“L’italiano è una lingua viva, ha un glorioso passato ma anche un sicuro avvenire”
L’Ambasciatrice Mariangela Zappia cita le parole del Capo dello Stato, Sergio Mattarella e la cerimonia è quella che celebra la lingua e la cultura italiana in un suo prestigiosissimo tempio sul suolo americano. La sede diplomatica a Washington DC offre il contesto perfetto per un evento di fundraising inteso a finanziare le varie attività dell’ICS (Italian Cultural Society). e per parlare ad alto livello della Fashion Industry.

Tra le tradizioni che il Covid aveva interrotto e che ora gioiosamente riprendono, il Gala dell’Italian Cultural Society è uno degli appuntamenti da non perdere.
Soprattutto se si parla della Moda e del Made in Italy.
Se si parla di cultura italiana e di italian lifestyle, pochi altri campi vedono l’Italia giocare un ruolo da superpotenza culturale, come l’ambasciatrice Zappia ci ricorda. E se si parla di Moda, poche aziende hanno avuto un ruolo come Gucci, un brand che non ha mai avuto bisogno di presentazioni, e che ha ricevuto un booster shot di notorietà l’anno scorso grazie a un film interessante e controverso.
La serata è ricchissima di personaggi e momenti divertenti. La musica Jazz e gli stuzzichini allietano l’aperitivo e le chiacchiere tra gente che non si vedeva da tempo. La Maestra di Cerimonie è Amy Riolo personalità televisiva, nonché scrittrice di best-sellers. Una vera e propria ambasciatrice della cucina mediterranea in USA. È lei a introdurre gli ospiti e lo spirito del suo messaggio può essere riassunto in questa sua citazione di Giuseppe Verdi:
Avrai tu l’universo, resti l’Italia a me

Ma Il piatto forte del gala è l’intervista tra l’ospite d’onore Domenico De Sole, l’uomo che trasformò l’impero Gucci, e Sara Gay Forden l’autrice del libro che ha ispirato il film. Domenico De Sole è un avvocato italiano e la famiglia è originaria di Cirò, in Calabria. Racconta degli studi a Roma e poi in USA. Ha studiato legge ad Harvard e ha lavorato in America per molti anni prima di tornare in Italia come COO di Gucci nel 1994. Negli anni ‘90 l’azienda attraversava un momento molto difficile anche a cause dei conflitti tra Maurizio Gucci e il partner finanziario InvestiCorp. De Sole riuscì a riportare in auge la società ed il brand internazionale. Il suo ruolo è stato così importante da meritare un posto speciale nel film, House of Gucci, il successo cinematografico dell’anno passato al quale hanno contribuito attori del calibro di Lady Gaga, Adam Driver, Al Pacino e Jack Huston che interpreta De Sole sul grande schermo.
Sara Gay Forden è la tenace autrice di House of Gucci: A True Story of Murder, Madness, Glamour, and Greed, il libro scritto come un thriller da cui è stato estratto il film. Sara, una “nativa” di DC, è stata business journalist nella Mecca mondiale della moda: nella Milano degli anni ‘90 dove la moda era soprattutto business, e Sara finì per occuparsi quasi esclusivamente della fashion industry. Quello fu il contesto che la portò a seguire l’omicidio di Maurizio Gucci molto da vicino, e infine a scrivere il libro diventato film (a fine articolo riportiamo una bella conversazione che abbiamo avuto con lei).

Nella chiacchierata tra De Sole e la Forden emergono subito i momenti salienti della carriera del brillante avvocato italiano arrivato ai vertici dell’azienda. Come quella volta che, da giovane legale, trovandosi a gestire un tumultuoso meeting tra componenti della famiglia Gucci e altri businessmen statunitensi, ebbe il coraggio di zittire il temutissimo Aldo Gucci. Questo gli valse il rispetto di Rodolfo Gucci che lo nominò suo avvocato (eppure l’unico motivo per cui De Sole aveva detto ad Aldo di rimanere in silenzio e far parlare gli altri, era che lui stesso ignorasse con chi avesse a che fare!) E quello è stato solo l’inizio. Il rapporto di cooperazione tra De Sole e lo stilista americano Tom Ford (per anni direttore creativo di Gucci), la guerra con l’azienda rivale francese di LVMH, e altri racconti avvincenti

