Miyuki Ono è un’amabile trentasettenne di Tokyo. A parlarle si percepisce una personalità intelligente e attenta. Dell’Italia dice tutto il bene possibile, in particolare se la conversazione scivola sul cibo e sulle persone che ha incontrato da quando, ai suoi 23 anni, l’ha visitata la prima volta. È colpita dalla popolarità che riscuote la narrativa nipponica, in particolare quella femminista e/o di fantascienza, constatazione che la riguarda personalmente visto che è arrivata in Italia per presentare un libro – appena tradotto da Anna Specchio per la collana Asiasphere dell’editore Atmosphere – dove femminismo e fantascienza la fanno da padroni.
Eppure, ridurre Donne da un altro pianeta a quelle due dimensioni significherebbe fare un torto al libro e all’autrice. I cinque racconti che compongono l’opera, come fa capire anche la dotta postfazione della professoressa Specchio, vanno oltre, delineando un universo distopico nel quale – cancellati i riferimenti a religione e morale – dominano la forza e l’utilitarismo.
I fatti si svolgono in un tempo “molto, molto lontano” da “un passato” nel quale gli “antenati” avevano già compiuto ogni possibile balordaggine per trasformare Terra in “un ambiente inadatto alla gravidanza e al parto”. Avevano inquinato l’atmosfera e contribuito a diffondere pandemie letali, entrando poi in guerra l’uno con l’altro per “accaparrarsi le poche risorse rimaste”. Come risultato “la popolazione si era ridotta a un quarto rispetto agli anni Duemila”. Ai sopravvissuti non era restato che tentare la manipolazione genetica, per creare una “nuova specie umana” in grado di resistere a qualsiasi ambiente.
La riscrittura del Dna, “per qualche strano motivo” aveva però fatto effetto solo sulle femmine, grazie forse alla loro dotazione di doppio cromosoma X. L’evoluzione aveva dato loro un “corpo ricoperto di squame, le zanne abbastanza resistenti da addentare le rocce e gli artigli così lunghi da poter uccidere chiunque in un solo colpo”, oltre a un’altezza media di circa due metri. Presto le evolute se ne andarono a vivere sul satellite artificiale Jung, lasciando il pianeta malato ai maschi dal fisico irrimediabilmente infragilito.
Le donne “dall’aspetto simile a quello dei tirannosauri” si trovarono a dover risolvere due questioni vitali per la sopravvivenza collettiva: la difesa da aggressori e la riproduzione. Le giovani dai 15 ai 18 anni furono addestrate come ufficiali superiori capaci di tutelare la sempre più tecnologica e appetibile Jung. Ogni mese viaggiavano verso Terra per la “caccia”: aggredivano e stupravano i malcapitati maschi per restarne ingravidate, quindi mangiavano gli inermi terrestri frantumandone con gusto le ossa e sbocconcellandone le interiora. I cinque racconti di Ono si svolgono in questo dis-umano ambiente, nel quale esperienze della storia umana come l’amore, la famiglia, la democrazia, l’arte – per citarne alcune – risultano scomparse, superate dai prodotti degli sviluppi scientifici e tecnologici che hanno determinato, con i mutamenti sociali, la riorganizzazione delle priorità cui corrispondere.
Come ogni classico ambientato in futuribili distopici, Donne da un altro pianeta non si fa mancare piccoli episodi di umanità vecchio stampo, tanto per spruzzare qualche speranza tra le pagine corrosive. È il caso della prostituta Nina, povera in canna e troppo bella, che ha venduto il suo corpo facendosi bastare un simulacro mecca-elettronico che chiamerà Rita. Dalla “fanghiglia” della baraccopoli muove al servizio della ragazza dei quartieri altissimi che ha indossato il suo corpo. Le si affeziona, le insegna i rudimenti del sesso, decide di proteggerla e liberarla dal padre oppressore e stupratore. Incastrerà l’orco con uno stratagemma, ma finirà “inghiottita dalla luce”. È il caso anche di Yumi che s’innamora dell’umano Eiji, pur sapendo di rischiare l’indicibile: finisce con lui a leggere storie dentro un’antidiluviana biblioteca sepolta nel deserto e quando, dopo l’atto d’amore, è costretta a mangiare l’uomo che ama, prende con sé le bimbe Alfa e Beta da lui adottate.
Eccezioni. Le 200 pagine del libro sono costruite sull’arrembante antimaschilismo dell’autrice. L’ambiente drammaticamente modificato dove trova rifugio la rigenerata antropofaga femminilità, figura come l’unica possibilità di salvezza dai maschi infami (padri inclusi) stupratori seriali ai quali le loro ave erano state sottomesse.
Ho chiesto a Ono se fosse consapevole che nella sua costruzione distopica le donne non solo risultano dipendere dai maschi per sopravvivere (cibo) e riprodursi (accoppiamento), ma che laddove generano maschi li destinano ad essere mangiati, forse da loro stesse. Ha annuito, garantendo di avere a Tokyo un marito che si corica tranquillo nel letto coniugale e gode ottima salute.