In un mio vecchio articolo su La Voce di New York citai una frase di Churchill (in dialogo con Roosevelt) di due anni precedente la fine della II Guerra Mondiale, pronunciata di fronte agli studenti di Harvard:
«Il potere di dominare la lingua di un popolo offre guadagni di gran lunga superiori che non il togliergli province e territori o schiacciarlo con lo sfruttamento. Gli imperi del futuro sono quelli della mente».
La citai perché quelle affermazioni aprivano gli occhi sulla realtà del nuovo colonialismo che, al di là di parole come libertà e democrazia, inaugurava un nuovo, modernissimo e sofisticato schiavismo da parte delle grandi democrazie del mondo, non più dei corpi bensì dell’asservimento anglofono delle menti. Quelle due frasi, una dopo l’altra, spiegavano e spiegano benissimo la via del nuovo imperialismo aperto da UK e USA nel Dopoguerra: quello manipolatorio del pensiero delle persone e dei popoli a fini economici.

Il 27 dicembre 2017 la Fedeli, Ministro italiano dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in relazione al Bando PRIN 2017 per ben 391 milioni di Euro, prescrive che le domande dei Progetti di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale, dovranno esser redatte solo in inglese e, solo “a scelta del proponente, può essere fornita anche un’ulteriore versione in lingua italiana”. Insomma il rilevante interesse nazionale è obbligatoriamente in inglese e, facoltativamente, in italiano. Una chiara ed incredibile nazionalizzazione linguistica inglese dell’alta formazione e una dialettizzazione forzata della lingua italiana pagata con 391 milioni dei contribuenti italiani.
Eppure Umberto Eco è stato chiarissimo sulla differenza tra dialetto e lingua nazionale proprio in riferimento al dato universitario: “Un dialetto è una lingua a cui è mancata l’università, e cioè la pratica della ricerca e della discussione scientifica e filosofica, che si arricchisce ogni giorno di nuovi termini e nuovi concetti”. Ne consegue che ministri, rettori, docenti che fanno mancare alla lingua italiana l’università, ne stanno producendo il linguicidio. Lentamente ed inesorabilmente ci spingono in epoca pre-risorgimentale, asserviscono sé e gli altri alla lingua dei nostri competitori – quando non avversari – ne amplificano a dismisura grandezza e ricchezza, condannando nel contempo le nostre genti, i nostri giovani ad una progressiva miseria economica in quanto culturale.
Eppure, con la Brexit, come ha ricordato Danuta Hübner, Presidente del Comitato per gli Affari Costituzionali del Parlamento europeo (AFCO) il 27 giugno 2016, insieme agli inglesi esce anche l’inglese dal novero delle lingue comunitarie, divenendo a tutti gli effetti la lingua di un paese competitore dell’UE.
A quanto ammonta il trasferimento di danaro verso i Paesi anglofoni, Gran Bretagna in testa, di tale auto-discriminazione linguistica? L’economista Áron Lukács ha quantificato in circa 900 euro l’anno, il costo diretto e indiretto pro capite di questa tassa linguistica pagata dai popoli non madrelingua inglese, inoltre se si considera che, con questa operazione scompare tutta l’editoria italiana dell’alta formazione, il prezzo è ben più alto. Stiamo parlando, solo per gli italiani, di 54.738.688.500 l’anno, l’equivalente di quasi 3 finanziarie.
Ma gli effetti di questa rinuncia all’italiano si vedono anche nel valore che viene dato alle decisioni degli italiani nelle questioni europee; basta contare le consultazioni pubbliche degli eurocittadini promosse dalla Commissione, spesso su argomenti cruciali, persino dopo la decisione britannica di uscire dall’Ue, ebbene su 134 consultazioni, quelle in inglese sono 134, quelle anche in francese e tedesco 58 e solo 36 quelle anche in italiano.
