggi introvabili ma considerati veri tesori di estremo valore storico e musicale fonte di costante ricerca di estimatori ed appassionati del genere. Maurizio Bianchi, quindi, iniziava la sua sperimentazione registrando i suoi album su audiocassette fino ad approdare ai vinili e successivamente ai CD assicurandosi, nel corso degli anni, una discografia piuttosto copiosa.

Artista particolare e dotato, ha sempre voluto mantenere un profilo defilato ma assolutamente cordiale nel raccontare il suo passato artistico e i suoi profondi cambiamenti come artista e come uomo:

Che atmosfere vivevi agli esordi della tua sperimentazione sonora, come vivevi la tua generazione in quegli anni?

“Era un periodo abbastanza turbolento, quando ho iniziato l’attività per gli anni 70 in Italia c’erano disordini e attentati; a livello nazionale c’era uno spirito anarchico che ebbe inizio con l’ondata musicale punk che aveva dato uno sbocco abbastanza importante perché aveva creato uno spartiacque tra il passato e il presente, credo ancora più del beat, un vero e proprio taglio netto e come generazione ho vissuto quel periodo turbolento denso di pessimismo in cui non c’era nessuno sbocco concreto per quel che riguardava il futuro e tutto questo ha influenzato la mia ottica esistenziale”.

Il tuo approccio al sound poi definito “Industrial”, rappresentava una esigenza di trasversalità oppure era una ricerca sonora spinta dalla passione e voglia di ricercare musicalità estreme?

“Volevo trovare qualcosa che spezzasse un po i canoni tradizionali della musica elettronica che già ascoltavo in passato, avevo apprezzato i pionieri tedeschi della musica retrò dei primi anni ’70 e quindi conoscevo le varie fasce di stili di quel genere ma mi accorgevo che erano sempre delle cose abbastanza statiche che diventavano fine a se stesse e quindi c’era bisogno di un qualcosa che desse spessore e concretezza per durare nel tempo e quindi quando ho ascoltato i gruppi inglesi Cabaret Voltaire piuttosto che i Throbbing Gristle e tutte quelle generazioni sperimentali lì ho sentito che c’era qualcosa che mi prendeva bene e per questo ho voluto tentare pure io una strada italiana non copiando da questi fautori della musica sperimentale oltremanica ma creando una cosa ambientata a Milano dove vivevo e dove stavo crescendo, che era una città molto all’avanguardia sotto l’aspetto economico, commerciale e industriale proiettato in un modus vivendi locale e cosi è nato un certo stile colmo di rumori inizialmente già preesistenti senza strumentazione come fosse una vera e propria dissacrazione delle sonorità incise da altri”.

Ci parli dei lavori musicali che ritieni più esaustivi che fanno comprendere merito e spessore di Maurizio Bianchi?

“Gli album in effetti sin dai primi anni uscivano a ripetizione e ogni lavoro successivo cercavo sempre di farlo migliore del precedente ma quello che mi ha aperto le porte agli Stati Uniti è stato “Mectpyo Bakterium” che mi ha consentito di farmi conoscere dal pubblico americano in un momento dove i miei contatti erano circuiti a livello europeo e giapponese e poi “Armaghedon” uscito prima della mia “sosta” volendola chiamare cosi. Questi due sono quelli che mi hanno davvero aperto due fasi importanti”.

La religione nella tua vita ha avuto ed ha un ruolo fondamentale come traino e stimolo per profonde riflessioni; ci spieghi come sei riuscito a crearti l’ispirazione da tutto questo?

“Nel 1997 ho avuto modo di cominciare una nuova fase, una nuova era del mio operato artistico e quindi mentre prima il tutto era improntato sul negativismo sull’ossessione e sul pessimismo, con la fase successiva praticamente si è ribaltato tutto in perfetto senso opposto cioè hanno fatto capolino ottimismo, serenità e positivismo; una pace interiore che mi ha dato equilibrio conducendomi verso sonorità del tutto diverse migliorando la mia vita interiore. Un passo concreto di maturazione oltre che a livello artistico anche a livello personale”.

La tua enorme discografia ti vede incline a collaborazioni con artisti di ogni specie. Sei attratto dalle infinite infiltrazioni e diramazioni che l’universo della musica è in grado di offrirti. Vivi questa esperienza come seconda maturità artistica o cerchi di analizzare la società di oggi per cogliere sfumature e dettagli da scambiare con altri artisti per poi inserirle nelle tue composizioni a venire?

“Si hai ragione perfettamente; prima vivevo un clima claustrofobico; in passato avevo avuto delle richieste di collaborazione, te ne cito una sopra tutte con i Cluster ma temevo potessero snaturare quel mio modo di comporre musica, poi successivamente nella seconda e attuale fase ho aperto la porta a miriade di collaborazioni che mi hanno dato molte soddisfazioni a livello artistico e che mi hanno consentito di assimilare e scambiare esperienze e provenienze da diverse realtà sociali”.

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Paolino Canzoneri

Paolino Canzoneri

Paolino Canzoneri nato a Noto (SR) nel 1966 e residente a Palermo. Giornalista iscritto all’Albo dei Giornalisti di Sicilia. Da diversi anni collabora con diverse testate giornalistiche regionali e nazionali con commenti, analisi e riflessioni di attualità, politica, economia e musica con un occhio puntato a Sud. Il suo giornalismo rispecchia un’enclave culturale indipendente e trasversale del pensiero critico ma moderato con introspezioni aventi lo scopo di stimolare per quanto possibile la percezione del presente cercando di offrire una visione cristallina e fedele della realtà.

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