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“La verità è un fuoco”: il nuovo libro di Agnese Pini

Una storia intima e universale e… il desiderio di raccontarla

Biancastella AntoninobyBiancastella Antonino
“La verità è un fuoco”: il nuovo libro di Agnese Pini

Agnese Pini

Time: 8 mins read

Il 27 maggio, a Bologna, è stato presentato il libro di Agnese Pini La verità è un fuoco, con la partecipazione dell’Autrice e del prof. Bolognini psichiatra e psicoanalista. Ne abbiamo chiacchierato con Agnese, scrittrice e giovane direttrice dei quotidiani del gruppo Monrif: QN- Quotidiano nazionale, il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno.

 Il libro, il secondo romanzo della scrittrice, è un memoir intenso e intimo, che affronta il tema della ricerca della verità e della riconciliazione con il passato. A tredici anni, frugando in un vecchio cassetto di fotografie, Agnese scopre in un album dalla copertina rossa alcune foto di suo padre in veste sacerdotale. Viene così a conoscenza di una verità che i suoi genitori non le avevano mai svelato: “mio padre è stato un prete e non me lo hanno mai detto!”

Da quel momento l’adolescente Agnese intraprende un tormentato viaggio emotivo che durerà moltissimi anni durante i quali andrà alla ricerca non solo dei ricordi del padre, ma anche di quello che era prima di innamorarsi di sua madre, recandosi nei luoghi dove si era formato e aveva vissuto. Il suo è anche un viaggio dentro se stessa per conoscere la verità sulle proprie radici e comprendere davvero il suo presente. E’ questo desiderio, il desiderio di scrivere la sua storia ma anche di trovare le parole giuste per dire finalmente a suo padre che lui ne sarà il protagonista, che la spingerà, non riuscendoci da sola, a cercare aiuto. E l’aiuto lo troverà nella psicoanalisi dove tra esitazioni e silenzi affronterà il problema più grande: recuperare quelle parole che per anni le erano mancate.

Il finale? lo lasciamo dire all’Autrice, forse!

Lei è la prima e la più giovane direttrice dei quattro quotidiani del gruppo editoriale MONRIF e ha già pubblicato due romanzi in meno di 2 anni. Quale di queste vocazioni, giornalismo e scrittura narrativa la attrae maggiormente? O vede una complementarietà tra le due?

Le due cose possono essere complementari, anzi lo sono per forza, non mi sarei mai concessa il lusso di scrivere dei libri se non avessi avuto un lavoro solido come quello della giornalista, che oggi poi non è più tanto solido come mestiere. Però erano e sono consequenziali. Solo così avrei potuto fare la scrittrice.

Ma qual ‘è la differenza fondamentale tra loro?

Sono proprio due lavori in realtà completamente diversi. La scrittura giornalistica ti porta “fuori dalla stanza” e in contatto con gli altri, mentre la scrittura narrativa ti porta dentro te stessa, è una voce che emerge dal profondo, si è rinchiusi “dentro la stanza”; è proprio una dimensione personale, è andare in profondità dentro se stessi, non fuori.

Ma c’è qualcosa che preferisci delle due?

Io penso di sì, avrei una preferenza per la dimensione della scrittura narrativa, mi piace molto e mi dà una soddisfazione umana enorme, ma se fosse da sola ne soffrirei perché anche l’altra dimensione poi mi manca, quindi penso che davvero debbano stare insieme, almeno per me.

Il tuo secondo romanzo, “La verità è un fuoco”, appena uscito per i tipi di Garzanti, sembra molto diverso dal tuo precedente “Un autunno d’agosto”, ho percepito qualcosa di più complesso: una narrazione che oscilla tra memoria, introspezione e forse una forma di riconciliazione che si intuisce nelle ultime pagine.  Potresti raccontarci la genesi del libro e svelarci quanto di esso rappresenta un atto di guarigione personale e quanto un bisogno di rendere universale una vicenda privata? 

