Non è stato il covid a fermarci, ma a farci capire che non camminavamo più da molto tempo. Il covid è solo una stazione dove aspettiamo un treno che non arriva. Perché ci è successo questo? Pensavamo di essere in piena evoluzione, sviluppo, crescita, proiettati verso un futuro felice. Siamo corsi dietro al mito del progresso che sta svanendo.

Per Antonio Polito l’insegnamento da trarre da questa epidemia è: riprendere il cammino della propria vita a piedi, percorrendolo passo dopo passo. Ma non basta, bisogna attenersi alle regole della vita che avevamo creduto superflue. Senza regole non si va da nessuna parte. E si finisce per perdersi: perdere la meta e se stessi. “Le regole del cammino. In viaggio verso il tempo che ci attende” (Marsilio, pagg. 158, euro 17) è una guida per oltrepassare i propri confini fisici e spirituali.
Polito indossa lo zainetto e imbocca con tre amici, il Prete, il Professore e la Collega il Cammino di san Benedetto, da Norcia a Montecassino, attraversando l’Italia collinare. All’inizio il camminare è solo un’esigenza fisica, ma ben presto Polito comprende che avere una meta dà senso al viaggio. E lui è alla ricerca del senso della propria vita.

Bisogna partire con la determinazione di oltrepassare i propri confini fisici e mentali. Quale meta migliore allora è mettersi sulle tracce del santo, fondatore dell’ordine dei templari, quei monaci guerrieri, impavidi e frugali? Per capire che dobbiamo ammainare la bandiera nazionale della “bella figura” e issare quella della fratellanza cristiana, che proprio i templari attraverso la Regola portarono in Europa, facendo di questo antico continente la nostra patria. Perchè “non sempre il concetto di patria ha coinciso con i confini politici di una nazione: patria in origine era sinonimo di luogo di nascita, nucleo familiare raccolto intorno al pater”. Per Polito abbiamo confuso la patria degli individui, fatta di legami naturali, con quella ingannevole dei “popoli”, definiti in base alla loro presunta purezza etnica o linguistica. Abbiamo creduto che nazionalismo fosse patriottismo, facendoci trascinare in due sanguinosissime guerre mondiali. C’è bisogno di un nuovo “patriottismo cosmopolita”, che non è un ossimoro ma un concetto di patria più comunitario ed universale, già esistito con il senso di appartenenza dei cives romani all’Impero Romano due secoli prima di Cristo.

Per superare i confini dei pregiudizi, bisogna tornare indietro: Polito percorre un nostos, un ritorno alle origini, a quei paesi e borghi da cui proveniamo tutti noi italiani. Dove sono state poste “le basi etiche che hanno creato l’operosa sobrietà dei nostri genitori e dei nostri nonni”. Avremo bisogno di una guida, non intesa come un leader, ma un’élite intellettuale che esprima il meglio del Paese. E bisogna scuotere l’albero del potere maschile: “Quanto può ancora durare questa disparità di impegni e risultati tra uomini e donne?”
Ma non potremo fare nulla di tutto questo se non impareremo a diventare leggeri, se non svuoteremo il pesante zainetto che ci siamo caricati all’inizio del cammino sulle spalle, facendo una scelta tra essenziale e superfluo. Significa decidere a cosa davvero non possiamo rinunciare. Scriveva Italo Calvino: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Allora sì che avremo il coraggio di chiederci: “Rifarei tutto della mia vita?” E l’umiltà di rispondere con un sicuro, e talvolta doloroso, no.