Per dare un’idea del mood ambivalente della sua estetica musicale, sospesa tra gli scenari crudi e violenti della trap e un immaginario pop multicolor molto rassicurante, Rico Nasty parla di “sugar trap”. Sugar Trap è anche il titolo di uno dei suoi brani più popolari, incluso in Sugar Trap 2, uno dei suoi due lavori del 2016 che fatto drizzare le antenne della prestigiosa Atlantic Records che ha poi distribuito Nasty, uscito il 15 giugno di quest’anno e subito celebrato dalla stampa specializzata.
La storia di Maria Kelly inizia nel maggio del 1997 a Largo, piccolo centro del Maryland poco a nord di Washington DC noto per aver dato i natali al rapper Oddisee, dove il 92% della popolazione è afro-americana. Tuttavia, le sue origini, che rivendica sempre con molto orgoglio e senso d’appartenenza, come si può intuire dal nome d’arte, sono per metà afro-americane e per metà portoricane. È proprio la madre, portoricana, a crescere la figlia, con un padre sempre molto distante già prima del divorzio, in un contesto sociale non facilissimo, soprattutto dopo il trasferimento delle due a Palmer Park, un’area che prima della fine della segregazione era composta per il 99% da bianchi e che nel corso dei decenni è gradualmente trasformata in uno dei ghetti a maggioranza nera più poveri dei dintorni della capitale.
La madre crede molto nella figlia e per farla sfuggire alle lusinghe della vita da strada la manda a studiare a Baltimora in una scuola che premia gli studenti talentuosi, considerati “disenfranchised” (svantaggiati economicamente). Gli ascolti di Maria, inizialmente, sono molto distanti dal genere musicale che la sta facendo conoscere oggi negli States. Prima di ispirarsi a Grimes e Rihanna, da adolescente, ascolta il metal e gli Slipknot, è molto solitaria e i suoi compagni la etichettano come “emo”, da quello che ha raccontato nelle sue prime interviste.
A 15 anni arriva la svolta, quando entra inevitabilmente in giri poco raccomandabili di giovanissimi pusher e perdigiorno con la fissa della trap. Nel 2012, la trap, che qui in Italia abbiamo scoperto da vicino negli ultimi due-tre anni, era già un fenomeno e movimento molto popolare e consolidato soprattutto nelle grandi città del Sud e nei quartieri più poveri delle metropoli dell’East Coast dove sorgerà di lì a pochi anni il cosiddetto movimento DMV che identifica la scena rap contemporanea di DC, Maryland e Virginia.
I testi di TACOBELLA, suo primo nickname, mostrano una longeva e precoce passione per la poesia e la letteratura. La sua voce, erede della scuola anni ’90 di Lauryn Hill e Missy Elliott, sa essere feroce, trascinante, ma non è mai priva di quel fuoco latino che la rende molto sexy e orecchiabile, anche nelle tracce più aspre. Dopo nemmeno due anni di primi approcci al rap e alla trap esce il suo primo progetto Summers Eve, un anno dopo diventa mamma e pensa sempre più seriamente a costruirsi una carriera nel mondo della musica, nonostante tutte le difficoltà del caso.
Nel 2016 escono i due mixtape, Sugar Trap e The Rico Story che la sospingono verso il successo, grazie a brani come iCarly e Hey Arnold che diventano “instant classic” sul web con milioni di ascolti e visualizzazioni.
La sua fanbase continua a crescere nel corso del 2017 e iniziano a sprecarsi i paragoni con Nicki Minaj e Cardi B. Atlantic non se la fa sfuggire e le fa firmare un contratto per pubblicare l’atteso LP d’esordio. In Nasty la ventunenne mostra una voce in continua maturazione, che sa alternare strofe avvelenate e momenti più sinuosi e potenzialmente da club. Tra i guest spicca la giovane icona hip del Tennesse, Blocboi JB e uno degli astri nascenti della scena “soundcloud rap”, Lil Gnar.
Dai primi ascolti, in tanti percepiscono di avere davanti uno degli album più importanti del 2018. Nascerà un movimento “sugar trap” a lei ispirato? È presto per dirlo, ma come spiega la giovane portoricana, la “sugar trap” è come “amare qualcosa che non dovresti amare, o avere il piacere di fare qualcosa che non dovrebbe piacerti.
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