Ma io ero convintissima da molti anni, moltissimi, non saprei dirti da quanti, da tanti, però, che questa fosse una storia che aveva un senso, non era una storia solo mia, ma dovesse essere raccontata. Tuttavia capire che forma darle, trovare le parole giuste per tirarla fuori questa storia, è stato molto complesso. Questa è soprattutto una storia sulle parole che mancano, desideravo scriverla, ero consapevole del suo significato e della sua importanza, ma nel momento in cui mi sono decisa a farlo e ho persino firmato il contratto con la casa editrice, ho scoperto di non avere le parole, di non sapere come si scrive una storia del genere. E non avere parole passa per non averle non solo nella scrittura, ma anche nella voce. Cioè non riesco a dire a mio padre che voglio scrivere questo libro, perché penso che vada scritto. Ed è lì poi, alla fine, l’innesco, e la storia diventa questa enorme difficoltà: come si recuperano le parole giuste per parlare coi genitori, per internalizzarle e poi trasformare tutto questo in un libro? Dunque questo è un libro sulle parole che mancano e su come si recuperano, dove si ritrovano per riappropriarsene: alla base c’era il grande desiderio di tirarle fuori. Ovviamente, quando si desidera qualcosa, spesso le parole non riescono a esprimersi. Tuttavia, quando si ha un grandissimo desiderio di farle emergere, si è disposti a fare qualunque cosa. Il libro è proprio su tutto quello che faccio per tirarle fuori: vado al seminario, vado a Pisa, vado ad Avezzano, vado nei luoghi dove mio padre aveva lasciato dei segni

Sì il tuo è anche un viaggio nei luoghi della memoria, però arrivata all’ultima pagina, ho chiuso il libro e mi sono chiesta spontaneamente: perché l’hai scritto? Perché pensi che possa essere utile agli altri?

Perché penso che noi facciamo una grande fatica a fare i conti con noi stessi, attraverso i nostri genitori, la nostra famiglia, i nostri fratelli e quindi forse è utile condividere.

Quindi è soprattutto una riconciliazione con te stessa e con quello che ti angosciava da 26 anni?

Sì forse è una riconciliazione con me stessa ma è soprattutto quello che dicevo prima, è un aver ritrovato le parole, che è una cosa molto importante proprio per chi fa il mio mestiere e ti confronti tutti i giorni con le parole da trovare, da usare per gli altri, da spendere per le altre storie. Confrontarsi col fatto che non riesci a spenderle con la tua storia è un tema importante, no? E ti interrogano non poco:”com’è che a quarant’anni faccio tutte queste cose e poi non so trovare le parole per dire a mio padre che volevo scrivere una storia su di noi?”.

Quindi non hai avuto momenti di esitazione, momenti in cui hai pensato perché? Perché lo sto facendo?

Eh no, lo volevo fare, ho avuto problemi perché non riuscivo a farlo. Non riuscivo a parlare con mio padre, non riuscivo a scriverlo, ma io lo volevo fare.

Però c’è una cosa che manca o mi sembra di non avere capito: la reazione di tuo padre.

La reazione non c’è perché la narrazione si conclude prima che io vada a parlare con mio padre, si intuisce che ci vado, e poi il fatto che esista il libro è già la testimonianza che effettivamente ho parlato con lui, ma volutamente non l’ho scritto, perché in questo libro non è importante la reazione, la risposta che hai. Qualunque risposta di mio padre non avrebbe colmato poi il mio desiderio di scrivere.

Però tu i hai detto che avevi paura di parlargli, che non avevi il coraggio perché non trovavi le parole.

Ma chi ce l’ha il coraggio? Chi ha le parole giuste per dirglielo? Chi è che ha davvero le parole giuste per parlare con i propri genitori, se non per questioni futili. È complicato chiedere conto e poi io mi chiedevo anche: ho il diritto di chiedere conto a mio padre della sua vita? È la sua, però è anche la mia. Forse sì, in un certo senso sì, ma quanto diritto ho io di chiedergli conto delle cose che ha fatto lui alla sua età, ora che è una persona così anziana. Chi ce l’ha il coraggio?

Raccontaci le sensazioni, i pensieri che ti accompagnavano quando andavi sui luoghi dove si erano incontrati i tuoi genitori o dove era vissuto da prete tuo padre, nel libro lo fai in maniera coinvolgente e trascinante

Essendo qualcosa che mi ha accompagnato per tutta la vita, come un sottofondo emotivo di domande inespresse e di ricerca di senso, mi sono confrontata con quel problema, a volte in modo indiretto. Ad esempio quando vado a Pisa e mi iscrivo a Lettere, come racconto poi nel libro, era anche quella una ricerca, ma indiretta. Non l’ho fatto consciamente, non ho pensato:” adesso vado a Pisa perché voglio capire come si sono innamorati i miei genitori”. E quando sono andata al Seminario ugualmente non l’ho fatto in modo scientifico, era un po’ inconscio, però poi se metti in fila esattamente a posteriori le cose, dici:” caspita! però effettivamente nell’estate dei miei 16 anni, anziché andare al mare mi sono rinchiusa in un seminario e guarda caso era il seminario di mio padre”. Forse qualcosa vorrà dire. Quando poi l’ho fatto in modo più diretto, quando più avanti negli anni sono andata a cercare e a parlare con dei sacerdoti e un vescovo, quando sono andata nella parrocchia di mio padre, gli atti intenzionali sono stati molto faticosi, anche se meno faticosi del parlare con mio padre, che è stata la cosa più ardua di tutte. Ma anche mettersi scientemente, consapevolmente, sulle tracce di quel percorso è stato difficile. Anche perché la Chiesa non è affatto una istituzione banale, al contrario, è una struttura, da un punto di vista politico, gerarchico, spirituale, dogmatico, estremamente complessa, quindi andare a interrogarla non è stato facile.

