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January 29, 2014
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Fluttuando nel mondo, sulle note dell’italico Richard Galliano

Riccardo GiumellibyRiccardo Giumelli
Time: 7 mins read

Incontriamo Richard Galliano nel suo camerino. È probabilmente il più importante e celebre fisarmonicista al mondo, uno dei musicisti francesi più apprezzati. Figlio, artisticamente parlando, di Astor Piazzolla (anche lui, come Galliano, di origini italiane), di cui suona alcuni brani tra i più famosi, sposa i temi italici -così ci è parso, dopo averlo incontrato. La musica senza confini, gli incroci di generi e stili ne fanno uomo di mondo ma, come lui dice, in Italia: “si sente a casa”. 

Dalle note famose di Oblivion e Libertango a quelle di Vivaldi (l’Estate), a quelle francesi (Petite Suite Française) arriviamo anche alla composizione New York Tango pensata per ricordale il lungo periodo trascorso dal compositore argentino nella Grande Mela. Ci sentiamo trasportati, fluttuando da Buenos Aires a Venezia, da Parigi a New York. Fermi nella nostra poltrona giriamo, insieme, il mondo.

Il suo sito riporta la citazione: “Une vie réussie est un réve d’adoloscent réalisé dans l’age mur” (una vita riuscita è il sogno di un adolescente realizzato nell’età matura). Qual è stato il suo sogno di adolescente?

Ho avuto sempre il sogno di suonare, di fare il mestiere di musicista. Volevo cambiare la percezione che la gente aveva della musica, soprattutto l’aspetto jazz, brasiliano, classico della fisarmonica. La gente della mia epoca, della mia gioventù, conosceva solamente quello più popolare, che io amo molto, come il liscio,  ma meno raffinato.

Per me è un piacere suonare, fare le prove, questa sera il concerto. Non lo considero  un mestiere come quello di chi va tutti i giorni a lavorare e non gli piace farlo. Per me una vita riuscita è questo: suonare. È la libertà di scegliere la propria musica. 

Qual è il suo legame con l’Italia e gli italiani?

Innanzitutto, il mio cognome: Galliano. Tutti i bisnonni sono italiani. I bisnonni dalla parte di mio padre sono emigrati dal Piemonte. I miei bisnonni materni provenivano, invece, dal Sud: Civitavecchia. Avevo poi altri parenti a Città di Castello, in Umbria, e in Toscana. Un po’ ovunque, quindi. Sono un mix dell’Italia del Nord e del Sud. Ma sono anche francese. Vengo da Nizza che è molto simile all’Italia, ma ho vissuto molti anni a Parigi. Una città che amo molto perché speciale. Ci sono quartieri bellissimi come Montmartre. Oggi la vita a Parigi è  piena di diversità: africani, arabi, asiatici. C’è della poesia in tutto questo come nei film di Jean Gabin eLino Ventura. E c’è della poesia nella fisarmonica francese, anche se io suono una fisarmonica italiana. Ma amo anche quella di Parigi, fabbricata comunque in Piemonte. Infatti, tutte le fabbriche delle fisarmoniche francesi sono italiane: Cavagnolo, Fratelli Crosio. E ci sono anche tanti fisarmonicisti di origine italiana: Marcel Azzola, Joe Rossi, Jo Basile, Tony Murena, Jo Privat (la madre era italiana). Suonavano molto il musette, un mélange tra la musica degli emigranti italiani con quella francese dell’Auvergnat nel centro della Francia, e soprattutto la musica tzigana. 

Anche il Tango è un po’ la stessa cosa, come quello di Piazzolla. Lui era di Trani, pugliese. Il Tango è una mescolanza, dove la musica italiana è importante. Non a caso l’ultimo disco di Piazzolla riguardò Napoli, si chiamava La Camorra. Perché Piazzolla era affascinato dall’ambiente dei gangster sia nel jazz che, ovviamente, nel Tango. Io, alla fine, sono il risultato di tutto questo. 

A proposito di Astor Piazzolla. Qual è stato il suo rapporto con il grande fisarmonicista argentino?

astor

Astor Piazzolla

Mio padre (Lucien Galliano) mi parlava tantissimo di Piazzolla. Io pensavo, addirittura, che fosse già morto. Invece l’ho incontrato poi a Parigi e da quel momento siamo diventati molto amici. Probabilmente è stato più un secondo padre. Mi ha dato molti consigli. Per esempio, di fare il new musette, ma anche quello di fare la musica mia lasciando l’accompagnamento dei cantanti e suggerimenti sulla realizzazione dei dischi. Purtroppo è morto, nel 1992, quando io ho cominciato ad incidere i miei album. 

Per molti anni ho fatto dei concerti chiamati Piazzolla Forever, cioè il 100% della sua musica. Ora con il nuovo concerto, I remember Astor, interpreto la musica di Astor ma anche il risultato di tutto ciò che lui mi ha insegnato e quindi Vivaldi, Bach e la mia musica.

Proprio a questo proposito nella sua musica ci si aspetta Piazzolla, ma lei ha suonato anche Nino Rota, Edith Piaf, Billy Holiday. Bach e Vivaldi, invece, sono una sorpresa.

Il riferimento tra Piazzolla e Bach nasce perché lui mi raccontava che quando era piccolo ascoltò la musica di Bach da quello che diventò il suo futuro insegnante di musica. Lui stava giocando a pallone nel cortile, rimase tre ore ad ascoltare le note di Bach, decise, allora, di voler suonare.

