“Il Palazzo delle lacrime” è un romanzo di Paolo Grugni, edito da Laurana Editore, che racconta la storia di una ragazza che viene ritrovata senza vita a Treptower Park.
Nel 2016, circa tre dopo l’uscita dal suo libro Darkland, Grugni viene contattato su Facebook da una donna che gli propone la storia di suo padre, un italo-tedesco morto un anno prima, che nel 1977 riesce a scappare dalla Germania Est, oltrepassando il Muro di Berlino. La donna racconta a Grugni che il padre era stato un Maggiore della HVA, una branca della Stasi che si occupava del controspionaggio, ed era deciso a portare avanti le indagini in merito ad alcuni omicidi. L’unico modo per farlo, però, era fuggire, andare via.

La donna ha consegnato a Grugni il diario del padre e una lettera mai spedita, indirizzata ai genitori, scritta il giorno prima di fuggire nella Repubblica Federale Tedesca. Il nonno della donna era un partigiano comunista delle SAP, accusato di aver partecipato nel 1946 all’assassinio di un imprenditore legato alle Brigate Nere. Dopo la costruzione del Muro di Berlino, il protagonista di questa storia, con la moglie e il loro unico figlio, era rimasto oltrecortina.
Il materiale fornito dalla donna, che l’autore ha voluto chiamare Bettina, traccia un percorso storico in un periodo parallelo alla situazione che c’era in Germania Est e in Germania Ovest, attraverso il materiale riportato in quelle ruvide pagine di diario. Il maggiore Martin Krause del controspionaggio viene incaricato per seguire il caso. Un uomo tutto d’un pezzo, figlio di italiani scappati in Germania nell’area sovietica dopo la fine della guerra, ed entrato nei servizi segreti della Stasi. Le indagini per quel delitto, però, si complicano improvvisamente e la pista conduce direttamente a Berlino Ovest. Diventa così un intreccio tra servizi segreti, agenti insospettabili, traffici di droga e sfruttamento della prostituzione.
Ma la scia di sangue non si arresta e da Est a Ovest, l’odore di morte continua senza sosta, pungente, intasando le narici di metallo e logorando il silenzio assordante di una risoluzione che sembra lontana. Krause capisce che la matrice di quegli efferati delitti risiede nella Germania comunista. Una presa di coscienza che si rivela fatale dato che viene subito fermato e deposto dal suo incarico. Krause non si arrende e scappa ad Ovest per intercettare l’assassino e fermarlo nella sua lunga scia di sangue. Pagine sbiadite, consumate nel tempo, ingiallite e talvolta illeggibili che si trasformano meticolosamente in un’opera narrativa, attraverso le lettere che sono state integralmente tradotte e riportate con qualche piccola correzione nella forma originale. Storie di vite, di guerre, di muri innalzati dagli uomini per delimitare confini e poi abbattuti. Storie di fughe e di lotta per la verità attraverso la testimonianza di un uomo che avrebbe voluto smontare una verità scomoda.

Abbiamo intervistato Paolo Grugni, autore del libro.
“Il Palazzo delle lacrime” è un romanzo tratto da una storia vera. Come nasce? Parlami un po’ della sua genesi.
“Tra il voluto e il casuale. Avevo in mente di fare un romanzo ambientato nella Berlino pre caduta del muro, poi sono entrato in possesso del diario di un ex militare della Stasi (il servizio segreto, più o meno). A quel punto mi sono letto qualche migliaio di pagine sulla Germania est, ho rielaborato il testo in forma narrativa, aggiungendo della fiction, e il gioco era fatto. Anni di lavoro, in realtà”.
Questo libro parla di uomini che cercano la verità, che fuggono, che scappano e attraversano muri e barriere. Oggi viviamo in una società che, alla luce di quanto sta accadendo, non ha imparato molto dal passato proprio perché si continuano a innalzare muri. Le barriere continuano a essere ideologiche e fisiche e tutto diventa incerto agli occhi di una verità razionale. Qual è secondo te il più grande messaggio che ci vuole lasciare questo libro e che deve arrivare al lettore?
“Il socialismo è stata la più grande occasione mancata della Storia per rendere il mondo un posto migliore dove vivere. Non penso passerà più un’occasione così. Liberi in un società libera. Invece, il disastro”.
Il mito della Berlino Est e Berlino Ovest e quel muro invalicabile che mai nessuno avrebbe abbattuto. Oggi quali sono i muri invalicabili che l’uomo deve affrontare?
“Domandone. Ma molto facile rispondere. Il muro siamo noi con l’incapacità di vedere oltre l’oggi. Il nostro futuro va dal pranzo alla cena. Limiti che ci sono stati imposti da un modesto vivere quotidiano, ma che noi abbiamo accettato passivamente. Ci saranno ancora nuove e grandi ideologie per cui combattere? La mia è l’animalismo, ogni giorno al fronte”.

Che percezione avevate voi giovani di Berlino Est dall’Italia? Come vivevate questo cambiamento e questo senso di imbattibilità che trasudava dalla Germania?
“Sono stato per la prima volta a Berlino nel 1990, subito dopo la caduta del Muro. Si vedeva ancora nettamente che Est e Ovest erano due mondi separati. Il ricco e il povero. Quello trendy e quello sfigato. Non credevo ai miei occhi. La Germania non era solo onnipotente, ma anche debole, fragile, umana”
Il 9 novembre 1989 viene abbattuto il muro di Berlino. Cambia tutto. Che ricordi ha di quel momento? Come ha reagito? Quanto ha influito quel momento storico nel corso degli eventi successivi?
“Mi venne voglia di partire e così feci poco dopo. Avvertivo che il Muro era anche un simbolo, una proiezione dell’immaginario, e che con la sua caduta non solo le persone avrebbero potuto circolare liberamente ma anche i pensieri e le idee. Con il crollo del Muro è crollato un mondo fatto di nulla, costruito sull’imposizione. Fatto di retorica e aria fritta”.
Com’è Berlino oggi?
“Una città bellissima, viva, culturalmente, politicamente e sessualmente aperta. Ma attenzione a scambiarla, come hanno fatto in tanti, troppi, a prenderla come il paese di Bengodi. Illude, ma non è così. Si torna a casa in fretta e peggio di come si è arrivati”.