Mariano Giustino da anni racconta a Radio Radicale le lotte della società iraniana, in particolare di giovani e donne, contro la teocrazia instaurata dall’ayatollah Khomeini nel 1979. Adesso esce con un libro, Iran a mani nude – Storie di donne coraggiose contro ayatollah e pasdaran (Rubettino, 2024), fedele racconto di un’orribile tragedia che non accenna a finire. Al centro, la condizione della donna iraniana e l’interdizione totale del loro corpo dalla vita pubblica, attraverso la velatura imposte dall’Islam sciita.

In 150 pagine, Giustino guarda alla strategia che le donne iraniane stanno mettendo in campo dall’uccisione della ventitreenne Mahsa Amini per una ciocca di capelli che usciva da sotto il velo, nel settembre 2022, con il movimento “Donna, vita, libertà”. È sfida aperta alla discriminazione di genere: sul lavoro, nella società, nella religione e nella politica. Con loro, dimostra il libro, c’è un pezzo di società iraniana, stanca della violenza torpida e sistematica con la quale il clero sciita opprime la nazione da quasi mezzo secolo. Correttamente l’autore fa notare che in un Paese da sempre segnato dalla frammentazione religiosa, tribale ed etnica, la rivolta è stata innescata dall’assassinio di una ragazza curda, non persiana e non sciita, sottolineando che a mobilitarsi sono stati per prima gli abitanti di Teheran, nonostante l’arbitrio della polizia morale (!) fosse stato commesso contro una ragazza del lontano Kurdistan, in vacanza nella capitale con la famiglia.
I risultati, evidenzia Giustino, sono due: le ragazze (e anche donne in anni) escono allo scoperto squassando l’apartheid di genere nel quale sono state allevate, centro e periferia tendono a saldarsi a livello culturale e politico sminuendo la rendita di posizione che i regimi reazionari ovunque hanno in dote presso gli abitanti delle campagne e delle montagne. Involontariamente, Mahsa avrebbe innescato un processo sociale che potrebbe costare caro agli ayatollah e pasdaran padroni del Paese, senz’altro il più consistente scossone al quale il loro sadico regime sia stato sottoposto.
Il fatto è che il sommovimento sociale e culturale in corso ha, tra i tanti effetti, la lesione del muro che separa i comportamenti privati (nel domestico o amicale è consentito praticamente tutto) da quelli pubblici (sono normati sino ai più fastidiosi dettagli della vita quotidiana, in particolare se riguardano le donne). L’ipocrisia fonda e sostiene ogni regime autoritario; se la si piccona, si attenta alla stessa esistenza del regime. È una verità che ayatollah e pasdaran conoscono, il che spiega perché la repressione non si arresti e con essa le incarcerazioni, le torture e gli stupri, le esecuzioni capitali. Quel muro che separa il tollerato dal proibito non deve crollare.
La cosiddetta “generazione Z” non vuole farsi intimidire, non accetta un futuro di sottomissione all’autoritarismo, dichiara di conoscere un “modo diverso di vivere”, scrive sui cartelli delle manifestazioni di voler “fare come i giovani in occidente” non solo nel privato, ma nel pubblico.
Leggendo le testimonianze riportate nel libro, si comprende la determinazione con la quale le iraniane – “donne coraggiose” le qualifica Giustino nel sottotitolo del suo lavoro – portano avanti le rivendicazioni, pur nella consapevolezza dei grandi rischi che corrono.
Così quando scrive della ferocia del clero sciita contro le ragazze e i ragazzi: “L’Iran è uno dei pochi paesi al mondo che condanna a morte i minori. Tra le migliaia di vittime, impiccate, arrestate o torturate durante la rivoluzione del movimento Donna, Vita, Libertà, si contano almeno 192 minori, tutti accusati di guerra contro Dio e di corruzione sulla terra”.
Farzad racconta: “Gli agenti mi hanno sbattuta contro le pareti del loro furgone e mi hanno picchiata, torturata e seviziata con scosse elettriche alle gambe. Mi hanno abbassato i pantaloni e mi hanno violentata. Ho vomitato anche l’anima mentre sanguinavo dal retto.”
Maryam riporta il delirio dei torturatori: “Voi siete tutte dipendenti dal pene, quindi vi abbiamo fatto divertire. Non è questo che cerchi quando dici di lottare per la liberazione dell’Iran?”
Nel racconto di Giustino, con gli arresti le torture i rapimenti gli omicidi, gli stupri, anche di bambini, costituiscono una procedura normalmente adottata dal clero sciita e dai loro adepti, sedicenti credenti e religiosi.
Nell’introduzione, l’autore richiama che la misoginia è fenomeno di lunga data nell’islam persiano, tanto che il nome di Táhirih (“La pura”), poetessa e teologa del bábismo arrestata, trascinata fuori dalla cella e strangolata nel 1852, a poco più di 35 anni di età, viene gridato dalle donne che oggi manifestano per i loro diritti umani.
Che fare allora? Le rivolte pacifiche vincono quando, alla qualità etica delle minoranze consapevoli, si unisce la quantità di grandi porzioni di popolo. In mezzo c’è la paura, che le ragazze del movimento hanno vinto combattendo, come dice il titolo del libro, “a mani nude”, ma che blocca ancora troppi iraniani.