A rigor di logica sarebbe difficile in Italia spiegare il successo di un progetto come quello di Oneohtrix Point Never che ha firmato la colonna sonora dell'ultimo discusso film di Sofia Coppola, The Bling Ring e che presenta in questi giorni il sesto LP in sei anni, R Plus Seven.
Oneohtrix Point Never fa musica difficile, il nome è un gioco di parole difficile persino da scrivere correttamente. Il titolare è il trentenne Daniel Lopatin, produttore elettronico originario di Boston. Figlio di immigrati sovietici di San Pietroburgo, nasce e cresce in un sobborgo a Ovest della città, si laurea in Library and Information Science al Pratt Institute. Presto capisce che la rassicurante periferia residenziale e vittoriana del Massachusetts non fa al caso suo. I suoi genitori sono dei musicisti professionisti, lui non sa suonare nessuno strumento tradizionale e si butta sullo studio dei sintetizzatori, sperimentando new age, fusion e ambient.
Nel 2008 decide di andare a vivere a Brooklyn, nell'epicentro della scena indipendente americana e in pochi anni diventa un punto di riferimento trasversale per molte band, non solo nell'ambito dell'elettronica. Non è soltanto merito del suo aspetto da hipster paffuto, con barba incolta e camicie a quadri a fare breccia in quel di Brooklyn. Daniel fa musica difficile, ma sa come renderla cool e appetibile anche ai più insospettabili estimatori del genere. Quinto LP da solista, ma svariati EP tra chillwave e synth-pop a nome Games (poi Ford & Lopatin) insieme a Joel Ford dei Tigercity con l'ottimo LP Channel Pressure. Poi lo scorso anno un LP strumentale insieme al guru dell'ambient elettronico canadese, Tim Hecker (in Italia in tour in questi giorni). Nel 2009 raccoglie in un LP (Rifts) i suoi primi tre esperimenti a metà strada tra l'avanguardia pura e digressioni cerimoniali e da lì inizia la sua scalata verso la notorietà.
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La sua base è a Bushwick, dove le comunità ispaniche si mescolano alle avanguardie hipster in fuga dalla vicina Williamsburg, tra decadenti project ed ex magazzini riqualificati a palazzi abitabili. Il suo studio dà sul quartier generale della compagnia telefonica Verizon e ha una decadenza che lui ha definito simile a quella di una Berlino Est. In questi sfondi post-industriali da film d'essai, partorisce Returnal e Replica, due album molto sinistri e introspettivi che ne codificano la proposta musicale. Tra ambient, rumorismo e estasi, le suite di Oneohtrix Point Never sono piene di sfumature, tra spigoli e vuoti, un viaggio verso il nulla da godersi in cuffia, meglio se nelle ore notturne. Tra campioni malati di vecchi spot pubblicitari e momenti elegiaci da nipote irriverente di Brian Eno, Replica è tra i dischi più osannati dalla critica del 2011 (per chi scrive in assoluto il disco migliore dell'annata). Nel maggio del 2012 è tra i protagonisti della prima dello spettacolare happening di Doug Aitken. Il videomaker ha trasformato per venti giorni la struttura cilindrica dell'Hirshoorn Museum di Washington DC in un maxi schermo, con una proiezione serale continua del corto Song 1 da godere dai giardini del mall della capitale. E tra i diversi artisti coinvolti, tra cui Beck, Devendra Banhart, Nicolas Jaar, Tilda Swinton, ha assoldato anche Daniel Lopatin nei panni di Oneohtrix Point Never che rielabora a modo suo il classico soul americano protagonista del corto, I Only Have Eyes for You. Provate a confrontare la versione originale con la versione di Lopatin per restare a bocca aperta.
Durante il lungo tour mondiale che tocca anche altri palazzi d'esposizione di un certo spessore, dal MOMA PS1 di New York all'Institute of Contemporary Art della sua Boston, continua a sfornare remix e collaborazioni con diversi artisti da Brooklyn e non (leggi Nine Inch Nails), arriva un altro album, R Plus Seven, uscito il 30 settembre per la prestigiosa etichetta britannica Warp Records che dalla fine degli anni Ottanta fa la storia dell'elettronica internazionale. Il lavoro, come sempre, non è immediatamente digeribile. Suona più omogeneo e meno di rottura rispetto al precedente Replica, guardando ai synth dell'era analogica degli albori. Ridotto il lavoro sui campioni, Lopatin prova ad anestetizzare l'ascoltatore con quei peculiari flash alienati e fugaci che disorientano e sconvolgono. Un'opera scarna e spettrale per un'alchimia d'avanguardia che continua comunque ad avere appeal e a suonare così maledettamente cool, nonostante la ricerca sonora lambisca a tratti la sperimentazione più estrema e ostinata.