«Uccidere non è un gesto così estremo se si ha piena nozione di chi si sta uccidendo». A quasi un anno dalla sua uscita in Spagna, arriva in Italia “Tomàs Nevinson” (Einaudi pp 600) il nuovo e atteso romanzo di Javier Marìas. Lo scrittore madrileno considerato a ragione fra i più sofisticati, interessanti, quando non solo il migliore di lingua spagnola, ma fra i suoi contemporanei, sin dal suo esordio a 19 anni ha vinto ogni premio importante con ognuno dei suoi libri. Tutti gli anni il suo nome figura fra i possibili vincitori del Nobel, la cui non assegnazione si pensa si debba alla paura che possa non accettarlo data la natura “impertinente” (cosi la definisce lui stesso) dell’autore. Lo scrittore si impone all’attenzione internazionale nel 1990 con Un cuore cosi bianco, libro con cui segna non soltanto il suo ingesso nella narrazione introspettiva, ma da cui prende il via quello che sarà il filo conduttore di tutti i suoi libri, di tutte le sue famose digressioni, fino ad arrivare a qui, a Tomàs Nevinson e a noi.
Nessuno può essere sicuro di nessuno in nessun istante, nessuno si può fidare. Era e rimane questo il tema di avvio, al punto che ogni libro sembra la prosecuzione di quello precedente o lo stesso unico libro che una volta finito si fatica a chiudere e riporre. Nonostante questo, ogni romanzo può essere comunque letto come un romanzo a sé, e rimandi e spiegazioni che ne fanno un unico lunghissimo romanzo non sono altro che un pregio, un marchio di fabbrica e qualità. Lo stesso Marìas in una delle poche interviste concesse dichiara: Anche quando leggo, trovarmi di fronte a un libro di un autore totalmente diverso dai suoi precedenti per me non è un pregio, anzi, testimonia di un fallimento.
Dalla trilogia de Il tuo volto Domani, a Gli Innamoramenti, a Così ha inizio il male, a Berta Isla moglie di Tomàs Nevinson protagonista del suo penultimo libro, Marìas con il suo stile inconfondibile ci mette di fronte a noi stessi e ai grandi dilemmi etici, morali, sentimentali, in una parola umani, che la vita ci mette dinnanzi. «Perché La letteratura permette di vedere le persone come sono veramente» – si legge in un passaggio del romanzo – «anche se sono persone che non esistono o che con un po’ di fortuna esisteranno per sempre, per questo non perderà mai del tutto il suo prestigio».
Il romanzo prende avvio da quei due uomini, uno nella finzione e uno nella realtà,che ebbero la possibilità di uccidere Hitler prima che questi scatenasse la Seconda guerra mondiale. È a partire da qui che lo scrittore esplora il rovescio del comandamento «Non uccidere». Quegli uomini avrebbero fatto bene a sparare al Führer: è forse lecito fare lo stesso contro qualcun altro? Come dice appunto il narratore di Tomás Nevinson, «uccidere non è un gesto cosí estremo se si ha piena nozione di chi si sta uccidendo». Nevinson, qui indiscusso e solo protagonista del romanzo, è un ex agente dei servizi segreti per metà inglese e per metà spagnolo, che “richiamato alle armi” da un altro personaggio noto ai lettori, il suo ex capo Tupra, accetta di tornare in missione un po’ perché annoiato dalla tranquilla e monotona vita data dall’inattività, un po’ perché “è insopportabile rimanere fuori una volta che si è stati dentro”, tornare a essere nessuno dopo che si è stati qualcuno, non accadere più dopo che siamo accaduti. Quella che era diventata la sua vita a causa di un inganno che aveva segnato per sempre la sua rotta e il suo destino, gli aveva dato l’illusione di poter essere determinante per il mondo pur agendo nell’invisibilità. “Noi ci siamo ma non ci siamo, esistiamo ma non esistiamo, facciamo ma non lo diciamo e se lo diciamo lo neghiamo”. La missione di Tomàs Nevinson che nel corso della sua esistenza si è ritrovato ad uccidere solo due volte e due uomini, va contro quella che è stata la sua educazione sin da bambino. Deve infatti individuare con certezza un ex terrorista dell’IRA prestata all’ETA, responsabile di sanguinosi attentati avvenuti in Spagna, e ucciderla. Si ucciderla, perché si tratta appunto di una donna. E le donne non si toccano, MAI, gli hanno insegnato. Il solo passo che conta è il primo, scrive, e chi dice che quel che costa di più è uccidere, dice un luogo comune che sono pronti a sottoscrivere soprattutto coloro che non l’hanno mai fatto. Uccidere non è un gesto cosí estremo se si ha piena nozione di chi si sta uccidendo.

