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April 9, 2014
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Protomartyr, la rabbia compassata di Detroit

Piero MerolabyPiero Merola
Time: 4 mins read

La Detroit degli stabilimenti in abbandono e delle serrande abbassate non ha generato quella reazione musicale che in altri tempi ci si sarebbe attesi. Sarebbe utopico attendersi dei nuovi MC5 e The Stooges. La scena punk-hardcore è un fenomeno sempre più underground. La rabbia vera e propria non c’è più. Gli ultimi vagiti di revival garage rock per le masse risalgono ormai a The Dirtbombs, The White Stripes e The Von Bondies, esplosi quasi due decenni fa. Generi più di nicchia come la Detroit techno restano fenomeni culturali chiusi ed estranei ai cambiamenti sociali. Così come l’hip hop che ha trovato in Danny Brown il nuovo Eminem, benché, anche lui, molto più indipendente e di nicchia come nome.

I Protomartyr hanno un nome brutale da progetto metal, ma esprimono piuttosto una rabbia molto contenuta e rassegnata. Le radici post-punk ci sono (Wire, The Fall), ma la voce baritonale del frontman Joe Casey rende il loro sound più malleabile, quasi sulla scia della recente tradizione indie rock d’autore di The National, Spoon e The Walkmen. È appena uscito il loro secondo LP in studio, Under Color Of Official Right, il primo distribuito dalla Hardly Art, etichetta di culto di Seattle, fondata nel 2007 dal redivivo colosso della musica indipendente della West Coast, la Sub Pop. Non è difficile pensare che abbia tutte le carte in regola per la consacrazione. I Protomartyr non appartengono a quell’ideale di band indie che sa presentarsi bene a partire dal look e dalle scelte estetiche. Non sono dei sex symbol, non vivono di musica, ma continuano a svolgere lavori più o meno umili nel centro della metropoli del Michigan.

Già il disco di debutto dello scorso anno aveva un titolo sarcastico che era tutto un programma, No Passion All Technique. E in una maniera molto schietta e poco politicizzata era totalmente impregnato di esperienze e vibrazioni nate, vissute e trascorse nel cuore di Detroit, dai sordidi bar di Midtown ai sobborghi decaduti come Ypsilanti. Tra musicisti falliti e macchinisti notturni che sperperano i risparmi nel weekend, bevendo High Life su High Life, la birraccia a buon mercato della Miller. Il progetto è nato in realtà ormai mezzo decennio fa. All’epoca Joe Casey era un tuttofare alla porta del Gem Theatre, luogo di fulcro di musical e piece teatrali. Al Gem incontra Greg Ahee, il chitarrista e i due scoprono di aver frequentato la stessa scuola, dai Gesuiti. Scoprono di avere interessi musicali comuni a partire dal punk e dal post-punk di fine anni Settanta/inizio anni Ottanta.

Greg ha già una band dal nome poco elegante, Butt Babies, un duo garage dalla propensione altamente etilica insieme all’amico di lunga data Alex Leonard. Joe vi si unisce e da questo nucleo nasceranno i Protomartyr, con l’arrivo al basso di Scott Davidson. La voce di Greg si ispira a Mark E. Smith (The Fall) e Nick Cave e dà un tocco più maturo al garage senza fronzoli dei nuovi compagni d’avventura. I testi di Casey anche nel nuovo Under Color Of Official Right sono il marchio di fabbrica della band. Solite storie di buoni a nulla, dive bar, bagordi, disavventure di alcolizzati e mediocri eroi della working class del Michigan. A partire dalla traccia d’apertura, Maidenhead, liberamente ispirata al romanzo-commedia noir di Patrick Hamilton, Hangover Square. C’è anche spazio per un inno alla rivalsa, Scum, Rise! che dell’inno rock ha anche l’incedere e il chorus, oltre che il titolo. Parla di un bambino di sette anni abbandonato dal padre che cresce nel degrado e da grande cerca la sua rivalsa. Probabilmente senza mai trovarla. Nessun inno (“ce ne sono già abbastanza”), nessuna chiamata alla rivolta, solo una presa di coscienza, molto amara e compassata.

Come And See è la loro risposta piccata a quanti credono ancora che Detroit sia quella città dall’intatto fascino controculturale e musicale e che la scelgono come nuova città cool delle opportunità, solo perché è piena di ex depositi e appartamenti in abbandono e di spazi sfitti molto convenienti.

Della città d’origine loro conservano quel mood molto genuino e alla mano tipico delle band di Detroit, da artisti con poche pretese nati e cresciuti nei dive bar, dove i Protomartyr si sentiranno sempre più a proprio agio, rispetto alle platee delle grandi arene o dei festival. Comunque arriveranno presto anche in Europa, stanno girando ovunque negli Stati Uniti, sono stati ospiti anche quest’anno del prestigioso SXSW di Austin. Eppure a loro sembra fregare molto poco dell’hype e della crescente curiosità attorno al loro nome. Come hanno dichiarato di recente, proprio a proposito della rassegna texana, “siamo gente del Midwest ed è molto Midwest fregarsene di tutto il resto che ruota attorno alla musica, ci importa solo fare la nostra roba: in posti grandi o piccoli la nostra attitudine sarà sempre la stessa”. Più post-punk di così…

I Protomartyr sono su Facebook e Soundcloud.

 

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Piero Merola

Piero Merola

Laureato in Relazioni Internazionali, lavoro come consulente di comunicazione, pubbliche relazioni e nuovi media. All'interesse per la storia e la politica americana, ho sempre unito quello per la musica. Dopo uno stage in Ambasciata Italiana a Washington, ho seguito per America 24 le presidenziali del 2012, e oggi scrivo per Rivista - Il Mulino. Editor del magazine online Kalporz, dal 2006 scrivo recensioni, interviste e report da ogni dove. Collaboro come ufficio stampa e copywriter con etichette, agenzie di booking, eventi e festival. In passato ho lavorato per festival estivi come Beaches Brew e Ortigia Sound System, oggi per la comunicazione del Diagonal Loft Club e di Deposito Zero Studios dove sono responsabile della direzione artistica del video format Live Zero. In questa rubrica vi presento nomi emergenti della scena americana, alcuni dei quali, intanto, sono diventati grandi.

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