“Felice è chi ha potuto conoscere le cause delle cose”. Virgilio apre e Leonardo Sciascia rincara: “ma si tutte storie raccapriccianti di poteri e d’infezioni, di miserie, di credenze popolari e di curiosità storiche”. Virgilio e Leonardo Sciascia una coppia inedita che apre il libro Potrei non tornare più (Kimerik pagg 190 16 euro) scritto dal giudice-scrittore Enzo Tardino. Un lavoro che prova a spiegare come la pandemia “che ci ha colti impreparati e terrorizzati” è riuscita ad imporci “il ricovero forzato dentro di noi, o meglio il rientro necessitato in quello sgabuzzino, defilato e buio, da cui eravamo scappati tanti anni fa per varie ragioni, ma dove avevamo, nella fretta di crescere, lasciato forse la parte più vera e più viva di noi stessi e anche i ricordi più importanti”.
Una sorta di libro- confessione su questi tempi dove l’autore rivela anche di un incontro che giovanissimo ebbe con l’amico Leonardo Sciascia, lui di Licata, Tardino, ma trasferitosi a Bologna e lo scrittore del “giorno della civetta” di Racalmuto, città entrambe della provincia di Agrigento.
“Avevo rappresentato confusamente l’itinerario di un mio progetto letterario incentrato sulle epidemie…(ma si trattava di molti anni fa). Si, volevo scrivere qualcosa sulle grandi epidemie. Non mi disse nulla quella volta, lo rividi dopo molto tempo dopo a un congresso, e al solito suo, mi strizzò l’occhio”.
Leonardo Sciascia, chissà come avrebbe commentato la pandemia, il distanziamento, il green pass.

Ed ecco che il giudice Vincenzo Tardino prova con saggezza e umiltà a spiegare come “in un’epoca come la nostra, ricca di incertezze e funestata da una pandemia ancora in corso, è più che comprensibile porsi delle domande sulla natura delle epidemie e delle pandemie e su come queste, nel corso dei secoli, abbiano da sempre costretto l’essere umano a fare i conti con la sua intrinseca fragilità, spesso provocando delle reazioni emotive incontrollate e destabilizzando intere comunità”.
Il tentativo, riuscito è quello dell’autore di oniuga l’indagine storica con sue personali riflessioni sul momento attuale “mostrando come la messa in campo delle conoscenze mediche e scientifiche e l’emissione di norme comportamentali per gestire al meglio le emergenze sanitarie, non sempre bastino a creare un clima rassicurante in una società in preda al panico”.
Possiamo considerare questo periodo come un banco di prova, dove quello che possiamo considerare “un imprevisto” sta sconvolgendo l’esistenza dei cittadini. La percezione della sfera pubblica è totalmente cambiata. Tutti i punti di riferimento da solidi si sono trasformati in fragili. Le istituzioni hanno perso la loro credibilità e l’assenza di rappresentanza peggiora la situazione. Chi ha perso il lavoro fatica a riconoscere nella classe politica colei che risolleverà le sue sorti, perché pochi sono gli elementi che hanno dimostrato la volontà di attuare una rinascita e di ricreare le condizioni per tornare a vivere. Ovvio, una vita nuova, ma vissuta in condizioni dignitose. La mancanza di fiducia ha spostato la prospettiva, incrementando la rabbia sociale. La pandemia ha messo in luce ogni squilibrio sociale, anzi lo ha amplificato, sbattendoci in faccia la totale assenza di coesione sociale.

E secondo Tardino: “se da un lato la razionalità è necessaria ad affrontare al meglio una situazione che ci vede impotenti e vulnerabili, dall’altro lato c’è la consapevolezza che la nostra parte più emotiva e irrazionale va ascoltata e compresa, che si tratti di un bisogno di avvicinarsi alla spiritualità o, più semplicemente, di arrendersi al mistero imperscrutabile della vita”.
Il giudice Tardino forte della sua grande esperienza riporta anche delle brevi storie che possono fungere da spunto di riflessione: “alcune sono molto toccanti, quasi tutte mostrano come la risposta umana al dolore e alla morte sia sempre soggettiva e personale, sottraendosi a qualsiasi tipo di legge universale”.
Un libro che prova a scrutare l’uomo da dentro, utile per leggere con altri occhi e anche con altre lenti tutto quello che ci è accaduto e ci sta accadendo.
Ho avuto l’onore ed il privilegio di conoscere il giudice Enzo Tardino quando ero ancora bambino perché era amico di mio papà Gino e quando veniva in Sicilia, nella sua città d’origine Licata, passava sempre a trovarlo. E’ stato proprio mio padre a spiegarmi il valore di questo magistrato colto e preparato, un intellettuale straordinario.
Vincenzo Tardino, tutti lo chiamano Enzo, già giudice e presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione, professore, avvocato e pubblicista, è autore del‘Giudizio penale tra fatto e valore giuridico’, ed UTET, e di altre pubblicazioni di rilevanza filosofica (Profilo storico delle categorie etiche). Ha scritto, tra l’altro,diversi libri di narrativa-che sono stati presentati da M.Tobino, M.Pomilio, G.L.Petix, Un giudice all’inferno (con la presentazione di F.Cossiga), Un italiano vero, Sangue di Giuda, Chi ha ucciso Samuele (con la presentazione di Lehner).
Questo ultimo lavoro è una nuova sfida per raccontare a modo suo: “il virus della discordia, della separazione e della disperata gioia di vivere”.
E per farlo chiama in causa anche il poeta Nazim Hikmet per sottolineare che non bisogna vivere in questo mondo come semplici inquilini: “vivere…come se il mondo fosse la casa di tuo padre e di credere al grano, al mare e alla terra. Ma soprattutto all’uomo”.
Una sfida non da poco nell’era in cui egoismi, cattivismi, terrrorismi e razzismi sembrano essersi accentuati durante la pandemia. E Tardino citando a proposito della Storia del virus Anna Meldolesi ricorda: “non vivremo mai in un Eden asettico, ma che di sicuro possiamo sconfiggere il miglior alleato del virus, il panico”.