Oltre alle borse di studio assegnate a studenti americani della lingua di Dante, due giovani pianisti Dylan Shenker e Xiabo Liu hanno interpretato Chopin e Liszt per ricordare che una delle borse di studio dell’ICS è rivolta a studenti che si distinguono per il talento musicale. Ma sono stati premiati anche studenti dei Classici (Molly Williams, University of Maryland) e distintisi nell’Arte o nello studio della Storia dell’Arte (Brianna Cooney – American University). Il premio Young Scientist Award è andato alla dottoressa Marta Zampino, dell’NIH di Bethesda.
Ma dietro questa complessa organizzazione della serata c’è una figura di donna: Francesca Casazza, executive director dell’Italian Cultural Society, che ci descrive cos’è l’ICS.
Siamo una non profit, fondata nel 1953 da un gruppo di italiani e americani, organizzati dal Chairman del Dipartimento d’italiano di Georgetown University. Nel 1974, è nato l’Italian Language Program, grazie a contributi del Ministero degli Affari Esteri. Oggi abbiamo oltre 70 corsi che cominciano ogni tre mesi, in classe, online e in forma ibrida. Durante la pandemia, grazie a Zoom, abbiamo acquisito molti studenti da tutti gli Stati Uniti.
Come si articola la vostra attività ?
Organizziamo eventi culturali tutti i mesi: presentazioni di libri, concerti, film, mostre, conversazioni con ospiti illustri su temi di attualità o letterari – artistici ed altri eventi legati alle tradizioni italiane. Le serate di Gala sono la principale fonte di raccolta fondi, essenziali per lo sviluppo dei nostri programmi didattici e culturali, oltre che per le borse di studio. Queste borse vanno a studenti che si sono distinti nello studio dell’italiano dalle elementari fino ai livelli accademici, e nella ricerca scientifica, nei classici, nell’arte e nella musica.

