Vito Zagarrio è ordinario a Roma Tre di Istituzioni di regia, Forme della messa in scena e Hollywood film. Da regista ha firmato diverse opere, e come saggista ha affrontato molti aspetti del cinema statunitense e italiano. Pubblica adesso con Rubbettino una ponderosa Storia del cinema italiano (566 pp.), con un sottotitolo che ne delinea le ambizioni onnicomprensive: “Regie autori e linguaggi dal muto ad oggi”.
L’esergo di Jean Luc Godard sembrerebbe esaurire il tema prima ancora di affrontarlo, se non fosse che la citazione (“… con Roma città aperta l’Italia si è semplicemente riguadagnata il diritto per una nazione di guardarsi in faccia … [con] il sorprendente raccolto del grande cinema italiano … La lingua di Ovidio e Virgilio, di Dante e di Leopardi, era passata nelle immagini”) non fosse troppo vecchia per conservare integra la sua validità.
Il neorealismo fu fenomeno di una stagione, strettamente legato alla miseranda condizione del dopoguerra, ed ebbe tanti campioni come Visconti, De Sica, Germi, oltre al già citato Rossellini. Da allora mai più avremmo saputo imporci nello stesso modo all’attenzione del mondo, né proporre un racconto del tutto “italiano” agli stessi livelli di grandiosa e specifica originalità, nonostante gli Antonioni, Benigni, Bertolucci, Cavani, Fellini, Olmi, Pasolini, Taviani, Tornatore, tanto per pescare nel vasto mazzo dei nostri autori di successo. E mettiamoci anche che nel frattempo abbiamo perso i grandi produttori, incapaci di tirarsi fuori dal gorgo che l’intera industria italiana ha vissuto dopo il boom. Nel frattempo altre cinematografie hanno prodotto pellicole e attori che dal locale sono diventati universali, mentre noi – nonostante opere anche belle e meritevoli di rispetto – siamo risultati troppo spesso al palo della provincia, salvo eccellere saltuariamente con grandi come Bertolucci, Taviani, Tornatore, Benigni, spinti però a cercare altri lidi per soggetti e produzioni che avessero la garanzia della visibilità globale.
Detto questo è fenomeno recente – presto per decifrarlo – lo sbarco a Roma di Majors e loro produzioni che escono da Hollywood per aprire set nella città dei cesari e del papa, con più di 200 richieste mensili di grandi riprese al comune di Roma firmate, tra i tanti, da calibri come Stallone, Cruise, Scorsese. Qualcosa potrà significare, a parte i tanti soldi che entrano nelle casse esauste del Campidoglio.
Zagarrio sceglie di attraversare il grande mare della pellicola patria, facendo rotta su “alcune analisi filmiche esemplari”. Per ogni periodo della più che secolare storia del nostro cinema seleziona “un gruppo di testi”, e ne scandaglia la qualità di produzione in rapporto al contesto storico-ideologico. L’indagine va sulla messa in scena, la grammatica e sintassi filmiche, le tecniche di sequenze e inquadrature, “triangolando grandi film, importanti autori e momenti cruciali della storia italiana”.
Ne escono – rispetto a categorie di giudizio critico consolidate su blocchi di pellicole identificati come “neorealismo”, “autoriale”, “commedia all’italiana”, “cinema della crisi” – risultanze anche eretiche, tali da sconquassare talvolta acquisizioni ritenute inappellabili. Accade, per un esempio, con il neorealismo il cui giudizio critico in genere permane incrostato da prepotenze ideologiche e semplificative che, dopo quanto scrive Zagarrio, sarà il caso di rimuovere definitivamente.
Per dare rigore e consequenzialità all’analisi, l’autore organizza sette blocchi periodico-autoriali: inizi e muto, fascismo, neorealismo, dopoguerra, modernità, fine novecento, nuovo secolo. Legge e interpreta gli autori e il loro contesto culturale e socio-politico attraverso capitoli dedicati. Se ne estraggono alcuni per il lettore: Maciste in Cabiria, Francesca Bertini, cinema del futurismo, telefoni bianchi, vari episodi del neorealismo, Fellini, Pasolini, commedia all’italiana, Sergio Leone, Bertolucci, i Taviani “utopisti esagerati”.
Originale e interessante il capitolo terminale, dedicato al “cinema femminile”, anche perché, per l’autore, questo starebbe aprendo una nuova era. Sulla pista probabilmente Zagarrio è stato messo dalla dichiarazione di Liliana Cavani per l’assegnazione del Leone d’oro alla carriera, Venezia 2023, che lui cita: “Sono la prima persona donna che riceve il Leone d’Oro alla carriera, trovo che non sia del tutto giusto. Diamo la possibilità alle registe e alle sceneggiatrici di essere viste”. Gli dà ragione la splendida accoglienza che sta incontrando C’è ancora domani di Paola Cortellesi.