Nel suo Brigate Russe. La guerra occulta del Cremlino tra troll e hacker (Ledizioni 2022, pp. 213, 14,90 €) Marta Ottaviani, giornalista freelance specializzata in Russia e Turchia, compie un viaggio nell’universo post-sovietico esplorando le tecniche di destabilizzazione e disinformazione messe a punto da Mosca per garantirsi centralità negli eventi geopolitici e sullo scenario internazionale, nonché per reprimere dissenso politico interno.
Ottaviani passa in rassegna la fabbrica delle notizie false e il concetto di post verità, il soft power e gli inganni della propaganda russa. «Viviamo in un mondo dove le informazioni si stanno moltiplicando e dove alle polpette avvelenate […] si sono aggiunte le fake news e i tentativi […] di deformare la realtà». Incappare in una notizia falsa, ma ben fabbricata, è facile in un mondo globalizzato. Occorrono quindi «lettori attenti e responsabili, pronti a riflettere sul flusso di informazioni da cui vengono investiti tutti i giorni».
Da quando Vladimir Putin è arrivato al potere in Russia, il suo Governo ha costruito un modello articolato ed ibrido per alimentare crisi internazionali e trarne vantaggio politico ed economico. Il suo obiettivo è riconquistare la centralità globale perduta dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Tuttavia, la fine del bipolarismo ha svelato l’arretratezza tecnologica russa. Da qui la necessità di usare il collante del nazionalismo. L’uso di strumenti di propaganda delle “brigate russe” rivela una forma mentis che vede la popolazione russa minacciata nella sua esistenza. La narrativa che esacerba questo sentimento alimenta un sentimento di contrapposizione anti-Occidente.
Dal punto di vista tecnologico, la Russia ha fatto molta strada negli ultimi anni. Nel 1999 solo l’uno per cento della popolazione utilizzava l’Internet. Nel 2019 era l’ottantatré. Allora il Governo russo capì che Internet poteva essere usato per fare un nuovo tipo di guerra. Inoltre, il Paese non poteva pagare per una guerra convenzionale e riconquistare l’influenza perduta. Una politica estera neo-imperiale e nostalgica. Basata sul fatto che la Russia è una potenza nucleare nonché; un membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Il Paese più grande al mondo ha un inevitabile impatto sulle crisi mondiali e un’enorme disponibilità di risorse naturali, ma pure parecchie debolezze. Il PIL nel 2019 era di 1.700 di miliardi di dollari. Quello americano e cinese erano rispettivamente 21,4 e 14,2 volte maggiori
Mosca non è onnipotente e deve far faccia alle mire espansionistiche di Cina, Turchia, Iran e India. A questo e ad altri problemi, contro l’Occidente, dà mano libera alle brigate russe, rafforzando l’hybrid warfare. La grey zone warfare prevede non tanto l’uso di azioni militare, quanto lo sfruttamento delle debolezze della zona grigia tra guerra e pace.
Negare tutto sempre rimane una delle specialità del Cremlino, oggi come ai tempi dell’URSS. Secondo Mark Galeotti, la Dottrina Gerasimov – dal capo di Stato maggiore delle Forze armate Valerij Vasil’evic Gerasimov – tratta una nuova guerra non lineare, potenziata dal 2004 quando diversi paesi dell’Europa centrale entrarono nell’UE e nella NATO. In Russia si guardarono con fastidio gli interventi americani in Afghanistan e Iraq, nonché le primavere arabe e le rivoluzioni colorate. La guerra dell’informazione nell’ambito della Dottrina destabilizza diversi paesi-preda del Cremlino, senza che gli attacchi delle brigate russe siano associati al Governo.
L’infowar ha due obiettivi, ricorda Ottaviani: limitare la libertà d’informazione e influenzare gli ambienti economici. «Il tutto per un bisogno di garantire la propria sicurezza interna […] le cui radici sono da ricercare nell’esasperazione della sindrome di accerchiamento, frutto di una storia […] alimentata da […] nazionalismo e […] mitizzazione delle proprie forze armate».
Ottaviani spiega che un nuovo tipo di guerra, quello informatico, costa meno. I brigatisti russi sono pagati meno rispetto ai soldati e le loro azioni letali sono difficilmente riconducibili al Governo russo. «L’information space è il nuovo campo di battaglia»; ed è testimoniato dal fatto che Gerasimov stesso ha parlato di «approccio olistico al danno». Il tutto nell’ambito dell’inganno della cyberwar, fondata sulla paura, sul complotto e sulla disinformazione. L’infowar è una tecnica che prevede pressioni psicologiche e tecniche. Alimenta le tensioni sociali, sfrutta le debolezze degli avversari e politicizza tutti gli argomenti: dalle migrazioni ai vaccini. Tra gli strumenti dell’infowar c’è anche il controllo ossessivo dei sistemi comunicativi.
