Nel febbraio 2011, un grande amico dell’allora primo ministro italiano, Mu’ammar al-Qadhdhafi – più noto con la grafia Gheddafi – grande amico dell’allora primo ministro italiano Silvio Berlusconi, si trovò inaspettatamente nel mezzo di un’insurrezione popolare contro il suo regime. Come accaduto in paesi vicini in quella stagione della “primavera araba”, la scintilla della protesta fu un episodio, occorso a Bengasi, in Cirenaica: l’arresto del rappresentante legale delle famiglie delle vittime del massacro (circa 1200 vittime) perpetrato dalle forze di sicurezza libiche nel 1996 al carcere Abu Salim di Tripoli contro i detenuti in rivolta.
Nel 2011 il governo libico adottò un’altrettanto dura risposta ma erano cambiati i tempi, sia all’interno che all’esterno del paese. Ne venne fuori una vera e propria guerra civile, alimentata dal protagonismo di forze straniere, la Francia in primis. La parabola qadhdhafiana si sarebbe conclusa ad ottobre nei pressi di Sirte quando, in fuga, fu riconosciuto e, dopo sevizie e abusi, finito con un colpo di pistola al capo.
L’istantanea ascesa e la rovinosa caduta del leader libico è raccontata da Giampaolo Cadalanu, già inviato speciale di “la Repubblica”, in un libro da poco uscito per i tipi di Laterza: Sotto la sabbia. L’autore per un trentennio ha percorso in lungo e in largo i campi di battaglia del nostro tempo: Medio Oriente, Balcani, Sudan, Afghanistan, Ucraina, Libano e appunto Libia. Ha molto da raccontare, e va letto con attenzione.
Il libro parla, come dice il sottotitolo, di Libia, petrolio, Italia, un tracciato logico nel quale sembra evidente che si voglia andare oltre la narrazione storica, nel non nascosto intento di spiegare avvenimenti in larga parte ancora di difficile interpretazione, non foss’altro perché difettiamo di testimonianze affidabili da parte dei protagonisti, e soprattutto dei documenti d’archivio.
L’autore, testimone diretto di molte delle cose che racconta, cita in bibliografia libri e saggi, ma evita l’uso delle note con riferimenti diretti alle fonti, il che obiettivamente non corrobora la fiducia del lettore nella tesi – non documentata – per cui il dittatore libico sarebbe caduto, non tanto o non solo perché il popolo desiderasse liberarsi dalle vessazioni che lui gli infliggeva, ma a causa di ciò che, insieme all’indubbio carisma, gli attribuiva potere e ricchezza: il petrolio.
Gli Stati da sempre assumono iniziative sulla base non solo di interessi economici, ma di interessi alla sicurezza e alla salvaguardia dei valori nei quali si riconoscono. L’interventismo, anche armato, delle democrazie liberali nel corso del XX secolo e del primo scampolo di XXI sarebbe meglio compreso se si guardasse a questo tridente di motivazioni, invece di favorirne l’una o l’altra. Vale per il libro di Cadalanu, vale per ogni analisi di politica internazionale che non voglia risultare sbilenca.
Il libro ripercorre la biografia di colui che si autoproclamerà “Fratello leader e Guida della rivoluzione”, dall’infanzia sino agli onori dei palcoscenici internazionali. Racconta episodi non a tutti noti, alcuni davvero utili a comprendere il percorso della meteora al-Qadhdhafi, e certe sue caratterizzazioni. Si pensi all’attrazione verso la figura di Gamal Abd al-Nasser, e la venerazione per il nonno Abdusalam Hamid Abominiar vittima nel 1911 di un proiettile lanciato da una nave militare italiana, e per i fratelli del nonno uccisi dalle truppe italiane inviate dal fascismo.
Notevole lo sforzo di fare chiarezza sui molti misteri che hanno caratterizzato un regime che nella opacità ha costruito la forza repressiva interna, e la capacità di influenzare il sistema internazionale, anche attraverso il sostegno a gruppi terroristici (come quello palestinese di Abu Nidal) e ad azioni di stragismo come gli attentati a strutture civili frequentate da militari e ad aerei civili in volo.
Cadalanu affronta quindi i quasi quindici anni del dopo al-Qadhdhafi, facendo emergere questioni che ancora oggi appaiono di grande rilevanza, come quella del ruolo dei campi libici nelle epocali migrazioni africane verso l’Europa. Il racconto è minuzioso e documentato, con testimonianze dirette di interesse umanitario e morale, oltre che politico.
Un altro tema è quello della divisione di un paese che l’autore correttamente definisce “in frantumi”, e dell’irrisolvibile conflitto armato tra fazioni ben armate, con una comunità internazionale anch’essa divisa e incapace di far rispettare le decisioni assunte dalle Nazioni Unite, in particolare da quando si è resa evidente la presenza armata in Cirenaica di russi e bielorussi, anche attraverso una base nel territorio controllato dal generale Haftar.
Resta da capire a quale futuro possa aspirare la Libia. Per Cadalanu il paese resta un “petro-Stato”, con i proventi del sottosuolo a garantire “la quasi totalità delle entrate pubbliche”. Peccato, come osserva l’autore, che i campi di petrolio, con le strutture di estrazione ed esportazione, siano distribuiti in modo “ineguale”, favorendo l’oriente controllato da Haftar. Il che spiega molto del conflitto interno tuttora in corso.