Piazzolla scrisse poi le quattro stagioni del Tango in relazione alle quattro stagioni di Vivaldi. Nella musica di Piazzolla si possono sentire le influenze del jazz, quelle di Bach per le fughe, il contrappunto; ma anche l’energia di Vivaldi.

Cosa significa per lei venire a suonare in Italia, agli italiani?

Sono vent’anni che vengo a suonare in Italia. Penso di averci suonato più che in Francia. C’è un rapporto molto forte con il pubblico. Ho un feeling più forte con gli italiani che, in generale, con i francesi. Non mi sento straniero. A Parigi a volte mi sento straniero, in Italia, invece, mi sento a casa. 

L’Italia rispetto alla Francia è, in qualche modo, più orientale. Sono stato a suonare a Taiwan, lì c’è un mercato di notte che mi ha ricordato l’Italia, Napoli, con molta gente insieme, all’aperto. Sono un mélange anche di questo, soprattutto dell’Italia del Nord e del Sud. Io ho un po’ tutte e due i temperamenti: il fuoco del Sud e la saggezza del Nord. Anche se dipende dai giorni. (Ride, nda).

La sua musica è transculturale: Francia, Argentina, Italia, Oriente, mondo arabo, cultura tzigana. Una musica che non ha confini. Quanto la sua identità mescolata ha influito sulla sua musica?

Quando ho iniziato a comporre la mia musica era molto influenzata da quella araba, mediterranea. In questo senso mi sono sentito molto vicino a Piazzolla. Certo, lui conosceva bene il tango tradizionale ma c’era questa influenza mediterranea, che è una musica del viaggio. Questa musica mi evoca un battello di migranti, tanto che chiedo al bassista di suonare in una maniera rotonda proprio come il movimento di una barca nel mare.

La musica, in particolare la sua, crea ponti. È possibile che oggi sia ancora in grado di indicare una via, di aiutare gli esseri umani ad una convivenza migliore?

La musica è più forte della politica. La politica divide mentre la musica unisce. Piazzolla diceva che ogni musicista deve suonare la musica della sua terra. È importante stare insieme ma anche far emergere le diversità: la lingua, i dialetti. I giovani, a Nizza, ormai non parlano più il dialetto. È un peccato. In Armenia, dove sono andato a suonare, la gente nei ristoranti canta le canzoni tradizionali. Se la globalizzazione è lo stesso abbigliamento, la stessa musica, lo stesso modo di pensare, a me non piace.

Per esempio la fisarmonica ha la specificità di essere molto diversa. C’è la fisarmonica francese, italiana, russa; l’accordeon a tastiera brasiliano, l’organetto, il bandoneòn. Quando insegno vedo i giovani venire con identità differenti, musiche differenti. Per me questo è fantastico, è una grande ricchezza.

Le sue origini italiane nella carriera l’hanno più aiutata oppure ostacolata?

giovane

Il giovane Richard Galliano

Mi hanno aiutato. All’inizio della mia carriera dopo che dalla regione di Nizza sono andato a Parigi, i primi concerti seri li ho iniziati a fare in Italia. Ho conosciuto quello che è diventato un famoso impresario di jazz, Mario Guidi. La mia carriera, comunque, inizia in Italia. Ogni mese faccio due, tre concerti in Italia. Per esempio, in questo tour in Italia ho deciso di viaggiare con la macchina. Farò molti chilometri ma è bello, perché il sentimento del viaggio è diverso, soprattutto rispetto all’aereo. Un modo un po’ vecchio di fare i tour ma a me piace guidare. Mi rilassa.

Un'ultima domanda: cosa consiglierebbe ad un giovane che volesse fare musica oggi, in un mondo che è molto cambiato rispetto a quello nel quale lei aveva cominciato a muovere i primi passi?

La prima cosa, avere veramente la voglia di fare il mestiere di musicista. Di essere bravo, avere un carattere molto forte, ma soprattutto di avere pazienza. È meglio che le cose siano lente ma pensando al lungo periodo. Deve essere una passione, non si può contare il tempo quando si studia, si suona. Purtroppo, i giovani non hanno molta pazienza, molti diventano velocemente star, ma come una fiamma si spengono subito. Un'ultima cosa, è importante conoscere la musica del passato, la musica classica, il jazz. È importante essere coscienti che c’è della musica bellissima nel passato. Non esiste solo quella moderna. Oggi non si trova in Francia una cantante all’altezza di Edith Piaf. Non esistono jazzisti come Louis Armstrong o Duke Ellington.

Ma meno male, aggiungiamo noi, che c’è Richard Galliano.

 

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Riccardo Giumelli

Riccardo Giumelli

Un aforisma che più di altri mi rappresenta è quanto scrisse Machiavelli, citando Boccaccio: “che gli è meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi”. Come loro sono toscano, animo inquieto in cerca di porti per approdare e ripartire. Dopo gli studi in Scienze politiche, ho iniziato ad amare i libri, fare ricerca e scrivere, al punto da rimanere nell’Università, prima Firenze poi Trento. A Dijon e poi a Parigi, ho lavorato alla Camera di Commercio italiana e all’OCSE. Tornato in Italia, sono approdato a Verona, dove faccio ricerca e insegno. Intanto un matrimonio e due splendide gemelline. Mi occupo di sociologia, cultura e comunicazione. Tra tanti nuovi inizi e altrettanti epiloghi, una costante: ho sempre tifato Inter. Infatti soffro di stomaco.

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