Il Cremlino, rivela Ottaviani, ha rafforzato diversi aspetti legislativi sul controllo del Web da parte dello Stato. Nel 2012 è stata stilata la blacklist law, che cancella dal Web i siti considerati pericolosi dal Governo russo. Dal 2021 una legge prevede inoltre che tutti i grandi social network internazionali debbano aprire una sede in Russia. Mosca sta lavorando per sviluppare una propria rete nazionale, un’Internet sovrana. La Russia vuole diventare indipendente dalle infrastrutture straniere, ma ha bisogno di rimanere connessa con i network e il mondo globale.
D’altra parte, vuole una russificazione delle piattaforme online, creando una bolla di app che contempli la possibilità dello Stato di controllare gli utenti. Il controllo interno della tecnologia va di pari passo con i tentativi russi d’influenzare gli ambiti esterni. La macchina della propaganda di Mosca influenza e manipola l’opinione pubblica. Le operazioni cyber delle brigate russe isolano, confondono, danneggiano le infrastrutture nazionali. Senza che queste azioni siano collegabili al Governo, malware e smear phishing sono potenti quanto micidiali attività di disturbo nei Paesi vittima.

I tentativi di destabilizzare l’Ucraina hanno rivelato una vera e propria mentalità da realtà parallela in versione russa dei fatti, della storia e della geopolitica. La manipolazione delle informazioni prevede l’esaltazione nazionalistica di Mosca e la vittimizzazione del popolo russo. Gli hacker russi si sono addirittura spinti ad influenzare, secondo i rapporti del procuratore Robert Mueller, anche le elezioni presidenziali americane del 2016. L’obiettivo era minare la credibilità di Hillary Clinton per avvantaggiare il rivale Donald Trump.
Ma le brigate russe del web destabilizzano tutt’ora le democrazie occidentali e fanno uso di tecniche di aggressione con bot e notizie false. Demolire la credibilità delle liberaldemocrazie con polpette avvelenate e propaganda aggressiva fa parte della nuova guerra dell’informazione. La fabbrica dei troll è stata intavolata nell’ambito di Brexit (ambito estero) e contro le attività di dissidenti quali Aleksej Naval’nyj (ambito domestico).
Consolidare il potere a casa e orientare gli appuntamenti elettorali esterni a proprio favore è uno degli obiettivi della nuova guerra del Cremlino. La disinformazione prevede l’istigazione della sfiducia, con un linguaggio divisivo, da parte delle istituzioni pubbliche delle liberaldemocrazie. Disinformazione e complottismo vanno di pari passo.
L’utilizzo dell’infowar è collegabile anche al concetto di soft power, coniato Joseph Nye. Si tratta dell’«abilità di un Paese di persuadere gli altri a fare quello che esso vuole senza l’uso della forza o della costrizione». Complementare all’hard power delle armi, il soft power contempla il rafforzamento delle istituzioni civili e democratiche. Sono legate alla libertà individuale, ricorda Ottaviani. Contemplano anche l’uso di letteratura, musica e cinema. L’uso della cultura può essere strumentalizzato per giustificare l’espansionismo estero del Cremlino.
La Russia iniziò a sviluppare la propria concezione di soft power nei primi anni Duemila per riprendere il suo posto nelle neonate repubbliche nel Caucaso e in Asia Centrale. L’uso strumentale della lingua russa per riunire le pecorelle smarrite sotto l’ala del Cremlino è un diversivo impiegato da Mosca nell’ambito di desideri neo-imperiali. D’altra parte, il soft power è usato anche per promuovere un’immagine positiva della Russia e offrire verità alternative su eventi e fatti. Non stupisce che la presenza di media indipendenti nel Paese sia merce scarsa. Così come lo sono i think tank non-governativi: l’indipendenza, ricorda Ottaviani, è il proporzionale a chi finanzia.

L’esaltazione di Putin come leader e la postura fiera della Russia sono tra le tematiche che minano alla credibilità di questo vettore di informazione. Il nuovo modo di fare la guerra per la Russia e attraverso destabilizzazioni e manipolazioni che siano interne o esterne.
Con Cina, Iran, Turchia Mosca e condivide un solo obiettivo: destabilizzare l’Occidente. Ottaviani riflette sull’importanza di coesione ed unità della risposta liberaldemocratica agli attacchi russi. Non è la censura, spiega l’autrice, che risolverà il problema della disinformazione e della guerra su larga scala ibrida. «Occorre organizzarsi: come Gerasimov parla di approccio olistico al danno, noi dovremmo cercare di avere un approccio sinergico e coordinato alla soluzione. Non bastano i Governi, i giornalisti, i social. Ci vuole la società tutta».
Le brigate russe sono in agguato: non smetteranno di attaccare l’Occidente. Bisogna dunque sviluppare gli anticorpi. Il vaccino della responsabilità e della buona informazione sono imperativi per tutti. Mosca, scrive Ottaviani considera la libertà una debolezza. L’Occidente deve rafforzare la sua libertà e usarla per esporre i crimini e la disinformazione tesa al neoimperialismo post-sovietico.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com