Dalle pagine del racconto traspare anche la tua delusione, mi sembra

Sì è vero, ho dovuto fare i conti anche con la delusione. Alla fine la chiesa in quanto istituzione, è anche un sistema di potere, un sistema politico. E il sistema non è mai clemente con i singoli, soprattutto con coloro che fanno domande e interrogano i sentimenti, come nel mio caso.

Nel faticoso lavoro che hai intrapreso alla ricerca delle parole giuste e diciamo pure delle domande giuste, hai chiesto aiuto allo psicanalista. Nel libro è una figura discreta, di cui raramente citi gli interventi. Solo nelle pagine finali si rivela, in un certo senso, l’importanza del suo apporto alla soluzione del problema e questo avviene attraverso quel tuo sogno meraviglioso e simbolico del venditore di accendini. E qui si è accesa anche in me la fiammella: non sarà che finalmente si è convinta che la verità non è un fuoco, ma piuttosto una fiammella? quindi, fuor di metafora che la soluzione era molto più semplice, perché in fondo alla base della scelta di tuo padre non c’era altro che l’amore. Quando il dottor F. durante la terapia insiste:” Ma è l’amore!”, Tu rispondi che non può essere, che l’amore non è sufficiente a giustificare una scelta così dirompente. Eppure alla fine ti sciogli e decidi finalmente di accettare quella verità. Quindi vuol dire che la cura ha fatto effetto?

Molto, sì sì, ha fatto effetto.

Però come ci sei arrivata? Quel sogno, che immagino sia assolutamente un espediente, ti ha fatto arrivare ad accettare la forza dell’amore?

No, il sogno era vero, non era un espediente narrativo per arrivare alla conclusione.

È andata veramente così; sono molto fedele nel raccontare le mie sedute perché per me è stata una bellissima esperienza, un tipo di comprensione che non passa attraverso un dialogo come quello che possiamo avere noi, ma che si trova su una specie di frequenza diversa. E all’inizio non capivo perché. Le prime esperienze con la psicanalisi sono difficili: ti trovi difronte una persona che non empatizza con te, non ti risponde alle domande che ti aspetti ed è quel “non empatizzare” che ti porta poi a trovare di nuovo le domande giuste, non le risposte giuste, ma a farti le domande giuste che portano a accettare determinate cose. Almeno nella mia esperienza non ho risolto la vita, ma la psicoanalisi mi ha offerto una capacità di comprensione che prima mi mancava.

Un’ultima domanda su questo romanzo scritto in una maniera così coinvolgente che non smetti di leggerlo, finché non arrivi alla fine, ma proprio nell’ultimo rigo ci si imbatte nella parola “desiderio” che sembra lasciare un enigma. Che cos’è questo desiderio?

Tutte le storie si scrivono, tutto si realizza nella vita, se si ha un desiderio profondo. Il desiderio è la domanda che ti fai, ed è quella che ti tiene vivo. Quando smetti di farti domande, di sentire il desiderio di raggiungere qualcosa, di cercare quello che ti manca, non vivi più. Se tu hai tutto non vivi, per vivere devi desiderare qualcosa che ti manca: un amore, una domanda, un padre, un lavoro.

Quindi il prossimo libro, che sono sicura hai già in mente, sarà sempre qualche altro desiderio col quale confrontarti?

Non ho idea, ma di sicuro questo è un desiderio, anche se la domanda è, come trovo il tempo?

Il tempo, però, per questa “chiacchierata”, che ha svelato le motivazioni e molti altri aspetti del suo romanzo che diversamente non avremmo conosciuto, Agnese Pini lo ha trovato e per questo la ringrazio moltissimo. Ma vorrei ringraziarla anche per la sua affettuosa dedica sulla copia del libro che mi ha donato. La dedica aggiunge un valore profondo e personale ad un’opera, creando un legame speciale tra l’autore e il lettore. È un gesto che arricchisce l’esperienza di lettura e testimonia l’importanza che le parole, soprattutto quelle scritte a mano in un momento speciale, possono avere.

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Biancastella Antonino

Biancastella Antonino

Giornalista pubblicista, già direttrice della biblioteca universitaria di Bologna, amministratore del blog “Biancastella e le sue amiche. Indomite Over”

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