Ps: a seguire l’ intervista a Sara Gay Forden
Se per il mondo, Gucci è un marchio della moda, per gli italiani c’è un aspetto in più. L’omicidio di Maurizio Gucci rappresenta un pò l’equivalente a rovescio del caso OJ Simpson.
Sara, quanti anni hai vissuto in Italia?
22 anni. Dal 1988 al 2010, ma la mia prima esperienza italiana è stata nell’autunno dell’86, quando feci un anno accademico presso la sede della John Hopkins University a Bologna.
È stato amore a prima vista?
Nell’81 avevo fatto l’interrail in tutta Europa con gli amici. In quel viaggio promisi a me stessa che sarei tornata in Italia per lavoro. Poi dimenticai della promessa, ma quando arrivai a Bologna per la John Hopkins sentii di nuovo il suono della lingua e me ne innamorai. Fu in quel momento che il ricordo della promessa di 5 anni prima mi tornò alla mente.
Ma poi hai scelto il giornalismo a Milano, giusto?
Dopo aver completato i miei studi in USA, mi misi a cercare lavoro e indirizzai i miei sforzi sull’Italia. Approdai alla redazione del Sole 24 Ore. Avevano un contratto per scrivere articoli sull’economia italiana in inglese. Era un compito che non poteva essere improvvisato, serviva un madrelingua che conoscesse anche la terminologia economica. Fu il ruolo perfetto per me.
Vorrei però parlare anche di Patrizia Reggiani. L’hai mai incontrata di persona?
Sì. La incontrai nel ‘93. Era il periodo prima che Maurizio Gucci perdesse il controllo del 50% dell’azienda. Patrizia parlava con vari giornalisti per imbastire una campagna contro di lui. Io scrivevo per Women’s Wear Daily, una bibbia mensile dell’industria del fashion. Andai a incontrare Patrizia nel suo attico in via San Babila e lei riversò veleno puro contro Maurizio. A tal punto che i redattori della rivista rifiutarono di pubblicarlo perché era una specie di hit job, killeraggio giornalistico, o macchina del fango come diremmo oggi. Non era lo stile editoriale della rivista. Però ho ancora gli appunti di quell’incontro.
Credevo di aver letto che secondo te Patrizia non fosse poi una persona così cattiva, ma sentendoti ora sembrerebbe che forse cattiva lo era…
Non credo di aver mai detto che non era cattiva. Ho forse detto che bisognava sforzarsi di capire un personaggio complesso. Ovviamente ordinare l’assassinio di una persona è un atto che non ha scusanti, ma come scrittrice avvertivo la necessità di capire come una donna potesse arrivare a quel punto. Era una donna intelligente e ambiziosa, la cui personalità aveva molte facce, lucida per certe cose, anche se non per altre.
Come aveva conquistato Maurizio? Solo col sesso o c’era anche altro?
Lui era innamorato pazzo. Aveva perso la testa. Lei era totalmente diversa rispetto alle ragazze dell’ambiente del padre. Provocante e sicuramente anche sensuale.
Forse era molto disinibita sessualmente in un’epoca in cui la cosa faceva ancora una grossa differenza…
Sì. Ma non vorrei che questo distraesse dall’immagine con cui l’ho presentata nel libro. Una donna piena di chiaroscuri. Un vero enigma. Sono arrivata alla conclusione che loro abbiano avuto una forte storia d’amore e che anche lei fosse innamorata di Maurizio. Durante gli anni, col succedersi degli avvenimenti, ha cominciato a nutrire un odio contro di lui che a tratti si è fatto ossessivo.
Qual’è stato il momento in cui l’amore si è tramutato in odio?
Ce ne sono stati tanti. Quando lui disse che andava a Firenze per poi mandare un amico medico a comunicarle che lui non sarebbe tornato. Non avere il coraggio di dirglielo in faccia lui stesso fu uno dei primi torti che lei ha subito. Si sentì scaricata. Poi c’è l’episodio di quando lui non andò a trovarla in ospedale. Nel libro cito molte situazioni, ma forse la cosa più grave fu quando lui perse il controllo della società che lei avvertì come un’onta contro di lei. Anche se erano già divorziati, lei continuava a identificarsi come “la signora Gucci” e col marchio Gucci…
Quindi per la Reggiani era come una “religione Gucci”…
Sì. Lei si sentì profondamente ferita da quell’evento.
Mi sembra di capire che Maurizio fosse il classico rampollo di famiglia vissuto nella bambagia che non ha sviluppato le qualità per essere un leader in grado di gestire un’azienda molto importante. Capisco bene?
Rodolfo, il padre di Maurizio, era una personalità dominante, una figura che incombeva in ogni aspetto della vita dei famigliari e Maurizio non faceva eccezione. In quegli anni le famiglie italiane ricche e importanti vivevano nell’incubo dei sequestri per avere il riscatto, e anche questo contesto aveva forse spinto Rodolfo a tenere Maurizio lontano dall’azienda. Oppure era semplicemente troppo presto. Resta il fatto che Maurizio era impreparato per quel ruolo, anche se cercava di sopperire con la passione provando persino a imbastire un cambiamento totale di rotta dell’azienda.
Come hai fatto a conoscere Patrizia così bene?
Feci di tutto per provare a intervistare Patrizia in carcere, ma la cosa non andò in porto nonostante gli incoraggiamenti di Patrizia stessa. Le autorità si opposero fermamente.
Perché?
La mia interpretazione è che le autorità giudiziarie temevano che Patrizia utilizzasse il suo potere, i suoi soldi, la sua posizione per influenzare il processo, per cui mi negarono l’accesso a Patrizia, sia l’ingresso a San Vittore che da parte del ministero. L’unica cosa che riuscì a fare fu scriverle. Per quattro o cinque mesi ci scambiammo lettere in cui lei sosteneva che l’omicidio fosse opera di Pina [Giuseppina Aurimma, l’amica medium che aveva messo Patrizia in contatto con il sicario] che poi la avrebbe ricattata. Nella corrispondenza mi raccontò di quanto lei avesse comunque amato Maurizio al di là degli errori che lui aveva commesso.
Parliamo del film. Hai avuto modo di incontrare o interagire con Lady Gaga durante la preparazione?
No. Ho lavorato con Roberto Bentivegna, lo sceneggiatore italiano, milanese, che ha scavato nei personaggi, nei fatti e nelle rispettive personalità. Le riprese del film sono avvenute in Italia in pieno lockdown e i protocolli per gli incontri tra persone erano strettissimi. L’occasione di incontro, peraltro breve, con lei e con gli altri attori c’è stata sul red carpet di Londra, alla presentazione mondiale del film. Una serata frizzante.
Non c’è nessun motivo particolare per cui una cantante debba essere una buona attrice in generale. Ma quando ho visto Lady Gaga recitare – penso a A star is born, con Bradley Cooper – ha dimostrato di essere proprio brava e intensa anche come attrice. Cosa pensi della sua interpretazione di Patrizia nel film?
Lady Gaga mi piaceva molto anche prima. Se guardi i vari documentari che hanno fatto su di lei, ad esempio quello di quando ha preparato l’half-time show del Super Bowl, dimostra una grande professionalità e grande rispetto per i suoi collaboratori. Per il ruolo di Patrizia ha studiato con un’insegnante di italiano e ha lavorato con grandissima serietà per entrare nel personaggio.