Il titolo dell’indovinato monografico che Rivista di Politica, RPP, dedica, a cura del direttore Alessandro Campi, all’aggressione russa contro l’Ucraina, è meno innocente di quanto sembri, riproponendo – magari inconsapevolmente – la tesi che per fare una guerra sia sufficiente la volontà di un uomo. Le guerre sono inveceil risultato della volontà di un sistema paese, con élite e popolo in prima fila. Nel caso del militarismo russo – come in passato per il militarismo nipponico e germanico, e forse oggi per quello cinese (ma fortunatamente ancora non lo abbiamo visto all’opera) – il leader agisce come terminale e portavoce del cosiddetto interesse nazionale e dell’ideologia dominante che si erge a suo supporto. Ovviamente il leader contribuisce alla costruzione di ambedue: fa parte il suo ruolo di colui che “tira”, “conduce”, come il termine “leader” suggerisce.
È così anche nel caso che la rivista seziona e analizza praticamente in ogni suo aspetto: dalla personalità di Vladimir Putin (Mara Morini) al ruolo dell’informazione (Chiara Moroni), ai riflessi sul futuro europeo (Michele Chiaruzzi), alla missione di Zelensky (Sofia Ventura), alle funzioni in area della Nato (Vittorio Emanuele Parsi), e così via.
L’affresco che deriva da ciascuno dei 23 contributi offerti da RPP, convince sulla sostanziale inutilità di una guerra che appare scatenata dalla frustrazione da assenza di dominio e opportunità di sfruttamento, di un popolo e delle sue élite. La radice del senso di rivincita sulla storia, e sui presunti responsabili esterni dell’attuale miseria russa (economia da terzo mondo basata quasi esclusivamente sulle materie prime, alcolismo di massa, fideismo pietistico generalizzato verso il potere civile e religioso, oligopoli e monopoli economici, ritardo democratico, emigrazioni massicce e inverno demografico) va ricercata nell’impasto tra il nazionalismo razzista e razziatore grande russo, e il millenarismo dell’ortodossia espressa dagli epigoni di Cirillo e Metodio. La proiezione di conquista e imposizione che ne deriva, è fortemente autoritaria e ha in spregio la democrazia. Il che spiega, per molta parte, l’autolegittimazione a varcare le frontiere di uno stato sovrano (la repubblica d’Ucraina), distruggendo e uccidendo qualunque cosa o persona si opponga all’esercizio di quel genere di potere e alla volontà di potenza che lo sostiene. Come scrive Lorenzo Dell’Aguzzo in uno dei saggi pubblicati da RPP – La guerra della Russia all’Ucraina: autoritarismo contro democrazia – “a partire dal crollo dell’Unione Sovietica, la Russia, nonostante la propria debolezza politica ed economica, ha tentato di condizionare le scelte politiche dei suoi vicini, cercando di mantenerli all’interno della propria sfera d’influenza e ostacolando – con diversi strumenti, incluso quello militare – i cambiamenti di regime in senso democratico”.
A sostenere la tesi c’è la millenaria vicenda del popolo e delle élites russi. Illustra l’ininterrotto sfruttamento di queste sul primo, e di ambedue sulle popolazioni vicine. Ne è risultata la più vasta unità territoriale al mondo, Europa e insieme Asia, così vasta e senza amici da essere strutturalmente insicura, vittima di una nevrosi di accerchiamento che ammorba la cultura nazionale ad ovest come ad est, ravvivata quotidianamente dalle accuse lanciate all’uno o all’altro popolo straniero di essere in procinto di aggredire la “santa terra della terza Roma”. Dice bene Alessandro Campi nel saggio introduttivo al monografico: “La Russia è più una nazione assediata dai suoi fantasmi che un impero inquieto: come mostra il fatto di non riuscire a esercitare fuori dai suoi confini alcuna attrazione, anche solo culturale, come appunto hanno sempre fatto gli imperi storici. La Russia, oggi meno che mai, non è un modello per nessuno (semmai Putin in quanto autocrate ha ammiratori e cultori sparsi); è vista invece come una minaccia, come un paese che sa fare solo paura; ma su questo sentimento non si costruisce alcuna egemonia. Da questo punto di vista, la guerra di Putin è stata già persa sul piano storico e dell’immagine”.
Che fare, allora, se, come scrive Mara Morini in Putin: psicologia, visione e ideologia, all’indole aggressiva russa s’aggiunge la “figura enigmatica” dell’uomo che la spinge armata contro l’Ucraina e l’Europa? Certamente non quanto propone Riccardo Cavallo in La guerra e il destino dell’Europa, ovvero rinunciare all’atlantismo e optare per l’alleanza di destino con la Russia, gigante dispotico, dai piedi di argilla.