Forse ciò accade perché abbiamo ministri, rettori, docenti che non hanno alcuna nozione di Economia linguistica? Di fatto, la materia non è insegnata in nessuna università del Paese ma, forse, lo era nel Regno Unito di Churchill? Certo che no! Eppure ciò non gli ha impedito di capire come dal controllo linguistico degli altri paesi ne sarebbero derivati “guadagni di gran lunga superiori che non il togliergli province e territori o schiacciarli con lo sfruttamento”.
I nostri politici, i nostri intellettuali e i nostri giornalisti, al contrario, sono mentalmente tanto corrotti da non essere in grado nemmeno di percepire l’evidenza del fatto che, se hai l’italiano come IV lingua più studiata e apprezzata al mondo, è dovere dell’intero Paese operare per arricchirla e divulgarla affinché essa divenga, anzitutto, la III più studiata nel mondo.
La ri-generazione dell’Italia oggi è legata al suo bene immateriale primario e passa attraverso 3 consapevolezze che, alle forze politiche di destra e sinistra del Paese sono completamente estranee:
- quella d’essere la II diaspora del mondo, con 80 milioni di persone che, unite ai 60 milioni di residenti in Italia, porta il potenziale linguistico-culturale italiano ad oltre 140 milioni di persone;
- che l’italiano è anche la lingua ufficiale dello Stato Città del Vaticano che, sempre a Roma, ha la sua “Mecca”, la Santa Sede, il Centro religioso della fede di oltre 1 miliardo e 229 milioni di fedeli, i quali ampliano la potenzialità linguistica italiana a quasi 1 miliardo e 370 milioni di persone;
- che la Capitale laica d’Italia, dov’è presente il Parlamento e il Presidente degli Italiani è, per 7,4 miliardi di terrestri, la Città Eterna.
Miliardi di persone potenzialmente interessate a dialogare, crescere, fare anche affari, nella lingua del Sì ma, i collaborazionisti con “the English Empire of the Mind”, lavorano slealmente per la concorrenza e operano per la rovina italiana.
Credo che la ricerca fatta con le tasse degli italiani i ricercatori la debbano fare in italiano. Ministri, rettori, docenti non possono far mancare all’Italia “l’università, e cioè la pratica della ricerca e della discussione scientifica e filosofica, che si arricchisce ogni giorno di nuovi termini e nuovi concetti” pena il genocidio linguistico-culturale italiano. Inoltre la ricerca è spesso anche questione di interesse nazionale, non a caso negli USA essa passa in gran parte attraverso il Pentagono, ebbene a mio avviso non devono poter decidere su progetti di ricerca italiani persone non italiane e, tanto meno, stranieri che non sanno nemmeno l’italiano.
Se la Fedeli vuole finanziare la ricerca italiana in inglese la deve pagare coi suoi soldi e, se i ricercatori italiani vogliono fare ricerca in inglese, se la devono far pagare dalla Regina Elisabetta, insieme allo stipendio da ricercatore.
Giorgio Pagano, Artista e teorico dell’Arte contemporanea, architetto, giornalista ed esperto di Economia linguistica. Autore di saggi su teoria dell’arte e della cultura Arte e critica dalla crisi del concettualismo alla fondazione della cultura europea (1989), Come divenire la super potenza culturale che si è (2016). Ha esordito nel campo dell’Economia linguistica nel 1997 con I Costi della (non) comunicazione linguistica europea, al quale hanno collaborato economisti italiani e stranieri con la direzione del Nobel per l’Economia R. Selten. Da allora ho curato diverse ricerche, seminari e pubblicazioni sugli effetti sociali, economici e politici della discriminazione linguistica, l’ultimo con il titolo Liberi dai padroni della libertà in Americanizzazione e inglesizzazione come processi di occupazione globale. Dal 2007 ad oggi ha curato 413 rubriche radiofoniche e 65 editoriali di carattere principalmente culturale a Radio Radicale. Dal 1988 ad oggi ha svolto 713 interventi come oratore in convegni e/o seminari.