A sinistra Carlo Colombara al Metropolitan Opera House
Carlo Colombara, il basso cantante all’italiana, è probabilmente la più autorevole voce di basso cantante che possieda oggi l’Italia. Dal suo debutto
nel 1995 con Ramfis di “Aida” al Metropolitan, è spesso ritornato per interpretare il personaggio verdiano davanti al pubblico americano, però in questa stagione cantare sul palcoscenico più famoso al mondo, ha per lui una importanza particolare dato che debutta nel ruolo di Zaccaria, un personaggio che ha cantato in tutti i grandi teatri del mondo. Lasciamo però a lui la parola perché ci racconti di sé, della sua carriera, e del suo modo di vivere la musica e la “voce”.
A quale età si è accorto di avere la "voce" ?
«Diciamo che a 15 anni speravo di averla perché amavo il canto, ho studiato fino a 18 anni come baritono, poi ho capito che la voce prendeva consistenza, verso i 21 anni era anche cambiata così sono diventato basso, per cui mi son reso conto di aver la voce perché quando partecipavo alle audizioni mi prendevano».
Qual è stato l’evento che l’ha incoraggiato a studiare canto?
«Anzitutto la passione per il teatro e poi quando a 9 anni sono stato folgorato dalla “Carmen” al Teatro Comunale di Bologna».
La domanda è canonica, ne sono cosciente, da veterano del Met in diversi ruoli, ed oggi interprete dell’impervio ruolo di Zaccaria nel Nabucco, cosa è stato questo teatro per la sua carriera?
«Cantare Zaccaria al Metropolitan è un bel punto di arrivo per una carriera, cantare un ruolo così difficile del Nabucco in uno dei piu grandi teatri del mondo è un onore. Forse il più grande una volta si diceva la Scala, oggi non più quel grande nome che aveva una volta.Quindi per me è una soddisfazione enorme cantare un ruolo così impegnativo in questo teatro così importante».
Il “Nabucco” è un’opera corale perché il coro è protagonista in tutta l’opera, in special modo nel terzo atto con “Va pensiero, sull’ali dorate”, ma ci sono altri protagonisti come il sacerdote Zaccaria che nel primo atto canta “Sperate, o figli! Una cavatina che dal fa acuto scende al sol grave, poi segue la cabaletta “Come notte a sol fulgente” che qualche volta si conclude con un sol acuto. Considera ciò un finale d’effetto?
«No. Prima di tutto il sol acuto non è scritto e la parte non è bella. Io penso che non sia tanto importante la nota, ma è importante far capire il senso dell’aria, io ho sempre cantato come l’ha scritta l’autore».
Chi è stato il suo modello di riferimento?
«Io sceglierei per primo come modello di regalità Cesare Siepi;il secondo per interpretazione direi Boris Christoff ed il terzo per bellezza di voce Nicolai Ghiaurov».
In questo ruolo di grande impegno qual è la arte preferita?
«È la preghiera "Vieni o Levita" del secondo atto perché è il momento più solenne dell’opera».
In questa stagione al Metropolitan il cantante bolognese ha cantato Zaccaria in 8 recite, del prossimo futuro sarà al Gran Teatre del Liceu di Barcellona nella “Bohème” e in estate debutterà al prestigioso Festival di Salisburgo.