Come sarebbe stato il mondo, dove saremmo adesso, che direzione avrebbe preso la storia se quel cacciatore che ebbe l’occasione di uccidere Hitler in anni non sospetti non avesse esitato e avesse premuto il grilletto? Se un altro ancora in un bar osservandolo seduto al tavolo accanto a lui e avvertendone la mostruosa essenza , avesse tirato fuori la pistola e gli avesse sparato? Pur sembrandogli un ometto ridicolo, lo avrebbe ucciso se avesse saputo con certezza tutto quello che sarebbe venuto dopo? Il mondo finisce sempre in mano ad individui difettosi e tormentati, scrive Marìas, è incredibile quanto le masse siano affascinate da ogni genere di anomalia, mentale o fisica. Deformità e risentimento, crudeltà e follia, sono cose che catturano e suscitano entusiasmi(…) non si può essere mai sicuri di niente quando si permette ad un assassino di parlare, di negare e di spiegare e Hitler possedeva doti oratorie straordinarie. Anche se dalla sua bocca uscivano solo cretinerie, vuotaggini e invettive, convinceva gli ascoltatori delle sue vuotaggini, invettive e cretinerie, e la gente di questo nuovo secolo è ancora più manipolabile e babbea di quella degli anni Trenta del secolo scorso.
Ma Tomàs Nevinson, marito di quella Berta Isla che per anni lo ha creduto morto pur rimanendo fedele ad un fantasma, padre di due figli avuti con lei, e di un’altra bambina avuta in una di quelle vite in cui era un altro, agente dei servizi segreti, perfettamente bilingue, colto, camaleontico, traduttore di anime, si ritrova qui a dover scegliere il male minore, a progettare l’omicidio di una donna per salvarne altre due e forse chissà quanta altra gente. Perché come spiega il personaggio, i terroristi non smettono mai di esserlo, non mostrano mai pentimento, sono fanatici fedeli ad una causa che si tramandano in maniera ancestrale sempre pronti a giustificare le loro stragi, feroci. C’è sempre passione nel fanatismo, per questo è così pericoloso e contagioso, fa apparire tutto molto semplice e questo attira le folle. Tutti i guerriglieri idolatrati, tutti I terroristi che vengono ritenuti degli idealisti e dei liberatori, sono prima di tutto degli assassini di grande astuzia.

La storia, l’azione in questo libro più che in qualsiasi altro di Javier Marìas, prende avvio molto tardi, con lentezza estrema senza che questo affatichi la prosa. Nei suoi libri, forse proprio per il fatto, come lui stesso racconta, di non avere una mappa iniziale, di andare a braccio, di costruire a poco a poco una storia che viene fuori da sé, senza forzature, non è mai la trama che conta, non è mai la fine, l’arrivo, il traguardo, ma il cammino. Tutto quello che sta dentro le sue pagine è tutto quello che sta dentro chi legge, che si ritrova così spiazzato, come scoperto, allo specchio. Lo stesso protagonista che sostiene di non avere interesse per la sua interiorità, ci appare invece solo coscienza, a tratti addirittura solo flusso di coscienza, e fino alla fine non riusciamo ad intuire cosa farà, cosa deciderà, se ucciderà o se invece sarà ucciso. Tomàs Nevinson pur esistendo non esiste, forse proprio come tutti noi, dal momento che alla nostra morte dopo il cordoglio iniziale verremo dimenticati, scrive Marìas, è un assassino e non lo è, anche questo come tutti noi: la gente ha un mucchio di remore quando non è coinvolta direttamente e non ci va di mezzo, ma diventa spietata quando vede il pericolo incombere su di sé e sui propri figli. Siamo tutti potenziali assassini, sembra avvisarci, anche se per agire abbiamo bisogno che l’orrore si compia in tutta la sua grandezza; lui che ha vissuto vent’anni sotto il regime franchista afferma: non impariamo mai, dobbiamo vedere l’ascia alzarsi nell’aria o abbattersi sui colli delle vittime per trafiggere coloro che la impugnano, constatare che quelli che sembravano carnefici lo sono veramente. Nessuno da ascolto alla chiaroveggenza, mai, occorre che tutto sia confermato da fatti terribili, quando ormai è troppo tardi e non sono più rimediabili e non si possono disfare. Tutto va sempre nel peggiore dei modi, scrive Marìas, perché: la crudeltà è contagiosa. L’odio è contagioso. La fede è contagiosa. La follia è contagiosa. La stupidità è contagiosa.