Tutti sappiamo come è nata Roma: grazie all’arrivo di uno straniero, Enea. Ma non era uno straniero qualsiasi, era un principe di Troia, ricca e civilizzata città dell’Asia Minore. Per di più era un semidio, essendo sua madre Venere, la dea dell’amore. Insomma, si presenta a Latino, re di Laurento, con tutte le carte in regola per ambire alla mano della figlia Lavinia, per di più preannunciato da un oracolo.

Enea, lo straniero. Le origini di Roma (Einaudi) di Giulio Guidorizzi è la parafrasi dell’Eneide di Virgilio in 180 pagine, ma onestamente ci aspettavamo qualcosa di più da questo professore universitario di letteratura greca che ha scritto sempre per Einaudi libri come Io, Agamennone. Gli eroi di Omero e Ulisse, l’ultimo degli eroi, che qualche spunto riflessivo ci hanno lasciato. Qui non si capisce chi sia davvero Enea, chi sia Turno, il suo antagonista, i loro sentimenti, tantomeno quelli di Lavinia o Camilla. Insomma è un riassuntino scolastico come quelli che si facevano alle medie. Tuttavia ora che non si studiano più i classici dai testi originali a scuola nemmeno alle superiori, questo libro può far rompere il ghiaccio a quanti si sentono bloccati a leggere i grandi poemi come l’Eneide, l’opera della fondazione di Roma e quindi della nostra identità e civiltà. Mancano gli dei in questo libro; sì sono menzionati, ma sono inanimati e senza i pensieri degli dei non possiamo capire le azioni degli uomini, soprattutto di coloro che dovrebbero essere gli eroi italici. Gli dei sono la nostra psiche.
Fuggito da Troia, Enea con i suoi seguaci approda a Delo, l’isola che ha dato i natali al dio Apollo, e nel tempio l’oracolo parla a suo padre Anchise: “Cercate l’antica patria”. Dardano, fondatore di Troia, veniva da una terra chiamata Enotria oppure Italia. E questo è il fatum, destino, che Enea deve compiere e che consente a Virgilio di giustificare qualsiasi azione del principe troiano. Come che abbandoni la regina di Cartagine, Didone chiamata anche Elissa, che l’aveva accolto e amato, che arrivi come un conquistatore sulle rive del Lazio, che combatta la lega dei Latini, che uccida Turno, re dei Rutuli e promesso sposo di Lavinia, e che infine la sposi per dare inizio alla gloria della stirpe romana. Così Enea diventa un eroe.
E visto il successo di Wonder Woman e che proprio in questi giorni si fa un gran parlare del nuovo 007 donna e nera, è ovvio che si guarda alla forza femminile e si vogliono finalmente mettere in scena eroine che la possano esprimere. Quindi voglio dar voce a Elissa, vittima per Virgilio del fato di Enea. Secondo me non è andata così.

Morire per un uomo che ti lascia? Sì, gli avevo detto: “Se mi lasci, mi uccido”. Ma sono cose che si dicono quando si ama.
Poi ho visto le vele. Era l’imbrunire e il cielo non era luminoso: non c’era più Lui il Sole, tramontato, e Lei la Luna era appena una falce bianca, senza luce nel grigio della fine del giorno. D’istinto sono corsa alla spiaggia – era tanto che non scendevo – forse per vedere meglio, capire, forse per accertare che non era come mi sembrava, che Enea non era partito.
Era già lontano sulla sua nave e sicuramente non ha visto quella figura di donna, i piedi nell’acqua gelida, che alzava lo sguardo verso di Lei e chiedeva angosciata: “Perché?”
Non piangevo, le mie lacrime erano tutta quell’acqua nella quale ero immersa fino alla vita, e mi sentivo scoglio. Pietra, pietrificata, inanimata, immobile. Forse Lei non voleva che divenissi questo e mi ha risposto pietosa: “Lui tornerà”.
Allora mi sono ridestata e ho ricominciato a respirare: “Non so che farmene di un uomo che fugge e poi ritorna. Potrebbe fuggire ancora. Fugge da me, ma non ritorna per me. Ritorna per la nostalgia che lo soffoca lontano da me. Ma anche da quello che posso offrirgli: dai miei beni, dalla mia terra, dai suoi bisogni che venivano soddisfatti. Torna per stare meglio, non per amore. Se mi avesse amata, non mi avrebbe lasciata”.
“Non conosci gli uomini, Elissa, amano solo da lontano e ritornano per l’illusione che si sono creati. Ci siamo sempre accontentate”.
“Ho amato Sicheo, ci siamo sostenuti sempre, abbiamo condiviso tutto, ma un giorno sono rimasta sola. Era finito il tempo dell’amore, avevo avuto quanto una donna potesse desiderare e non aspettavo un altro. Però, quando Enea è arrivato qui, su queste sponde, ho sperato di nuovo. Non so perché, mi sono innamorata e basta. Mi sono intenerita ai suoi discorsi e gli ho offerto tutto quello che avevo, per lenire la sua sofferenza e fargli ritrovare la strada della felicità. Entrambi avevamo sofferto, ma eravamo vivi e il fato l’aveva condotto a me. Potevamo ancora generare amore. Per gli uomini è facile: seminano e non portano con sé il seme dell’amore. Sono le donne che lo alimentano, lo fanno crescere, nascere. E rimangono segnate per sempre”.
“Lui ti ha riempita una notte del suo amore, poi si è sentito svuotato e ha creduto di averti dato tutto quello che poteva darti, di non avere altro da darti. È partito, ma adesso è già pentito. Vorrebbe ritornare per darti ancora. Spera in una tempesta per salvare la faccia con i troiani e i cartaginesi. Vorrebbe dirti che stava provando la nave, che non aveva intenzione di partire. Mentre ai suoi direbbe che il dio era avverso, che aveva interpretato male il suo disegno. Posso ancora farlo tornare, vuoi?”.
“Cara Madre, ti ho chiesto una spiegazione, ma non ti prego. Gli dei non devono essere pietosi, non devono cambiare i destini degli uomini, forzando la natura. La natura potrebbe più tardi vendicarsi e la sofferenza potrebbe essere maggiore e coinvolgere anche il mio popolo innocente. O strapparmelo di nuovo. Enea ha deciso: deve essere responsabile della sua scelta. Io l’accetto. Né potrebbe più essere tra noi come prima. Il tradimento ormai si è insinuato nel nostro rapporto e chi tradisce può tradire ancora o venir tradito. Entrambi dobbiamo andare incontro al destino che abbiamo voluto”.
Lei mi illuminò tutta, era ormai alta nel cielo, e la ringraziai: “Questa luce che mi doni mi riempie di calore. È l’ultima cosa che Enea vedrà di me”.
“Cosa intendi fare, misera Elissa?”.
“Fare un grande fuoco del mio amore. Ma non temere, Madre, non ho intenzione di consumare la mia vita così, voglio solo farglielo credere. Quando vedrà il rogo innalzarsi dal mio palazzo, forse si pentirà, si dispererà, si maledirà. Ma non è per vendetta che lo faccio. No, è perché non ritorni. Per dargli il coraggio di non ritornare”.