Il signor Umberto è un uomo distinto, ha perso il lavoro e la famiglia, ma si capisce subito che proviene da una famiglia ben educata, una famiglia per bene.
È alto e robusto, ma non è grasso, ha un bellissimo cappotto color cammello e spesso indossa una sciarpetta color porpora.
Si siede sempre allo stesso posto, di fronte al signor Piero, accanto a Luisa, la signora grassa e bassina che viene sempre col marito, il signor Mario.
Chi viene qui non può permettersi il lusso di vergognarsi, siamo tutti nella stessa situazione, tutti poveri. La mensa è proprio per tutti noi, inutile fare gli schizzinosi.
Al solito ci sono i più riservati e i più compagnoni, ma siamo tutti senza soldi.
Il signor Umberto è uno che parla poco, ascolta tutti, sorride sempre, quasi fosse allegro della propria situazione. Ha un anello al dito, una fede. Ma la moglie non la porta mai, sempre che l’abbia ancora una moglie!
A turno ognuno racconta della propria giornata, lui ascolta in silenzio e quando finalmente dovrebbe raccontare cosa ha fatto fino all’ora di pranzo, lui per tutta risposta comincia a fare domande. Vuole sapere i particolari di questo o di quell’argomento, e stuzzica il signor Mario, sposta la conversazione sullo sport e sull’ultima partita di calcio. Oggi ho deciso che voglio sentire la sua storia, nessuno ha mai osato, forse per via dell’aria così distinta.
Ho provato subito con una frasetta che sembrava innocua, ho parlato prima ancora che chiunque potesse prendere la parola e iniziasse a parlare della propria mattina. “Allora signor Umberto, ci racconti cosa ha fatto stamane, prima o poi ce lo dovrà dire!”. Non è stata una bella idea, per tutta risposta lui si è alzato e con molto garbo si è scusato, sì, si è scusato, ha detto proprio così “Scusate signori, ma ho dimenticato di avere un impegno importante”. È andato via così, col sorriso sulle labbra.
Io non volevo perdermi il pranzo, avrei potuto seguirlo, ma non l’ho fatto.
Me ne sono pentito per quanti capelli ho in testa.
Dopo pranzo ho salutato tutti e sono uscito con l’aria un po’ mesta, nessuno mi aveva rivolto il solito saluto allegro di ogni giorno. Con il loro silenzio mi volevano rimproverare l’incursione forzata nella vita del signor Umberto.
Invece di andare a casa, abito da solo in una casa popolare, ho cominciato a camminare a zonzo, ho preso l’autobus per andare all’altro capo della città.
Sono sceso quasi al capolinea, vicino l’Ospedale Niguarda.
Lui era lì, lui, il signor Umberto, passeggiava avanti e indietro su quell’enorme spiazzo che si trova di fronte ai tre archi dell’ingresso.
Guardava di continuo l’orologio, con lui altre persone, tutte in attesa dell’orario delle visite.
Sono rimasto un po’ in disparte e poi quando si è deciso ad entrare l’ho seguito.
Si è diretto al Blocco Sud. Ho capito che era arrivato a destinazione e mi sono informato con un’infermiera. La moglie del signor Umberto era ricoverata da tempo.
Mi sono avvicinato all’ingresso della stanza senza farmi notare. Era seduto sul bordo del letto, vedevo bene il suo cappotto color cammello. Parlava a mezza voce, ma sono riuscito a sentire distintamente, “Certo che mi prendo cura di me, altrimenti non sarei qui con te, sarei già all’altro mondo. Oggi la Margherita ha preparato il mio piatto preferito, le lasagne al forno, una goduria, e di secondo il mio amato pollo in umido. Deciditi a guarire, mi manchi!”. La moglie non ha risposto nulla, lui le ha preso una mano e gliel’ha baciata.