Ieri a colazione il mio compagno mi dice: “Ho fatto le cinque del mattino a leggere Reagan: un libro che mi ha appassionato”. Certo, Gennaro Sangiuliano in Reagan il presidente che cambiò la politica americana (Mondadori) sa sorprendere, incuriosire e commuovere a ogni pagina raccontando la vita di questo presidente nato in una famiglia poverissima.
Il padre era un rappresentante di calzature che cambiò tanti lavori, fallì, divenne un alcolizzato; la madre religiosissima dava da leggere ai figli vecchi giornali affinché si facessero una cultura. Una volta la settimana compravano un osso da brodo e il macellaio gli regalava un pezzo di fegato, pensando sarebbe stato destinato al gatto. Ronald era gracile, ma verso i 16 anni crebbe e divenne robusto, il che gli permise di andare a giocare per una squadra di football.
E grazie a ciò poté iscriversi all’Eureka college (Illinois), dove faceva anche il lavoro del lavapiatti per aiutare la famiglia. Venne scritturato dalla compagnia teatrale del college e poi premiato come attore. La Grande Depressione mette in crisi le finanze del collage, il preside vuole operare dei tagli ma Ronald sale su un tavolo e viene acclamato portavoce del comitato. “Quella sera scoprii che il pubblico sente le cose, nel linguaggio teatrale, io e il pubblico eravamo una cosa sola”. Diplomatosi in economia e sociologia, inizierà a lavorare come radiocronista, diventando in breve il radiocronista più noto del Middle West. Poi i casi della vita lo porteranno a Hollywood. Diverrà presidente del sindacato degli attori e dal 1967 al 1975 governatore della California. Nel 1980 sarà presidente dell’America.

Sono a Roma, a Saxa Rubra, sede del Tg2 che Gennaro Sangiuliano dirige. Mi racconta che era da qualche decennio che voleva far un libro su Reagan, da quando frequentava la facoltà di giurisprudenza e già seguiva la politica internazionale: “Mentre i miei coetanei si entusiasmavano per Che Guevara e Fidel Castro, io ero affascinato dalla politica della Thatcher e di Reagan. Notai che c’era piena sintonia tra loro: i due motori della stessa rivoluzione”.

Sangiuliano mi spiega che in California Reagan come politico fu accolto con scetticismo; ma lui aveva di certo già in mente la Casa Bianca. Perché la scuola della vita gli aveva fatto comprendere che poteva essere un interlocutore per gli americani. Aveva fatto l’attore e aveva capacità di interagire con il pubblico. A chi gli chiese se un attore potesse essere anche presidente, rispose: “Può un presidente essere anche un po’ attore?”. In effetti tutti i politici si calano in una parte e recitano la parte.
Secondo Sangiuliano, la grande rivoluzione liberale di Reagan sono state il fisco e le tasse. Il presidente sostenne: “Bisogna individuare sul calendario il giorno della liberazione fiscale; il giorno in cui ognuno di noi smette di lavorare per lo Stato e comincia a lavorare per se stesso e la propria famiglia”. Fece propria la curva di Laffer che dimostra che, quando la pressione fiscale diventa troppo esasperante, si uccide l’economia.

Abbassando le tasse e abbattendo l’inflazione, diede una grande carica di ottimismo all’economia americana. Riformò il welfare centrando questo obiettivo: dare di più a chi aveva più bisogno. Non attraverso elargizioni, ma aiutando le persone ad uscire dalla povertà e ad entrare nel ceto medio.
Lui che da giovane era stato un democratico, fece da repubblicano due mandati come governatore e due come presidente, sempre con risultati plebiscitari molto forti. Creò una destra liberale, affermando la superiorità dei diritti umani e il valore della libertà. E in politica estera sconfisse il comunismo sovietico “senza sparare un colpo”, come dichiarò Margaret Thatcher. Una vita da film.